1. L'epoca storica iniziata 250 anni fa con la rivoluzione
industriale si sta avviando a conclusione. Molti e concomitanti segnali
lo fanno intravedere. La crescita della produzione di merci, che ne ha
costituito il carattere distintivo rappresentando non solo il fine
ultimo delle attività economiche, della ricerca scientifica e delle
innovazioni tecnologiche, ma anche il riferimento fondante del sistema
dei valori e della coesione sociale, si è inceppata e trova difficoltà
sempre maggiori a riproporsi.
Il consumo annuo delle risorse rinnovabili ha superato la loro
capacità di rigenerarsi e il divario aumenta in continuazione
accrescendo la miseria dei popoli a cui viene sottratto il necessario
per vivere; il consumo delle risorse non rinnovabili ha ridotto i loro
stock, in qualche caso pericolosamente; è stata bruciata almeno la metà
delle riserve globali di petrolio e quello che resta viene estratto in
quantità sempre maggiori; le emissioni liquide, solide e gassose
generate dalle attività antropiche hanno superato la capacità
dell'ecosistema terrestre di metabolizzarle, in particolare l'anidride
carbonica generata dalla combustione di fonti fossili. Dopo aver
assorbito quantità crescenti di risorse dal pianeta, aver diffuso nei
suoi cicli biochimici quantità sempre maggiori di veleni e averne
causato sempre più gravi scompensi circolatori, la crescita della
produzione di merci, come una neoplasia allo stadio terminale, lo ha
debilitato a tal punto da ricavare con sempre maggiore fatica ciò che le
serve per continuare a crescere.
2. Alla crisi energetica e alla crisi ambientale si è
aggiunta nel 2008 una crisi di sovrapproduzione di merci che non è stata
debellata dalle tradizionali misure di politica economica finalizzate
ad aumentare la domanda mediante le commesse di grandi opere pubbliche,
la riduzione delle tasse e i sussidi statali all'acquisto delle merci
invendute. Le enormi quantità di denaro investite a tal fine non solo
non hanno rimesso in moto la crescita, ma hanno incrementato i deficit
pubblici fino all'insolvenza, costringendo gli Stati più indebitati a
diminuire la spesa pubblica e aumentare le tasse. Queste scelte
comportano una riduzione della domanda e, quindi, un aggravamento della
crisi di sovrapproduzione, che si traduce in una diminuzione del numero
degli occupati, da cui deriva una riduzione del potere d'acquisto e una
riduzione ulteriore della domanda. L'intreccio della crisi ambientale,
della crisi energetica, della crisi economica e della crisi
occupazionale delinea la diagnosi di una malattia da cui non c'è
possibilità di guarigione se la tecnologia e il lavoro non vengono
indirizzati a ridurre alle potenzialità fisiologiche della terra il
prelievo annuo delle risorse da trasformare in merci e l'immissione
delle sostanze di scarto che i cicli biochimici sono in grado di
metabolizzare, eliminando del tutto le sostanze nocive che li
avvelenano.
3. La crescita della produzione di merci non si può
realizzare se contestualmente non cresce il consumo di merci. Pertanto
le società che finalizzano le attività economiche alla crescita della
produzione di merci non possono non porre il consumo a fondamento del
loro sistema di valori e dei modelli di comportamento condivisi.
Nell'immaginario collettivo di queste società il consumo costituisce il
fattore fondamentale del benessere individuale e sociale. Il progresso
si identifica con la crescita della produzione e del consumo di merci.
Le posizioni di chi, come ha fatto la chiesa cattolica, condanna il
consumismo perché comporta un appiattimento materialistico degli esseri
umani ed esalta al contempo come un miracolo la crescita della
produzione di merci, sono illogiche e non credibili, penose e ridicole.
