Si è chiuso a Marsiglia, in Francia, il 17 marzo scorso, il Forum Alternativo Mondiale dell’Acqua (Fame). Attiviste ed attivisti del Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua,
insieme alla vasta coalizione dei movimenti per l’acqua di tutto il
mondo e a tantissimi altri attori della società civile, si sono riuniti
per definire una strategia europea contro il paradigma di sfruttamento e
di mercificazione del Forum Mondiale dell’Acqua (Wwf), convocato dalle multinazionali del settore, come Veolia, Suez e Acea, insieme alla Banca Mondiale e con l’egida dell’Onu. E – il mensile ha chiesto come sia andata a Francesca Carpini, giornalista e scrittrice, responsabile della comunicazione dell’associazione Yaku che ha fatto parte della delegazione italiana.
Quale bilancio si può trarre del Forum Alternativo di Marsiglia?
Il
Forum non poteva andare meglio, sotto molti punti di vista. E’ stato
molto ricco e partecipato, sia dalle rappresentanze dei movimenti e
delle organizzazioni internazionali che dalla cittadinanza e dalla gente
che è arrivata dall’Italia e non solo. Sono stati almeno 4500 i
partecipanti. Si è riusciti a centrare il senso di questo Forum:
importante sia per il momento storico che si attraversa sia per la città
che lo ospitava, in quanto Marsiglia è la Francia, la culla delle
multinazionali dell’acqua più aggressive a livello mondiale.
Si
diceva che i Forum avessero perso un po’ di efficacia, in quanto i
documenti che producono spesso rimangono lettera morta. Invece qui si
sono raggiunto gli obiettivi prefissati: la rete europea ne è uscita
sdoganata ufficialmente, con dei principi condivisi, da movimenti che
hanno storie differenti. Si è scritta la Carta Europea dei movimenti per
l’acqua attorno a quattro punti chiave e abbiamo lanciato il referendum
europeo ad aprile per il riconoscimenti della commissione dell’acqua
come bene comune. Infine si è riusciti a dare lo smacco al Forum
mondiale ufficiale.
Ci si è accorti che era completamente sparita la
necessitò di un confronto. Ricordo appena tre anni fa il forum di
Istanbul, dove, seppur in condizioni diverse, c’era un continuo continuo
confronto con il Forum ufficiale e la volontà di chiedere ad alcun
governi di appoggiare la nostra carta da qualche governo era stata
condivisa.
Questa volta il Forum Alternativo ha tracciato un cammino
in assoluta autonomia, mentre dall’altra parte i lavori del Forum
ufficiale sono andati male, con una partecipazione molto al di sotto
delle aspettative e 2500 pasti buttati via al giorno. E’ stato molto
interessante vedere delle persone che facevano parte della delegazione
delle Nazioni Unite al Forum ufficiale venire al nostro Forum
alternativo. Ci dicevano come da loro si respirasse un clima pessimo
perché le grandi contraddizioni che questo appuntamento si trascina
dietro erano emerse. Questo penso che sia il risultato migliore che
potevamo raggiungere. L’idea di disconoscere completamente il Forum
ufficiale è stata un successo, come la grande marcia per le strade di
Marsiglia che ha chiuso i lavori.
Quali sono i quattro punti sanciti dalla Carta europea?
Il
primo punto è quello del riconoscimento che l’acqua non è una merce, ma
un diritto universale ed è un bene comune, quindi sancendo la lotta
contro le privatizzazioni e la gestione partecipata delle risorse
idriche senza l’intrusione dei privati. Il secondo punto, di non facile
superamento, perché non tutti i movimenti nazionali sono arrivati a un
punto di elaborazione del tema dei beni comuni come quello italiano, è
stato l’abbandono del full cost recovery come principio guida del finanziamento del servizio idrico. Il terzo punto è quello di garantire a tutti l’accesso al quantitativo minimo vitale d’acqua,
definendo l’accesso all’acqua come diritto umano. Infine, il quarto
punto, la partecipazione dei cittadini e dei lavoratori alla gestione
del servizio.
All’interno della Carta europea, però, c’è anche
dell’altro: la commistione dei nostri movimenti con la visione indigena,
cioè con chi ha iniziato questa lotta in America Latina. La Carta
europea ha recepito il riconoscimento dei diritti della natura e la
difesa del ciclo integrale dell’acqua, come sancito ad esempio nella
costituzione dell’Ecuador.
Altro elemento importante è quello del
riconoscimento del rapporto tra condizione femminile e accesso
all’acqua, per sottolineare il legame inscindibile tra questo elemento e
la donna, anche dal punto di vista del ruolo femminile all’interno
della comunità.
Ci sono stati dei passi avanti rispetto al
progetto partito nel 2005 che prevedeva l’accantonamento del un per
cento delle bollette dell’acqua per la creazione di un fondo per i Paesi
in via di sviluppo?
E’ stato uno degli argomenti presi
in considerazione e si è lasciata libertà di cammino a ciascuno in
questo senso. Anche perché il gruppo italiano, ad esempio, spinge molto
di più su una gestione pubblica e partecipata, che vada quindi a
incidere sulla solidarietà da un punto di vista politico. Ma resta un
sentire globale e in questo senso sono stati presi impegni per grandi
battaglie mondiali, come quelle contro le dighe e i mega progetti idrici
e l’industria mineraria che incide sulle falde acquifere. Tutti i mega
progetti che in modo trasversale nel mondo hanno medesimi effetti e
modalità, dall’inquinamento alla violenza. Un delegato messicano,
Bernardo Vazquez, è stato ammazzato mentre era impegnato nella lotta a
Oaxaca contro una multinazionale canadese. Ed è stato ricordato più
volte l’impegno che il movimento europeo deve mettere per combattere
questi mega progetti che nascono in Occidente e devastano Africa, Asia e
altrove. L’attenzione verso l’altro è un principio fondamentale di
questo cammino.
Che iniziative ci aspettano dopo Marsiglia a livello europeo?
Due saranno le grandi iniziative europee. Una promossa dall’European Federation of Public Service Unions (Epsu) e l’altra promossa dall’Institut Européen de Recherche sur la Politique de l’Eau (Ierpe)
fondato a Bruxelles. Il primo, che partirà ad aprile, cercherà di
ottenere dall’Ue il riconoscimento dei principi sanciti dai referendum
italiani. Compreso il minimo dei 50 litri pro capite. La prima attività
su scala europea sarà quella di utilizzare l’Iniziativa dei cittadini
Europei, ovvero lo strumento di democrazia diretta recentemente
introdotto dal trattato di Lisbona. L’obiettivo è raccogliere un milione
di firme in sette paesi per invertire la trazione privatizzatrice
dell’Unione e proporre un’iniziativa legislativa alla Commissione.
Elemento che diventa importante, per riappropriarsi delle istituzioni
europee, sempre più legate alle banche e sempre meno ai cittadini.
Perché questa austerity colpisce i servizi e i beni comuni e per uscire
dalla crisi economica noi proponiamo un’alternativa che è basata su
questi principi. E’ rivoluzionaria l’idea di avere un movimento europeo
coeso che affronta l’Ue e detta le proprie condizioni per iniziare un
percorso che non sarà breve ma è necessario.
Fonte.
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