Nel mese di febbraio il presidente Usa, Barack Obama, ha raccolto per la sua campagna elettorale
45 milioni di dollari, facendo registrare un netto incremento rispetto
alla somma incassata a gennaio, ovvero 29,1 milioni di dollari. Più
contenute le donazioni agli esponenti repubblicani: a febbraio Mitt
Romney ha ricevuto 11.5 milioni di dollari e Rick Santorum 9 milioni di
dollari. Dietro queste cifre ci sono anche i finanziamenti delle
corporazioni, vero ago della bilancia nel determinare l’esito delle
elezioni presidenziali 2012.
L’assunto
di fondo è che, quando una società investe in politica, è sempre per un
tornaconto. Non un tornaconto politico, ma economico. Limitazioni
legali all’esborso da parte delle corporation furono definitivamente
eliminate nel 2010 dalla Corte Suprema, col risultato che oggi chiunque
(fondazioni, associazioni, comitati, think tank, e appunto corporazioni)
può investire qualsiasi somma in una causa politica.
La storia
affonda le sue radici nella vertenza Citizens United-Commissione
Elettorale del 2008. Con la sentenza, la Corte suprema volle tutelare il
diritto dell’organizzazione conservatrice Citizens United a mandare in
onda un documentario critico di Hillary Clinton, durante le elezioni del
2008. L’importanza del pronunciamento si percepì dalla reazione di
Obama che, in un messaggio settimanale ai cittadini americani, parlò di
un ‘attacco alla democrazia’ da parte dei giudici.
Solo un anno
dopo, la spesa di gruppi ‘indipendenti’ come Citizens United crebbe dai
68,9 milioni di dollari del 2006 (mid-term elections) ai 294,2 milioni
di dollari del 2010 (sempre midterm).
A causa della cattiva
pubblicità guadagnata in passato, tuttavia, la maggior parte delle
corporazioni decise di investire in forma anonima, utilizzando dei
prestanome, spesso organizzazioni no-profit. Una pratica concessa dalla
sezione 501 della legge. La sezione 527, invece, disciplina le donazioni
nell’ambito della ‘regolare azione politica’, ovvero quelle dei
comitati elettorali che devono rivelare i loro finanziatori.
Spesso,
i messaggi televisivi sponsorizzati dalle corporazioni sono di tono
negativo: il 75 percento, secondo il difensore civico di New York, Bill
de Blasio, di quelli mandati in onda sotto la sezione 501, a fronte del
54 percento di quelli sotto la sezione 527.
Perché le corporazioni
vogliono influenzare le elezioni? Perché paga. Il ritorno è sugli
investimenti, sugli asset e sugli introiti derivanti dal governo.
Secondo uno studio dell’Università del Tennessee, le compagnie che fanno
business col governo sono anche quelle che spendono di più in attività
di lobbying politico. Il valore economico – spiegano i ricercatori –
dell’attività di lobbying è strettamente legato all’attività delle
corporation. Alcuni dei maggiori donatori anonimi sono hedge funds e
società di equity. Queste società hanno investito colossali somme per
contrastare i senatori democratici che sostenevano tassazioni sui
redditi finanziari.
Il rischio non è tanto che le elezioni del
2012 vengano comprate dagli interessi delle corporation. Occorrono
milioni di dollari per avere un impatto a livello presidenziale (nella
campagnia 2008 Obama e McCain raggranellarono un miliardo di dollari
ciascuno). Il pericolo sta invece nella possibilità che le corporation
più piccole comprino a suon di dollari centinaia, se non migliaia, di
elezioni a livello statale e locale.
I proprietari di Casino
tenteranno di influenzare le normative sul gioco d’azzardo. Compagnie
petrolifere e del gas cercheranno di inserire i loro candidati nelle
commissioni delle contee che decidiono le concessioni. Operatori
scolastici proveranno a deviare in loro favore le elezioni per i
consigli di amministrazione scolastici. E così via via, fino alle
circoscrizioni locali. In modo del tutto segreto e anonimo. Good
business, ma bad politics.
Fonte.
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