4. Per produrre quantità sempre maggiori di merci occorre
introdurre sistematicamente nei processi produttivi tecnologie
innovative in grado di aumentare la produttività. Per indurre a
consumare quantità sempre maggiori di merci occorre introdurre in
continuazione nei mercati prodotti innovativi che tengano alta la
domanda ben oltre le necessità effettive. Pertanto, un sistema fondato
sulla crescita della produzione e del consumo di merci ha bisogno di
valorizzare il nuovo in quanto tale e, quindi, l'innovazione, cioè la
capacità di sostituire in continuazione il nuovo con un più nuovo,
ovvero di far diventare il nuovo sempre più rapidamente vecchio. «Il
capitalismo - quale che sia il concetto e il giudizio che se ne dia - ha
scritto Eugenio Scalfari, uno dei più autorevoli esponenti
dell'intellighenzia progressista italiana - coincide (dovrebbe) con
l'innovazione e con la concorrenza, travolge il vecchio e porta avanti
il nuovo». La valorizzazione del nuovo e la svalutazione del vecchio o,
in altri termini, la valorizzazione del cambiamento e la svalutazione
della conservazione, sono stati i fattori culturali che hanno nascosto
sotto la seducente apparenza di un incessante avanzamento verso il
meglio i danni causati nel pianeta dalla crescita del prelievo di
risorse necessarie alla crescita della produzione di merci e dalla
crescita delle emissioni inquinanti che ne conseguono.
5. Nella diffusione del valore del nuovo in quanto tale
un ruolo decisivo è stato svolto dalle correnti artistiche del
novecento catalogate con le formulazioni generiche e intercambiabili, di
arte moderna e arte contemporanea. Poiché l'aggettivo moderno significa
etimologicamente odierno (deriva dall'avverbio latino modo, che
significa ora ed è rimasto sotto la forma contratta mo' nei dialetti
dell'Italia meridionale), tutte le opere d'arte quando vengono fatte
sono moderne e sono destinate in breve tempo a non esserlo più. La
modernità è un abito che si può indossare per un solo giro di ballo. Con
analoga indeterminatezza l'aggettivo contemporaneo indica la
contestualità cronologica di un fenomeno con chi l'osserva o lo
descrive. Da cui si deduce che contemporanee sono le opere d'arte che si
fanno ai nostri tempi, ma col passare degli anni non lo saranno più. Le
capacità descrittive degli aggettivi moderno e contemporaneo applicati
alle opere d'arte sono praticamente nulle. Solo nel quadro concettuale
che considera il nuovo come un valore in sé riescono ad uscire dalla
genericità di una definizione temporale relativa e ad assumere la
connotazione di un criterio interpretativo. Le opere a cui viene
riconosciuto il diritto di essere catalogate nell'arte moderna e
contemporanea non sono tutte quelle che vengono fatte ai nostri tempi,
ma solo quelle che contribuiscono al processo di modernizzazione
proponendosi programmaticamente di essere innovative rispetto alle opere
fatte prima. Sono classificabili come moderne e contemporanee solo le
opere d'arte che concorrono a rompere i vincoli con cui il passato frena
la proiezione dell'umanità verso il futuro. Solo le opere d'arte che
concorrono a svellere i legami con cui la tradizione avviluppa la
creatività e frena il progresso. Solo le opere d'arte che concorrono
all'affermazione della modernità e alla sconfitta dei suoi nemici.
