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23/03/2012

Altro che modello tedesco! Le balle di Monti e dei media

In Italia chi detiene il potere può dire cosa gli pare e non certo grazie a qualche articolo della Costituzione che garantisce la libertà di parola. Chi ha il potere può dire cosa gli pare, anche delle palesi falsità, perché il blocco monolitico formato da televisione generalista (con in testa i telegiornali) e carta stampata (con in testa Gruppo l'Espresso e RCS) lo coprirà sempre in nome della stabilità dei profitti, della privatizzazione o dei diktat dei mercati internazionali.
L'ultimo grande inganno di questo governo è la riforma epocale di welfare e mercato del lavoro che vedrà lavoratori, studenti, precari, disoccupati vivere eternamente sotto il ricatto di perdere il lavoro (con ripercussioni negative su salario, sicurezza e salute) e con una copertura in caso di perdita del lavoro pressoché dimezzata.
Ma l'inganno ancora più grande sta nelle motivazioni e nelle giustificazioni del governo stesso che in modo truffaldino mette in bocca dei media la parola magica MODELLO TEDESCO. Un modello applicato in un paese con una disoccupazione giovanile all'8%, contro il 22% della media europea, il 23% della Francia e il 29% circa dell'Italia. A parte questo dato che indica, semmai, una differenza netta fra sistemi economici e produttivi fra i due paesi e non certo l'art.18, l'inganno sta nel fatto di raccontare solo una parte di quel modello. Detto in parole semplici, in Germania in caso di licenziamento illegittimo per motivi economici, è il giudice che decide se concedere al lavoratore la reintegra sul posto di lavoro oppure se sanzionare l'azienda con il pagamento di un'indennità al lavoratore. Il datore di lavoro, spiegandone le ragioni, può però rifiutarsi di ridare il posto al lavoratore. In questo caso, deve risarcire il lavoratore con un'indennità che va da 12 a 18 mensilità in base all'anzianità di lavoro. Il giudice può stabilire anche una quota aggiuntiva, sulla base dell'età e del nucleo familiare.
Con la riforma Monti-Fornero, invece, la reintegra sul posto di lavoro rischia di passare da essere un diritto del lavoratore (in caso di riconoscimento di illegittimità del licenziamento il lavoratore ha diritto a scegliere se essere reintegrato o ricevere un'indennità) a un diritto dell'azienda di mandare via illegittimamente un lavoratore pagando. Perfino Bersani, no Di Vittorio o Che Guevara, si è adirato per questa norma, visto che è peggiorativa rispetto al modello di art.18 alla tedesca che tanto piaceva al Pd. La riforma Monti-Fornero per mischiare le carte,prevede l'estensione dell'art.18, ormai depotenziato, anche alle aziende sotto i 15 dipendenti. Un po' come offrire un po' d'acqua ormai avvelenata e non più potabile a un assetato. 
Ma il modello tedesco è anche altro e difficilmente qualcuno ne sentirà parlare nei Tg o sui giornali. Un po' come successe con la legge Treu e poi con la Biagi, quando tutti tessevano le lodi del nuovo sistema di flessibilità in entrata nel mercato del lavoro senza raccontare che tutti i modelli di flessibilità avevano anche una "seconda gamba" volta a garantire i nuovi precari nei periodi di transizione da un lavoro all'altro o quando non venivano riconfermati. E come successe già 10 anni fa, anche questa volta, dei modelli liberisti e limitativi dei diritti che ci sono in giro e che hanno già fatto danni noi prendiamo solo la parte negativa. Probabilmente perché il popolo italiano crede a tutto ed è facile da imbrogliare e perché il sistema politico e sindacale è ancora più corrotto che negli altri paesi.
Ma vediamo nel concreto cos'è questo famigerato modello tedesco.
In Germania il sistema assicurativo contro la disoccupazione è obbligatorio per tutti i lavoratori subordinati che siano impiegati per almeno 18 ore settimanali e che percepiscano una retribuzione superiore a una soglia prestabilita. La cassa integrazione viene finanziata dunque dalla contribuzione sociale pari al 6,5% circa delle retribuzioni lorde, ripartito equamente tra datori e lavoratori. L'erogazione dell'indennità di disoccupazione ('Arbeitslosengeld') è subordinata a determinati requisiti (come la disponibilità ad accettare un lavoro confacente al proprio patrimonio professionale e una ricerca attiva di un'occupazione). L'entità del sussidio è calcolata sulla media delle retribuzioni dell'ultimo anno di servizio; la durata della prestazione, variabile tra i 6 e i 32 mesi, dipende dall'età e dall'anzianità contributiva del beneficiario. E' presente anche un sistema assistenziale, a carico della fiscalità generale, che prevede l'erogazione di un sussidio di disoccupazione ('Arbeitlosenhilfe') in favore dei lavoratori che hanno percepito l'indennità di disoccupazione, ma che alla cessazione del sussidio sono ancora disoccupati. Questo sussidio di disoccupazione è molto simile alla nostra 'indennità di mobilita'' (che la riforma Monti-Fornero eliminerà), ma ha requisiti meno severi per essere concesso. A queste forme di sostegno del reddito si aggiunge una terza forma di sussidio ('Sozialhilfe'), erogato a coloro che non rientrano nei due campi precedenti.
