Ma interessa ancora a qualcuno sapere perché vent’anni fa è morto Paolo
Borsellino con gli uomini di scorta? Sapere perché l’anno seguente sono
morte 5 persone e 29 sono rimaste ferite nell’attentato di via dei
Georgofili a Firenze, altre 5 sono morte e altre 10 sono rimaste ferite
in via Palestro a Milano, altre 17 sono rimaste ferite a Roma davanti
alle basiliche? Interessa a qualcuno tutto ciò, a parte un pugno di pm,
giornalisti e cittadini irriducibili? Oppure la verità su quell’orrendo
biennio è una questione privata fra la mafia e i parenti dei morti ammazzati?
È questa, al di là delle dotte e tartufesche disquisizioni sul concorso
esterno in associazione mafiosa, la domanda che non trova risposta nel
dibattito (si fa per dire) seguìto alla sentenza di Cassazione su Marcello Dell’Utri e alle parole a vanvera di un sostituto Pg. O meglio, una risposta la trova: non interessa a nessuno.
A parte i soliti Di Pietro e Vendola, famigerati protagonisti della
“foto di Vasto” che va cancellata o ritoccata come ai tempi di Stalin,
magari col photoshop, non c’è leader politico che dica: “Voglio sapere”.
Anzi, dalle dichiarazioni dei politici che danno aria alla bocca senza
sapere neppure di cosa parlano, traspare un corale “non vogliamo
sapere”.
Forse perché sanno bene quel che emergerebbe, a lasciar fare i
magistrati che vogliono sapere: il segreto che accomuna pezzi di Prima e
Seconda Repubblica, ministri e alti ufficiali bugiardi e smemorati,
politici, istituzioni, apparati, forze dell’ordine, servizi
di sicurezza. Quel segreto che viene violato solo quando proprio non se ne può fare a meno
perché mafiosi e figli di mafiosi han cominciato a svelarlo. Quel
segreto che ha garantito carriere ai depositari e ai loro complici. Già
quel poco che si sa – che poi poco non è – è insopportabile per un
sistema che si ostina a raccontarci la favoletta dello Stato da una
parte e dell’Antistato dall’altra, l’un contro l’altro armati. La
leggenda del “mai abbassare la guardia”, delle “centinaia di arresti e
sequestri”, “della linea della fermezza”, del “tutti uniti contro la
mafia”, mentre dietro le quinte si tresca con quella per venire a patti,
avere voti, usarla come braccio armato e regolare i conti sporchi della
politica, rimuovendo un ostacolo dopo l’altro: da Mattarella, La Torre,
Dalla Chiesa, giù giù fino a Falcone e Borsellino.
Ora, nel ventennale di Capaci e via D’Amelio, prepariamoci a un surplus di retorica,
nastri tagliati, cippi, busti e monumenti equestri, moniti quirinalizi,
lacrime tecniche e sobrie, corone di fiori delle alte cariche dello
Stato (anche del presidente del Senato indagato per concorso esterno che
spiega all’Annunziata la sua teoria di giurista super partes sul
concorso esterno senza neppure arrossire). Sfileranno in corteo
trasversale quelli che -come da papello – han chiuso
Pianosa e Asinara, svuotato il 41-bis facendo finta di stabilizzarlo
come da papello, abolito i pentiti per legge, tentato di abolire pure
l’ergastolo, regalato ai riciclatori mafiosi tre scudi fiscali.
Quelli che han detto “con la mafia bisogna convivere” e ci sono riusciti benissimo. Casomai interessasse a qualcuno, i disturbatori della quiete pubblica
riuniti nell’Associazione vittime di via dei Georgofili, guidata da una
donna eccezionale, Giovanna Maggiani Chelli, hanno appena reso noto la sentenza
con cui la Corte d’assise di Firenze ha mandato all’ergastolo l’ultimo
boss stragista, Francesco Tagliavia. “Una trattativa – scrivono i
giudici – indubbiamente ci fu e venne, quantomeno inizialmente,
impostata su un do ut des. L’iniziativa fu assunta da rappresentanti
delle istituzioni e non dagli uomini di mafia”. Dopo il concorso
esterno, se ci fosse un po’ di giustizia, la Cassazione dovrebbe abolire
anche la strage. Oppure unificare i due reati in uno solo, chiamato
“schifo”.
Fonte.
Il Travaglio umano è indubbiamente il migliore.
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