6. Il valore dell'innovazione nella ricerca artistica si è
manifestato per la prima volta nella storia all'inizio del secolo scorso
con le avanguardie artistiche. Una definizione di cui è stata messa in
evidenza la matrice militare, come del resto di origine militare è
l'etimologia della parola progresso, usata dai generali romani per
indicare l'avanzamento dei loro eserciti nei territori nemici. Le
avanguardie artistiche si sono autorappresentate come manipoli di
spregiudicati innovatori che, rompendo con la mentalità e il sistema dei
valori vigenti, si spingevano a esplorare territori sconosciuti, a
rompere convinzioni consolidate, a sperimentare nuove modalità
espressive, con l'obbiettivo di anticipare mutamenti culturali, in senso
lato, che, grazie a loro, in seguito si sarebbero imposti a livello di
massa. Un atteggiamento programmaticamente anticonformista e sovversivo,
che sin dall'inizio ha trovato il sostegno dei settori industriali,
finanziari e politici interessati ad accelerare i processi di
modernizzazione, industrializzazione e urbanizzazione avviati in quegli
anni, a sostituire nell'immaginario collettivo il valore della
conservazione e dell'attaccamento al passato col valore del cambiamento e
della proiezione verso il futuro, a trasformare le regole da valori
sociali condivisi in vincoli mentali che limitano la libertà degli
individui, rallentano la penetrazione del nuovo e impediscono la
diffusione dei miglioramenti che le innovazioni sono in grado di
introdurre nelle condizioni di vita. Anche quando la collaborazione tra
le avanguardie artistiche del novecento e i settori economico-produttivi
in ascesa non è stata diretta, come è avvenuto con i futuristi, il
Bauhaus e Le Corbusier, la sintonia è stata totale e si è tradotta in un
sostegno reciproco: gli artisti d'avanguardia hanno contribuito in
maniera determinante a fornire dignità culturale al sistema di valori di
cui il sistema economico e produttivo finalizzato alla crescita della
produzione e del consumo di merci aveva bisogno per affermarsi; il
sistema economico e produttivo ha favorito l'affermazione delle
avanguardie artistiche mettendo a loro disposizione gli strumenti del
suo potere: gallerie, musei, università, istituzioni culturali,
committenti, collezionisti, critici, giornali. Valorizzando le
avanguardie rafforzava la loro capacità di valorizzare i mutamenti
culturali di cui aveva bisogno per conquistare un consenso generalizzato
al modello economico e produttivo che stava cambiando totalmente il
modo di vivere delle persone e l'organizzazione sociale.
7. La persistenza dei valori della civiltà contadina, il rispetto
delle regole tramandate dai padri, la sobrietà, la conservazione, la
continuità dei modelli di comportamento tra le generazioni, la durata
nel tempo degli oggetti, non erano compatibili con la crescita della
produzione e del consumo di merci. Dovevano essere ridicolizzati e
percepiti come anacronistici per essere sostituiti da un sistema opposto
di valori fondato sulla trasgressione sistematica delle regole, la
cesura col passato, la proiezione continua nel futuro, la velocità, i
cambiamenti, le innovazioni. Le avanguardie artistiche hanno esaltato
questi valori, l'arte moderna e contemporanea ne ha fatto i suoi canoni.
Canoni ancora più rigidi dei canoni che dichiarava di voler abbattere.
Ne è risultato un capovolgimento di senso delle parole e dei concetti
che esprimono. La trasgressione delle regole è diventata la regola a cui
uniformarsi. La disobbedienza un imperativo a cui obbedire. Bisogna
essere disobbedienti. L'innovazione un obbligo. L'anticonformismo si è
trasformato nel più rigido conformismo. Impossibile trovare un
intellettuale in qualsiasi campo che non fosse anticonformista. A chi ha
avuto il coraggio, o l'incoscienza, di non adeguarsi a questo modello e
di agire in modo autonomo, si sarebbe potuto chiedere ironicamente
perché non facesse l'anticonformista come tutti gli altri.
8. Negli anni successivi alla fine della seconda guerra
mondiale la crescita della produzione di merci ha provocato uno
sconvolgimento radicale dei modi di vivere e del sistema dei valori.
