Dopo
l'incontro di ieri, infatti, le parti si ritroveranno giovedì
prossimo, dopo il direttivo della Cgil e la direzione Uil , non per
firmare o meno un documento ma per redigere “un verbale” sulla base del
quale stendere le norme che il governo porterà in Parlamento.
Quest'ultimo, secondo Monti, resta “l'interlocutore privilegiato” il
che significa che non si procederà con un decreto-legge ma
probabilmente con una legge-delega (si deciderà “con il Capo dello
Stato”, dice Monti). Si tratta di una disponibilità a tenere aperto il
dibattito che in realtà creerà problemi solo al Pd e che, invece,
soddisfa Cisl e Uil. Il segretario della prima, Bonanni, esulta dice
che a lui la riforma “piace” si disponde a strappare ancora dei
miglioramenti mentre Luigi Angeletti sostiene che “per dare un giudizio
positivo occorrono delle modifiche”.
La
Cgil, dal canto suo, rimane fuori anche se non è costretta a sancire
la spaccatura sindacale con una firma su un documento. Però resta sola e
Camusso, nella conferenza stampa finale, non può che attaccare il
piano del governo - "è squilibrato" - e annunciare che la Cgil "si
metterà alla testa di un movimento" per cambiare le carte. Un annuncio
di mobilitazione i cui termini saranno definiti al direttivo.
Di
fatto l'articolo 18 sparisce. Rimarrà solo per i licenziamenti
“discriminatori”, anzi sarà esteso anche alle imprese sotto i 15
dipendenti. In questo caso ci sarà sempre il reintegro. Ma per i
licenziamenti più diffusi, quelli economici, non ci sarà più il
reintegro ma solo un indennizzo tra le 15 e le 27 mensilità dell'ultima
retribuzione (che però sembrano troppe al rappresentante delle piccole
imprese). Per i licenziamenti disciplinari, infine, sarà il giudice a
stabilire se l'ingiustificato motivo dia diritto al reintegro (nei casi
più gravi) o all'indennizzo fissato al massimo in 27 mensilità (ma non
c'è minimo). Nessuna stretta sui contratti atipici, nessuna
eliminazione di flessibilità - tranne le associazioni in partecipazione
e una stretta sulle partite Iva - e anche l'apprendistato non darà
diritto automaticamente alla stabilizzazione. Viene eliminata la norma
delle dimissioni in bianco, introdotti i "congedi di paternità" e alle
piccole imprese viene tolto l'aggravio dell'1,4 per cento sui contratti
a tempo determinato per gli stagionali e i sostitutivi. Ripristinato
anche il limite dei 36 mesi per un contratto flessibile oltre il quale
diventa indeterminato.
Insomma, in
cambio della fine dell'articolo 18 non si ottiene nulla, anche la nuova
Assicurazione sociale per l'impiego (Aspi) di fatto sostituisce la
disoccupazione ma elimina la mobilità che resta per un periodo
transitorio più lungo, fino al 2017, ma poi scompare. E anche la Cassa
integrazione rimane intatta nell'ordinaria ma dimagrisce nella
straordinaria. Un colpo duro, quindi, che non era riuscito nemmeno al
governo Berlusconi.
Vedi anche:
La riforma Fornero non garantisce partite Iva e co.co.pro.Fonte.
Inutile girarci intorno, il Governo Monti, avvalendosi della crisi a mo di spauracchio, ha trovato la quadra per demolire in modo sistemico e sufficientemente sobrio (per non scatenare una guerra civile, almeno fino ad ora) i diritti dei lavoratori conquistati in decenni di lotte.
I licenziamenti economici, infatti, non sono altro che una branca di quelli discriminatori perché si fondano sulla discriminate di base tra datore di lavoro e dipendete, ovvero la dipendenza del secondo dal capitale posseduto dal primo.
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