Il movimento No-Tav ha toccato qualcosa di più di un nervo scoperto del
potere, è andato ad investire quella che è la "contraddizione
principale" del sistema degli affari. L'affarismo è una realtà che vive
esclusivamente di se stessa, slegata da qualsiasi prospettiva economica
o da qualsivoglia progetto sociale. A qualcuno comincia a sorgere il
sospetto che persino il mitico mega-tunnel sotterraneo costituisca una
chimera utile ad assegnare appalti, effettuare espropri di terreni e
aprire cantieri in Val di Susa; che l'opera sia effettivamente
realizzabile o meno, poco importa, perché in ogni caso il fiume di
denaro pubblico e di speculazioni immobiliari potrebbe scorrere
ugualmente per decenni.
Il mega-tunnel potrebbe quindi diventare
una sorta di idolo virtuale alla religione dell'assistenzialismo per
ricchi, un moloc ai piedi del quale i poveri dovrebbero compiere
sacrifici e versare i loro oboli sotto forma di tasse e di tagli. A
spacciare la beneficenza ai ricchi come bene comune-democrazia-sviluppo,
ci penserà ovviamente il lobbismo.
La religione dell'assistenzialismo per ricchi ha infatti i suoi
sacerdoti, i lobbisti appunto. Al berlusconismo si è sostituito oggi il
mariomontismo, cioè un nuovo culto della personalità che serve a coprire
non più un personale conflitto di interessi, ma un lobbismo sfacciato.
Mario Monti è infatti membro del Business and Economics Advisors Group
del Consiglio Atlantico, l'organo supremo della NATO. Insieme con Monti
siedono in questo Advisors Group anche esponenti di BNP Paribas e
Deutsche Bank, cioè le due banche che sponsorizzano rispettivamente le
due maggiori multinazionali dell'alta velocità: la francese Alstom e la
tedesca Siemens. Anzi, Deutsche Bank e Siemens sono praticamente la
faccia finanziaria e la faccia industriale dello stesso gruppo: Josef
Ackermann è sia presidente di Deutsche Bank che vicepresidente di
Siemens. Il business dell'alta velocità ha quindi la sua principale
agenzia di lobbying addirittura nella NATO. [1]
L'affarismo ha costruito un edificio colossale di pubbliche relazioni
che evoca ipotesi di sviluppo ed orizzonti avveniristici, ma il castello
degli slogan regge a patto di sottrarsi metodicamente a qualsiasi
contraddittorio. Nella scorsa settimana i media hanno profuso ogni
genere di diversivi pur di non affrontare i nodi del problema. Il
pubblico è stato intrattenuto sul trattamento inumano che un
manifestante No-Tav avrebbe inflitto ad un carabiniere, etichettato col
titolo di "pecorella"; un'esperienza agghiacciante che segnerà
sicuramente il povero milite per il resto della sua esistenza.
Si è fatto anche ricorso, come al solito, alla poesia di Pasolini
dedicata agli scontri di Vallegiulia nel 1968; "dimenticando" però di
precisare che Pasolini ce l'aveva con quegli ambigui figli dell'alta
borghesia romana che, partecipando a quegli scontri, cercavano di
arrogarsi un ruolo di leadership rivoluzionaria per poi spenderlo in
attività di intossicazione e provocazione. Giuliano Ferrara, tanto per
fare un nome: c'è ancora chi se lo ricorda "casualmente" immortalato da
una foto del "Messaggero", che lo riprendeva a Vallegiulia mentre
fuggiva per una carica della polizia. La poesia di Pasolini era quindi
dettata da intuito preveggente e non certo da amore per la polizia, che
una volta aveva cercato persino di incastrarlo accusandolo di rapina a
mano armata al bar di un distributore di benzina.
Qui però siamo ancora nell'ambito dei colpi di assaggio, mentre il vero
affondo della guerra psicologica contro i No-Tav, è stato affidato
nientemeno che a Giancarlo Caselli, attuale Procuratore Capo della
Repubblica a Torino. La stampa di destra considera Caselli un
"comunista", come fa persino con Napolitano. Ma giocare a fare i
coglioni è una tipica tecnica comunicativa della destra (e magari,
giocando, coglioni lo diventano sul serio). La contro-comunicazione
della finta sinistra si basa invece sulla retorica della
"responsabilità", cioè l'alibi che consente alla finta sinistra di
supplire alle carenze ed alle cialtronerie della destra dichiarata.
