Un anno dopo Fukushima, il ground zero del
Giappone è una zona spettrale. In un raggio di 20 Km attorno agli
scheletri accartocciati delle centrali atomiche, l’ambiente è stato
dichiarato “inadatto alla vita”. Persino la Capitale, distante 250 km,
secondo quanto è emerso nei giorni scorsi da un rapporto riservato della
Commissione giapponese per l’energia atomica, è stata a rischio
evacuazione. “Malgrado sia un paese tecnologicamente avanzato, il
Giappone si è trovato impreparato di fronte al disastro nucleare.
Incapace di anticipare gli eventi, come se non fossero stati approntati
adeguati piani d’emergenza per proteggere i cittadini e l’ambiente”. È
la denuncia di un fallimento. Impietosa. Proviene da un rapporto
elaborato da Greenpeace, intitolato “Lezioni da Fukushima”.
Secondo l’associazione ambientalista, che cita la relazione preliminare presentata lo scorso dicembre dalla Commissione d’inchiesta sugli incidenti di Fukushima, “la Tepco,
società elettrica nipponica, non era preparata ad affrontare un
incidente nucleare. Se la compagnia e le autorità non avessero compiuto
così tanti errori all’inizio della catastrofe, la quantità d’inquinanti
radioattivi liberati nell’ambiente sarebbe stata di gran lunga
inferiore”. Negli atti della Commissione, che concluderà i suoi lavori
quest’estate, si legge che “dal momento in cui l’energia nucleare è
presentata come sicura, diventa poi difficile considerare in quali
direzioni una situazione di pericolo possa evolvere e cosa possa essere
fatto per contenerla. Nessuna evenienza può essere ignorata, solo perché
la probabilità che si verifichi è bassa”.
Notizie contraddittorie. Errori di valutazione. Reticenze e
sottovalutazioni dei pericoli per la popolazione. È lungo e articolato
l’elenco delle inadempienze descritto dal rapporto. Si va dai piani di evacuazione
“inadeguati perché basati su rigidi cerchi concentrici”, alle scorte di
viveri nei centri di raccolta “esaurite in pochi giorni”. A causa
dell’erroneo utilizzo di un software per la previsione del fallout radioattivo,
per esempio, “molte persone sono state trasferite in zone più
contaminate dei luoghi di provenienza”. E non è andata meglio nella
risposta delle strutture sanitarie. “In una casa per anziani 45 pazienti
su 440 sono morti – si legge nel rapporto – perché il personale è
fuggito. E gli ospedali della provincia di Fukushima hanno dovuto sospendere le attività, perché molti medici e infermieri si sono dimessi per non essere esposti alle radiazioni”.
Secondo Greenpeace, l’emergenza è tutt’altro che
risolta. I 3mila tecnici che ancora operano nelle centrali – i soli
autorizzati a varcare il confine virtuale della non vita – sono riusciti
solo tre mesi fa a riportare le temperature dei noccioli entro i limiti
di guardia. Ma a Fukushima le centrali continuano a sprigionare sostanze radioattive.
L’ultima stima dell’Istituto di radioprotezione e sicurezza nucleare
francese è pari a 70 milioni di Becquerel l’ora. All’interno delle
centrali il livello di radioattività è ancora altissimo: 1500
micro-sievert l’ora, contro una soglia di rischio di circa 0,2. “Non è
ancora chiaro quale sia la reale entità dei danni causati
dall’inquinamento radioattivo”, sottolinea il rapporto. Secondo i dati dell’ente francese, a largo della centrale, per centinaia di km, il Pacifico registra ormai livelli di cesio 137
mille volte superiori alla norma. E la quantità di radionuclidi
nell’atmosfera è compresa tra il 10 e il 40 per cento di quella liberata
a Chernobyl.
Il governo nipponico tenta adesso di correre ai ripari.
E, con un ordinanza dello scorso dicembre, promette la decontaminazione
di tutte le zone in cui l’irradiazione superi 1 millisievert l’anno. Si
tratta di un’area di circa 13mila Km quadrati e di 29 milioni di metri
cubi di materiale da bonificare. In pratica, una superficie pari al 3
per cento dell’intero territorio giapponese. Il costo stimato è di circa 16 miliardi di dollari.
Capitolo scottante, quello dei costi. Solo una minima
parte dei 150mila cittadini evacuati è stata, infatti, indennizzata.
Previa compilazione di una complicata domanda di 60 pagine, che ha
spinto molte famiglie a desistere. Secondo il rapporto, “la Tepco
disporrebbe di una copertura assicurativa di 1,5 miliardi di dollari, a
fronte di una stima degli interventi pari a 600 miliardi di dollari. Il
governo giapponese dovrà, pertanto, intervenire – precisa Greenpeace -.
Un chiaro esempio di come si possano privatizzare gli utili e
socializzare le perdite”.
Fonte.
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