Fabio Canessa, una delle non rare intelligenze che arricchiscono la
provincia italiana e preferiscono starsene acquattate, uomo che a una
vastissima e trasversale cultura unisce uno
straordinario brio espositivo (in un seminario organizzato qualche anno
fa da Filippo Martinez a Oristano, cui partecipavano, fra gli altri,
Giulio Giorello, Barbara Alberti, Vittorio Sgarbi, la sua ‘lectio
magistralis ‘ sulla lingua latina, che non è materia che si presti, fu
ritenuta la più brillante), professore di liceo a Piombino, ha fatto
leggere ai suoi studenti del penultimo anno il mio pezzo “Psicofarmaco della Modernità” pubblicato sul Fatto del 6 marzo e con loro lo ha discusso.
I ragazzi sono stati particolarmente colpiti dall’escalation dei suicidi dall’Europa preindustriale a
oggi: 2, 5 per centomila abitanti a metà del Seicento, 6, 8 nel 1850,
20 per centomila oggi (questa è la sequenza corretta, io, citando a
memoria, ne davo una leggermente diversa e comunque più sfavorevole alla
mia tesi: 2, 5-6, 8-20). Qualche lettore del Fatto, dubbioso, ha
obiettato: “Ma come si fa a fare statistiche attendibili per il ‘ 600?”.
Ora, nel ‘ 600 nasce in Europa la scienza moderna, con Tycho Brahe,
Galileo, Keplero, Cartesio, Huygens. Sono per lo più astronomi e
matematici, ma ci sono anche i primi cultori di statistica.
Il più importante fu, forse, Gregory King che si occupò di
alimentazione, di composizione della famiglia e di redditi (da cui si
ricava che le distanze fra i redditi da allora a oggi, epoca
dell’uguaglianza, non sono affatto diminuite, ma di gran lunga
aumentate). John Graunt studiò invece la mortalità e quindi anche i
suicidi e ne diede conto nel suo volume Natural and political
observations upon the Bills of Mortality, del 1662. Graunt prese per
campione 400 mila abitanti di Londra nel ventennio 1640-1660. Le fonti
sono gli archivi parrocchiali. Il risultato dà,
appunto, 2, 5 suicidi per 100 mila abitanti. Indubbiamente è un po ‘
azzardato prendere la sola Londra come rappresentativa dell’intera
Europa. Ma è molto probabile che il dato pecchi per eccesso. La
popolazione preindustriale era per i 4 / 5 rurale.
Londra era già una metropoli ed è noto dal classico studio di Durkheim
che l’urbanizzazione è uno dei più importanti fattori che determinano il
livello dei suicidi. Se si va a spulciare gli archivi di qualche
villaggio di campagna, per esempio Ashton-under-Lyne, sempre nel ‘ 600,
si vede che “parecchi decenni trascorrono con un solo suicidio o
addirittura nessuno” (P. Laslett, “Il mondo che abbiamo perduto”). In
ogni caso le statistiche che vanno dal 1850 ad oggi, che sono fatte con
metodi di indagine moderni e coprono tutta l’Europa, confermano in
qualche modo il dato precedente e dicono che in 150 anni i suicidi sono
triplicati e vanno di pari passo col Progresso.
Negli organizzatissimi Paesi scandinavi i suicidi sono molto più
numerosi che nel meridione d’Europa, così come quelli nel Nord Italia
sono quasi il triplo del più povero Sud (qualche anno fa i picchi
maggiori si registravano nell’opulenta Emilia, per l’oggi non sono
documentato). Nella Cina del boom economico il suicidio è diventato la
prima causa di morte fra i giovani e la terza fra gli adulti. Insomma il
Progresso fa male. Questa è la dura sentenza che non si vuole
ascoltare. E per quanti dati tu porti (altri se ne potrebbero fornire
per le malattie mentali) i ciechi epigoni dell’Illuminismo trovano
sempre il modo di non tenerne conto. E quando sono proprio a corto di
argomenti allora, come scrive Ceronetti, saltano in piedi e con gli
occhi pieni di sangue illuminista gridano: “Comunque indietro non si torna!”. Bravi, è proprio questo il nostro dramma.
Fonte.
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