Da queste poche righe appare chiaro come in Italia si stia procedendo a un grosso taglio della spesa sui sistemi di assicurazione e sostegno in caso di perdita del lavoro, proprio in un momento in cui cassa integrazione e mobilità stanno contenendo gli effetti della crisi. Con la modifica dell'art.18 assisteremo anche a un progressivo allontanamento dal lavoro dei lavoratori più anziani (che costano di più). Aggiungiamo a questo mix mortale lo spostamento in avanti dell'età pensionabile posta in essere pochi mesi or sono dal governo fra le lacrime della Fornero, e avremo un perfetto risultato da modello sudamericano anni '80 in termine di politiche economiche e una deriva greca in termini di disastro sociale.
Ma cosa farà ora la Cgil? Semplice, cercherà di non rimanere isolata (altro mantra Cgilelino che preclude a un compromesso al ribasso) come già dimostrato dal voto della direzione nazionale. In poche parole Cgil e Pd cercheranno di darsi una mano per far vedere che in questo teatrino anche loro sono attori protagonisti e più che altro il Pd dovrà evitare di rompersi fra ex Ds che stanno con la Cgil e neomontiani a cui la riforma va bene così. Il teatrino girerà intorno all'art.18. Alla fine Pd e Cgil grideranno che vogliono il MODELLO TEDESCO ma solo per quanto riguarda i licenziamenti (ci mancherebbe avere sistemi protettivi come i tedeschi...). Quindi a livello sindacale e in parlamento la riforma passerà se ci sarà il correttivo sulla decisione del giudice sulla reintegra.
Quindi cambierà poco rispetto alla bozza di ieri, ma rimarranno i tagli alla cassa integrazione straordinaria e alla mobilità in cambio solo di un anno di Assicurazione Sociale per l'Impiego (Aspi) e rimarranno quasi tutte le forme contrattuali precarie. Insomma, alla fine la riforma andrà in porto, l'art.18 uscirà depotenziato ma soprattutto il sistema di welfare in caso di perdita del lavoro sarà quasi dimezzato (vedi scheda). Unici vantaggi saranno gli importi leggermente aumentati e l'estensione dell'indennità agli apprendisti. Molto poco rispetto a ciò che viene eliminato (la mobilità che è più lunga ma anche la cassa integrazione straordinaria in caso di cessazione attività). Ed in ogni caso, essendo mantenute molte delle tipologie di contratto "precario" l'impostazione originaria dell'Aspi (che doveva essere applicata a un contratto unico di lavoro dipendente) va a morire prima di nascere. L'indennità di disoccupazione con requisiti ridotti sarà invece sostituito con il mini-Aspi con requisiti calcolati non più sulle 78 giornate lavorative dell'anno precedente ma su 13 settimane di contribuzione nelle ultime 52 settimane al momento della disoccupazione.
L'art.18 è quindi solo una parte del disastro in atto. Non sarà solo più facile essere licenziati ma una volta perso il lavoro il sistema di protezione durerà solo 1 anno (al massimo 18 mesi per gli over55 con incremento di durata al sud) mentre prima fra cassa integrazione straordinaria e mobilità si poteva anche essere protetti per 4 anni. Gli over50 saranno quindi i più penalizzati, ma i giovani non hanno certo da festeggiare. Se infatti l'assegno di disoccupazione sarà più consistente e leggermente più lungo (da 8 mesi si passa a 12), tuttavia l'Aspi non spetterà a tutte quelle forme di lavoro precario come il lavoro a chiamata, co.co.pro (eliminata anche l'una tantum di Tremonti), partite iva mascherate, prestazioni occasionali ecc... che il governo ha lasciato in essere. E' stata confermata anche l'anzianità contributiva di 2 anni per accedervi, così per un giovane passeranno anni prima che riesca a "conquistare" questo nuovo strumento.
Se aspettiamo partiti, sindacati e parlamento il destino è segnato. Solo una reazione veemente e unita di lavoratori, precari, disoccupati, immigrati, sfrattati, studenti ecc...può fermare questo disastro.

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