L'urbanizzazione, il consumismo, gli sviluppi della tecnologia, il
potenziamento delle reti e dei mezzi di trasporto e comunicazione, i
mass media e la pubblicità hanno reciso i legami coi modi di vivere e
con i valori del passato, proiettando l'umanità in un vortice incessante
di cambiamenti. La necessità di mantenere alto il tasso di crescita
della produzione e del consumo di merci ha imposto una progressiva
accelerazione delle innovazioni. La velocità con cui il nuovo veniva
sostituito da un più nuovo è stata considerata il parametro
dell'avanzamento verso il meglio. Il principale indicatore del
progresso. L'arte contemporanea a questi mutamenti ne ha assunto le
connotazioni, esaltando l'innovazione e la cesura col passato come
elementi fondanti della creatività. La ricerca del nuovo è diventato
l'elemento che ha uniformato tutte le correnti artistiche in tutti i
settori espressivi, dalla musica, alla letteratura, alle discipline che
tradizionalmente si definivano figurative e, pertanto, non potevano più
esserlo. «Al nuovo - ha scritto Pierre Boulez, uno dei più autorevoli
musicisti della seconda metà del novecento - va attribuita una
visibilità sfacciata». Tra gli anni cinquanta e sessanta in letteratura
si è sviluppata la corrente del nouveau roman, che avuto i suoi massimi
rappresentanti in Francia. Nel 1961 la poesia italiana contemporanea è
stata raccolta in un'antologia intitolata I Novissimi, bruciando però
con questo superlativo assoluto la possibilità di definire i poeti delle
generazioni successive. Più accortamente i letterati innovatori
italiani riuniti nel Gruppo 63 si sono definiti neo-avanguardia,
lasciando ai letterati che sarebbero venuti dopo di loro la possibilità
di evidenziare le loro caratteristiche innovative aggiungendo alla
stessa definizione un numero crescente ad libitum di prefissi neo.
Tuttavia il testimone non è stato raccolto, probabilmente perché le
successive innovazioni si sarebbero inserite in una linea di continuità e
non di rottura con le precedenti ricerche innovative. Per marcare la
propria discontinuità e caratterizzare la diversità della propria
ricerca innovativa rispetto alle ricerche innovative delle precedenti
avanguardie, negli anni ottanta una corrente artistica nel settore delle
arti non più figurative ha scelto di chiamarsi col nome di
trans-avanguardia.
9. Il sistema economico fondato sulla crescita della produzione e
del consumo di merci ha bisogno di individui che non sappiano fare
niente e, pertanto, siano costretti a comprare tutto ciò di cui hanno
bisogno per vivere. Di conseguenza deve fare in modo che si perdano le
conoscenze che hanno consentito per millenni agli esseri umani di
autoprodurre molti beni essenziali alla loro sopravvivenza. Affinché
questa perdita non sia percepita come un impoverimento culturale occorre
che il saper fare sia disinserito dall'ambito del sapere e considerato
una forma inferiore dell'agire umano. Un ruolo fondamentale in questa
operazione è stato svolto dalla scuola, dove le attività manuali sono
state progressivamente cancellate dai programmi di studio e la
conoscenza per esperienza diretta è stata sostituita dalla mediazione
libresca. Al contempo la sostituzione dei beni autoprodotti con
l'acquisto di merci prodotte industrialmente è stata inserita nella
lista delle conquiste sociali e valorizzata come fattore di progresso e
liberazione dalla necessità. Un ruolo non meno determinante in questo
processo di svalutazione culturale del saper fare è stato svolto
dall'arte moderna e contemporanea che ha considerato come vincoli alla
creatività l'apprendistato del mestiere, la conoscenza delle tecniche e
dei materiali, il perfezionamento delle abilità manuali sotto la guida
di un maestro. Vincoli che legano al passato e impediscono di effettuare
le cesure necessarie a percorrere senza condizionamenti strade nuove e
inesplorate, le strade del futuro su cui mai nessuno si è avventurato, e
di cui pertanto non esistono mappe né guide. Da quando l'arte è
diventata moderna e contemporanea, da quando cioè l'unico criterio di
validazione artistica di un'opera sono diventate le sue caratteristiche
innovative, la padronanza tecnica costituisce una ragione sufficiente
d'esclusione perché testimonia un legame col passato e l'adesione a un
sistema di regole codificato. Il saper fare è stato espulso dallo
statuto dell'arte moderna e contemporanea perché è stato considerato la
cartina di tornasole dell'antimodernità, lo stigma di una concezione
artistica vecchia.
10. Prima che lo scopo dell'economia diventasse la
crescita della produzione di merci, quando il fare umano non era
finalizzato a fare sempre di più, ma a fare bene per aggiungere bellezza
alla bellezza originaria del mondo, il saper fare nell'arte era
finalizzato a preservare la bellezza dalla sua intrinseca caducità.
Fissata dall'opera d'arte nel suo massimo splendore, rimaneva al riparo
dalle offese che inevitabilmente le infligge lo scorrere del tempo.