Caselli, con il suo look "responsabile", ha fornito infatti al governo
un supporto che ha travalicato la sua funzione di magistrato,
contribuendo in modo decisivo a rievocare lo spettro del terrorismo e
degli "anni di piombo".
Il giornalista Marco Travaglio stavolta si è arrampicato sugli specchi
per difendere la posizione di Caselli: in fin dei conti un Procuratore
della Repubblica che manda in galera la gente, non fa altro che il suo
mestiere di sbirro togato. Travaglio non è l'ultimo arrivato sulla
questione della Val di Susa, dato che se ne occupa da molti anni, sin
dalla prima inchiesta giudiziaria sugli appalti TAV, che riguardò
Lunardi e Martinat, cioè il ministro delle infrastrutture ed il suo
sottosegretario nel secondo governo Berlusconi. Le analisi di Travaglio
dell'epoca appaiono anche più lucide di quelle di adesso, in quanto già
si delineava il quadro di una politica priva di ogni autonomia, ridotta a
parco lobbisti delle banche e delle imprese. [2]
Ma oggi Travaglio non vuol prendere atto che il lobbismo ha infettato
anche ambienti insospettabili. La questione Caselli va ben oltre la
vicenda degli arresti, e persino molto al di là dello strabismo
professionale di un magistrato che vede soltanto le reazioni dei
manifestanti e non le aggressioni a freddo della polizia, come quando si
è cercato di concretizzare la ricerca del morto auspicato dal capo
della polizia Manganelli. Un manifestante è stato inseguito al punto da
fargli cercare scampo su un traliccio; e la polizia, invece di eliminare
il pericolo telefonando all'Enel (in un minuto l'alta tensione poteva
essere tolta), ha preferito farlo minacciare da un rocciatore.
Caselli ha fatto però anche di più che lo sbirro e lo strabico, ha
infatti indossato i panni della vittima del terrorismo, ha trattato
delle contro-assemblee o delle manifestazioni di dissenso come se
fossero violenze e tentativi di togliergli la parola. Inoltre Caselli si
è rivolto agli abitanti della Val di Susa con espressioni subdole, ha
sottolineato che soltanto tre degli arrestati risiedono nella Valle,
come a dire che i problemi derivano da infiltrazioni esterne. Ha poi
concluso con la tipica retorica dell'infantilizzazione
dell'interlocutore, affermando che se alla Val di Susa si toglierà
qualcosa, le venga restituito molto di più. [3]
Questo discorso paternalistico implicava anche una sottintesa minaccia
ai valligiani: per il momento mi limito ad arrestare soprattutto persone
di fuori, voi intanto accettate i contentini che vi prometteranno,
perché domani la musica potrebbe anche cambiare. Caselli sta cercando
cioè di ridurre la resistenza No-Tav a questione interna alla Val di
Susa, mentre ormai è chiaro a tutti che il mega-tunnel ad alta velocità
costituisce un'ipoteca sulla spesa pubblica italiana per i prossimi
decenni.
Caselli in questa vicenda si è dimostrato un sepolcro imbiancato, in
senso letterale (data l'ostentazione del lavoro del suo parrucchiere),
ma soprattutto in senso allegorico e morale. Caselli ha assunto il ruolo
del lobbista pro-Tav, ed in questo ruolo ha toccato il fondo
dell'ipocrisia quando ha auspicato un ritorno al confronto tra le parti,
come se non fosse stato sempre il governo a cercare a tutti i costi sia
il fattaccio che il fatto compiuto.
Il governo Monti ha firmato alla fine di gennaio scorso un
trattato-farsa con la Francia sul mega-tunnel, un trattato in cui si è
glissato sulla questione dei pagamenti, al punto da dichiarare che una
parte "dovrebbe" versarla l'Unione Europea. Questo finto accordo è stato
sottoscritto evidentemente al solo scopo di impedire l'ipotesi di un
referendum che abrogasse le leggi-obiettivo riguardanti il tunnel per
l'Alta velocità in Val di Susa. I trattati internazionali non possono
infatti essere sottoposti a referendum. [4]
[1] http://translate.google.it/translate? ...
[2] http://www.youtube.com/watch?v=HLinfT-_S2Y
[3] http://www.youtube.com/watch?v=pPknxU7Z9r
[4] http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2012-01-30/italia-francia-ratificano-accordo-182628_PRN.shtml
Fonte.
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