Mumbay - Il duplice omicidio dei pescatori e il successivo
arresto dei militari italiani ha aperto uno scontro diplomatico tra
India e Italia senza precedenti.
Lo scenario dello scontro è il Kerala, uno tra gli stati indiani con il
maggior grado di benessere sociale e il minor tasso di sviluppo
economico.
L'apparente paradosso è disvelatore di per sè della strumentalità della
retorica sviluppista con la quale si è cercato di trapiantare i
paradigmi del capitalismo in questa parte del mondo: qui c'è una
economia ancora legata in modo preponderante su pesca e agricoltura, un
tasso molto alto di emigrazione, ma non ci sono le schiere
impressionanti di diseredati che vivono, dormono e muoiono per strada,
non ci sono i poveri da 28 rupie al giorno (circa 40 centesimi, la nuova
soglia di povertà abbassata recentemente dal governo indiano tra le
proteste di associazioni e movimenti sociali) così come l'insormontabile
divario sociale che avverti per le strade di Delhi, Mumbay o della
silicon valley indiana di Bangalore è fortemente attutito.
In
Kerala non ci sono stabilimenti industriali fordisti o postfordisti,
non ci sono multinazionali estere nè aziende hi-tech, ma è lo stato con
la più alta alfabetizzazione dell'India che tocca quasi il 100%, con un
sistema sanitario a livelli europei, con la più bassa mortalità
infantile e la più alta aspettativa di vita. Uno stato d'inclusione e
tolleranza, in cui convivono pacificamente la maggioranza indù con le
significative minoranze religiose cristiane e musulmane.Per comprendere
l'origine di questi apparenti paradossi, bisogna volgere lo sguardo
verso la politica: a differenza degli altri stati indiani, dal 1956 il
Kerala è stato governato quasi ininterrottamente dal partito comunista
marxista fino a pochi anni or sono.
La simbologia comunista, le bandiere rosse e la falce e martello
compaiono dovunque, negli anfratti più remoti delle zone rurali come
nelle strade della moderna Kochin.
Il Kerala non è certamente la patria del comunismo ma, in una strana
commistione sincretica che arriva ad affiancare Mao e Gesù Cristo,
potrebbe con qualche forzatura essere paragonata alle regioni rosse
italiane nei trent'anni gloriosi.
Malgrado il forte radicamento sociale, come testimoniano i tassi più
alti in assoluto di adesione allo sciopero generale più grande della
storia dell'India indetto il 28 febbraio di quest'anno da oltre 5000 tra
organizzazioni sociali e sindacali, negli ultimi anni l'Indian National
Congress (il partito che guida l'India fin dalla sua indipendenza) è
riuscito più volte a strappare la maggioranza ai comunisti, come in
occasione dell'ultima tornata elettorale, complice la mancata volontà o
capacità da parte dei partiti di matrice marxista di intercettare il
sentimento sempre più diffuso in India dell'antipolitica e della lotta
alla corruzione politica (le cui similitudini nostrane ne evidenziano la
caratteristica globale di dispositivo discorsivo dominante).
Se è vero che per comprendere le ragioni dello scontro diplomatico
bisogna certamente volgere lo sguardo alle elezioni suppletive di
domenica prossima in Kerala per la sostituzione di un parlamentare
recentemente morto dell'Indian National Congress, tuttavia non ci sono
solo i numeri di una maggioranza risicata di 71 deputati contro i 68
della coalizione di sinistra, ma anche e soprattutto un sentimento
diffuso di insofferenza e di astio contro gli italiani, o meglio contro
l'italiana, che rende molto più complicata la vicenda.
L'italiana in questione è Antonia Maino, meglio conosciuta con il nome
di Sonia Gandhi, un personaggio chiave della politica indiana come lo
sono stati il marito Rajiv, la suocera Indira, il padre di quest'ultima
Jawaharlal Nehru ed ora anche suo figlio, Rahul, malgrado il suo
disastroso risultato politico alle elezioni politiche di domenica scorsa
nell' Uttar Pradesh.
