La Francia è pronta a «schierarsi al fianco» di Israele «se la sua
sicurezza fosse minacciata», ma «non per aiutarlo ad attaccare altri
Paesi» e in particolare l’Iran. È stato perentorio il ministro degli
esteri francese Alain Juppè, rispondendo alle domande di Le Monde. E
altrettanto espliciti contro la guerra (almeno per ora) lo sono stati
anche il presidente Usa Barack Obama e il premier britannico David
Cameron, quando l’altro giorno hanno ribadito che «c’è tempo e spazio»
per la diplomazia. Eppure Benyamin Netanyahu non cambia idea. Il premier
israeliano, secondo la stampa locale, non ha ancora deciso in via
definitiva l’attacco contro Tehran ma è vicino a muovere quel passo.
Netanyahu non sembra avere alcuna intenzione di aspettare l’esito delle
presidenziali americane di novembre perché, scriveva un paio di giorni
fa Ben Caspit su Maariv, non è affatto sicuro che Obama affronterà il
«problema iraniano» in maniera «appropriata» dopo l’eventuale
rielezione, scatenando una nuova guerra nel Golfo.
Netanyahu attaccherà. Lo ha annunciato più o meno apertamente l’altro
giorno parlando alla Knesset, prima della fine dell’anno perché,
sostiene il premier, l’Iran nel 2013 sarà in grado di assemblare un
ordigno nucleare (Israele ne possiede almeno 200 in segreto ma tutti
fingono di non saperlo). Ed è pronto a farlo senza il via libera di
Washington, come nel 1981 decise il primo ministro Menachem Begin
ordinando l’attacco del sito iracheno di Osirak. Dalla sua parte il
premier ha 8 dei 14 ministri che compongono il «gabinetto di sicurezza».
Altri sei, tra i quali Benny Begin (il figlio di Menachem), sono
contrari. La preparazione dell’attacco prosegue senza sosta, a livello
militare e sul «fronte interno», quello dei civili che pagheranno le
conseguenze della inevitabile risposta iraniana all’attacco subito.
I piloti israeliani si addestrano da anni a colpire a 1.600 km dalle
loro basi, grazie anche a Grecia e Italia che hanno messo i loro
aeroporti (di recente in Sardegna) a disposizione per queste
esercitazioni speciali. Lo Stato ebraico possiede circa 300 aerei da
combattimento tra i più avanzati al mondo e 100 di questi prenderanno
parte al raid. Alcune decine attaccheranno i siti atomici, come gli F15i
in grado di trasportare oltre due tonnellate di bombe, a cominciare
dalle GBU-28, le «bunker-busting» guidate dai laser capaci di
distruggere bersagli nascosti in profondità. Altri, come gli F-16i, si
occuperanno della contraerea e dei radar. La resistenza iraniana sarà
tenace. Tehran non possiede un’aviazione in grado di contrastare quella
israeliana ma ha un sistema di difesa antiaerea efficace, fondato su una
imitazione del sistema russo S-300. Ma a giocare contro i piloti
israeliani sarà anche la distanza. I 100 cacciabombardieri dovranno
rifornirsi in volo da sei aerei cisterna nello spazio aereo di altri
paesi. E non sarà facile. Le rotte sono tre: attraverso la Turchia, per
la Giordania e l’Arabia saudita o passando per Giordania e Iraq. La più
facile è la rotta turca ma Ankara, da tempo in pessimi rapporti con Tel
Aviv, ha già detto un secco «no». L’Arabia saudita, nemica dell’Iran,
aprirebbe volentieri il suo spazio aereo ma rischia di esporsi troppo
alla reazione di Tehran. Rimane il passaggio per Giordania e Iraq,
praticabile viste le ottime relazioni tra Tel Aviv e Amman e
l’incapacità di Baghdad di proteggere il suo spazio aereo.
È una missione audace, di quelle che piacciono ai leader israeliani,
ma oltre a gettare la regione in una nuova guerra, riuscirà a bloccare
solo per un breve periodo i progetti nucleari di Tehran. Da parte loro i
civili israeliani dovranno fare i conti con l’arrivo di missili
balistici (Shihab) ben più potenti e precisi dei vecchi Scud iracheni
del 1991. In Israele si stanno costruendo parcheggi sotterranei
trasformabili in rifugi per migliaia di persone. Come quello di piazza
Habima a Tel Aviv. Qualche mese fa mentre in superficie, nella adiacente
via Rothschild, gli indignados protestavano contro il carovita, sotto
terra veniva completato un parcheggio di quattro livelli in grado di
proteggere 1.600 persone anche da un attacco chimico, grazie ai suoi
speciali filtri dell’aria. «Ma non facciamoci illusioni – avverte Moshe
Tiomkin del consiglio comunale – sulla nostra città non cadranno
soltanto 40 missili come nel 1991». E non mancano voci contro l’attacco
all’Iran. Dopo David Grossman anche un altro scrittore, Amos Oz, è sceso
in campo per accusare il premier Netanyahu di «seminare isteria».
Fonte.
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