L’esercito siriano avrebbe preso il totale controllo della città di
Idlib, nella Siria nord occidentale, dopo un assalto durato quattro
giorni. Lo ha riferito alla stampa internazionale un attivista –
Noureddine al-Abdo – che parla anche di dieci morti ieri in tutto il
Paese e in particolare nelle provincia di Idlib.
A
livello militare è un posto strategico, perché la cittadina di Idlib si
trova vicina al confine con la Turchia, paese tra i più fermi nel
sostenere il rovesciamento del regime di Assad. Impossibile la verifica,
come da sempre accade in Siria, sia per quanto riguarda le azioni dei
lealisti che per quanto riguarda le azioni dei ribelli.
Sui
componenti di questi ultimi continuano ad addensarsi dubbi. La Russia,
ieri, 13 marzo 2012, si è detta preoccupata che le armi inviate agli
oppositori dell regime di Bashar al Assad possano finire nelle mani di
al-Qaeda. Lo ha dichiarato il ministro degli Esteri di Mosca, Sergei
Lavrov, precisando che i Paesi occidentali hanno iniziato a realizzare
la necessità di sforzi congiunti per risolvere la crisi, piuttosto che
continuare ad assegnare alla Russia la responsabilità di quanto sta
accadendo a causa del veto posto da Mosca alla risoluzione contro Assad.
”Queste
armi vengono inviate in Siria attraverso i paesi confinanti, e non si
tratta solo di armi leggere, ma anche di cose più serie”, ha detto
Lavrov. ”La tentazione di attribuire in modo artificiale a noi la
responsabilità di quanto sta accadendo in Siria sta scemando. Si capisce
meglio che è necessario agire insieme ed esercitare pressioni sulle
forze in campo”, ha dichiarato il ministro russo di fronte al Consiglio
di sicurezza delle Nazioni Unite a New York.
Certo la Russia, fin
dal primo giorno, è schierata in difesa di Assad. Cosa che non hanno mai
fatto gli Stati Uniti, che pure hanno sostenuto la stessa cosa il 17
febbraio scorso. Lo ha fatto il direttore del National Intelligence Usa,
James Clapper, che è stato il primo ufficiale di alto rango a stelle e
strisce ad ammettere in un’intervista al quotidiano britannico The Telegraph
che la Casa Bianca starebbe indirettamente finanziando i ribelli, e
soprattutto che Assad starebbe combattendo contro il braccio militare di
Al Qaeda in Iraq.
Secondo Clapper, gli attentati kamikaze a
Damasco e ad Aleppo di dicembre avevano tutte le caratteristiche di
attacchi in stile al-Qaeda. Clapper aggiungeva che i gruppi di
opposizione siriani che combattono contro le truppe di Assad potrebbero
essere stati tutti infiltrati da uomini fedeli ad Al Qaeda, anche a loro
insaputa. La mancanza di un comando unificato e di una organizzazione
efficiente all’interno dell’opposizione siriana avrebbe sostanzialmente
lasciato una porta spalancata agli estremisti islamici per inserirsi
nelle dinamiche interne del Paese. Inoltre, se lo Stato dovesse
collassare, Al Qaeda troverebbe il territorio ideale per radicarsi.
Un’analisi
che si ritrova nelle conclusioni del lavoro congiunto dell’intelligence
di Francia e paesi del Maghreb, che sono state pubblicate ieri dal
quotidiano algerino el-Khabar. Secondo gli analisti citati dal
giornale, al-Qaeda vuole partecipare direttamente alla guerra in Siria
e, per questo, sta reclutando in Francia e in alcuni dei Paesi del Nord
Africa miliziani da dispiegare accanto agli insorti anti-Assad.
Quel
che starebbe emergendo dall’inchiesta, che è all’inizio, è che al Qaida
è entrata in Siria, reclutando elementi, poi fatti arrivare nel Paese,
seguendo un lungo percorso che ha avuto la Turchia come ultima tappa
prima di valicare la frontiera turco-siriana. L’indagine e scattata
qualche mese fa in Francia quando l’intelligence, che tiene
costantemente sotto stretto controllo gli estremisti islamici, ne ha
perso di vista una ventina, cinque dei quali con passaporto francese, ma
di origine algerina.
Con loro anche algerini e marocchini,
scomparsi tutti nella seconda metà dello scorso anno, e che hanno
attirato l’attenzione della magistratura transalpina. La loro scomparsa
ha indotto le autorità francesi a contattare quelle algerine, marocchine
e tunisine per capire che fine essi avessero fatto, e se e per cosa
fossero rientrati nei Paesi d’origine. Il sospetto è che siano ormai
organici ad al Qaida e, quindi, dopo un addestramento militare, siano
stati dislocati in Siria, accanto agli insorti. A dare corpo a questa
ipotesi investigativa è stato l’arresto – in Algeria – di un giovane
trovato in possesso di una registrazione di combattimenti di miliziani
di al-Qaeda nella città libica di Misurata. L’uomo avrebbe anche
aggiunto che i cinque franco-algerini avrebbero preso parte ai feroci
scontri di Misurata. Il sospetto è che dodici franco-algerini siano già
in Siria, che hanno raggiunto dalla Turchia, passando illegalmente le
frontiere tunisine, grazie anche a falsi passaporti libici.
Un
filone d’inchiesta tutto da verificare, ma che sempre di più dipinge uno
scenario ‘libico’ per la Siria, a differenza delle dinamiche viste
all’opera in Egitto e Tunisia. La stessa opposizione ad Assad non aiuta a
far chiarezza su queste dinamiche. ”Ho lasciato il Consiglio nazionale
siriano (Cns) perché nel gruppo regna la confusione, non c’è sufficiente
chiarezza su quello che si può ottenere in questo momento e non siamo
andati molto avanti nell’impresa di armare i ribelli”, ha detto Haitham
al-Maleh, ex giudice di 81 anni. Secondo al-Maleh diversi altri membri
del Cns intendono fare lo stesso.
Il tutto mentre Assad annuncia,
sfiorando i toni del surreale, le elezioni legislative per il prossimo 7
maggio. Sentendosi rafforzato dal veto di Mosca e Pechino, oltre che da
posizioni riconquistate sul campo a Homs e Idlib. Sempre più l’unica
certezza di questa guerra sono le vittime civili, ma non si può smettere
di chiedersi chi le uccide. Nessuno più di questo giornale, e di PeaceReporter
prima, ha denunciato tutti i crimini di Gheddafi e di Assad, anche
quando i media e i governi li incensavano come statisti e come elementi
di stabilità. Proprio per questo, come sempre, si denunciano le zone
d’ombra. Di qualsiasi natura esse siano.
Fonte.
Il confronto statunitense con l'Iran sta costando molto più del dovuto e dell'accettabile (anche a livello politico) all'intero Medio Oriente.
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