Da quattro generazioni ormai l'India è indipendente, ma lo scenario
politico è da allora "ostaggio" della gestione dinastica del potere di
questa famiglia, che per un puro caso di omonimia porta lo stesso
cognome del celebre Mahatma Gandhi, il padre spirituale della nazione
indiana.
Le origini italiane di Sonia, nata in un borgo del vicentino e sposatasi
negli anni settanta con il figlio dell'allora premier Neuhru, sono
state più volte al centro del dibattito e delle accuse degli avversari
politici, al punto da costringerla già dopo la vittoria elettorale del
2004 a cedere la poltrona di premier al suo uomo fidato Manmohan Singh,
l'attuale primo ministro indiano, per zittire le accuse dei nazionalisti
per le sue origini straniere.
In questo scenario è chiaro che il governatore del Kerala, compagno di
partito di Sonia Gandhi, deve difendersi ogni giorno dalle accuse dei
comunisti e delle altre forze politiche per la carcerazione "dorata"
concessa ai militari italiani.
C'è però un altro aspetto politico determinante nei rapporti tra Italia e
India che, a differenza dello scontro sul destino dei due militari
italiani, non ha trovato eco sulla stampa in Italia: tre giorni prima
del duplice omicidio, il governo indiano e dell'Unione Europea hanno
avuto un durissimo scontro nel corso del vertice bilaterale di Delhi del
10 febbraio sull' "Accordo di libero scambio UE-India".
I paesi europei insistono da tempo sull'apertura totale del mercato
indiano attraverso una liberalizzazione selvaggia che faccia fuori
protezioni, sussidi e pianificazioni: investimenti stranieri in cambio
della deregolamentazione a tappe forzate.
Le contestazioni di ong, associazioni e movimenti in occasione del
vertice si sono concentrate in particolare sull'aspetto più meschino e
ignobile di questi accordi, quello che pretende l'adeguamento del
mercato farmaceutico indiano ai parametri e i diktat delle potenti lobby
e multinazionali occidentali: l'India infatti negli ultimi decenni si è
progressivamente configurata come la farmacia a basso costo per tutti i
paesi poveri del sud del mondo e i suoi prodotti generici hanno
permesso l'accesso alle cure per milioni di persone, come nel caso della
produzione indiana dei farmaci generici contro l'Hiv/Aids, oggi
utilizzati da quasi il 90% dei sieropositivi, che ha abbassato il costo
della cura anti-retrovirale a meno di 70 dollari per persona all’anno
dai 10.000 dollari del 2001 oppure il caso riportato oggi su tutti i
giornali indiani dell'autorizzazione alla Natco Pharma di produrre una
"copia" delle compresse di Nexavar abbattendo del 98% i costi imposti
dagli speculatori delle disgrazie e delle malattie, in questo caso la
multinazionale Bayer che fino ad ora poteva incassare ben 120 euro al
giorno per ogni malato di cancro che ricorreva a tale terapia.
Insomma, lo scenario fantascientifico del film "In time" dove il tempo
di vita diventa letteralmente il denaro, non è poi così lontano dalla
realtà: si percepisce nitidamente da queste longitudini ma basteranno
questi "trent'anni gloriosi" del capitalismo orientale inversamente
proporzionali alla crisi economica occidentale, per fare diventare i
nostri precari di oggi quei non-pensionati di domani impegnati a
rincorrere il tempo.
L'ipocrisia e la sporcizia occidentale - quella vera, non quella delle
strade indiane - è tutta qui: nel voltarsi dall'altra parte ogni volta
che incrocia gli sguardi e le grida d'aiuto che provengono da questo
"formicaio umano" che pullula di disperazione, povertà, disuguaglianza e
disagio sociale, ma nello stesso tempo di mobilitarsi politicamente e
diplomaticamente, accaldarsi ed impuntarsi per impedire in tutti i modi
un processo e l'eventuale carcere per due presunti assassini.
Fonte.
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