Quando il fare è stato finalizzato a fare sempre di più ha cominciato a
distruggere sistematicamente la bellezza. Sia la bellezza originaria del
mondo, sia la bellezza aggiunta dal fare bene. Nella finalizzazione del
fare al fare sempre di più, il mondo è stato ridotto a serbatoio di
risorse e discarica di rifiuti. Per ricavare quantità sempre maggiori di
risorse si è distrutta senza rimpianti la bellezza di paesaggi naturali
o antropizzati. Per trasformarle in quantità sempre maggiori di merci
la superficie terrestre è stata ricoperta di incrostazioni orripilanti
di edifici e d'asfalto, i fiumi sono stati trasformati in fogne e
riempiti di sostanze velenose, l'aria è stata intossicata di fumi
orribili a vedersi e devastanti a respirarsi, sono stati abbattuti
boschi secolari. Per liberarsi delle quantità sempre maggiori di merci
rese vecchie dall'offerta e dall'acquisto di merci più nuove, gli oggetti
dismessi sono stati accumulati in ammassi sempre più grandi, orribili a
vedersi, maleodoranti, con effetti devastanti sul ciclo dell'acqua.
Sarebbe stato possibile perseguitare la bellezza originaria del mondo e
la bellezza aggiunta dal fare umano quando non era finalizzato a fare
sempre di più, ma era un fare bene finalizzato alla contemplazione, se
la bellezza fosse ancora stata considerata un valore nell'immaginario
collettivo e nel sistema dei valori condivisi? Se l'arte avesse
continuato a proporsi di difenderla anche dalle cause naturali che ne
intaccano l'integrità? Se all'arte si fosse continuato a chiedere di
esprimere l'esigenza, tanto utopica quanto inalienabile dall'animo
umano, di superare i limiti dello spazio e del tempo e creare una
continuità tra le generazioni proprio attraverso la difesa della
bellezza? Ma come può l'arte preservare la bellezza se le capacità
tecniche necessarie a rappresentarla vengono disprezzate e ritenute un
freno alla capacità creativa? Se si ritengono dannosi e si aboliscono i
maestri in grado di trasmetterle?
11. Nei consigli d'amministrazione dei musei d'arte
moderna e contemporanea siedono i più autorevoli rappresentanti del
potere politico, economico e finanziario. Che li finanziano
abbondantemente, perché nonostante gli enormi mezzi a disposizione, il
lodevole impegno degli staff che li dirigono, il sostegno di critici e
storici dell'arte, la copertura mediatica di cui godono, i proventi dei
biglietti che staccano non basterebbero a coprire neanche i costi di
pulizia. Come è possibile che il potere offra un sostegno così decisivo a
un'arte che programmaticamente si propone di combatterlo, di sovvertire
i fondamenti culturali su cui si sostiene? Anche se si cerca di
occultarlo con una cortina fumogena di parole, il fatto è che l'arte
moderna e contemporanea è in realtà un'arte di regime. L'arte di regime
nell'epoca storica connotata dalla finalizzazione dell'economia alla
crescita della produzione di merci. L'arte che offre al regime la
valorizzazione culturale dell'innovazione e del cambiamento di cui il
regime ha bisogno per mantenere intatta la propensione degli esseri
umani a consumare quantità crescenti di merci, la cui appetibilità
consiste nel fatto di essere nuove indipendentemente dal fatto di essere
utili. Se dalle stanze di un museo di arte moderna e contemporanea si
sposta lo sguardo sul paesaggio che si vede dalle loro finestre, non si
può non percepire la sintonia tra le innovazioni introdotte sul
territorio dal fare finalizzato a fare sempre di più e le opere
realizzate con lo scopo di essere innovative: la distruzione della
bellezza. Emblematicamente il direttore di un'Accademia di Belle Arti
(per quale pigrizia mentale si continuano a chiamare così queste
istituzioni?) scrivendo sul giornale di un grande gruppo industriale
ironizzava sui superstiti esemplari di artisti che, a causa della loro
ottusità mentale, si ostinano a fare ciò che spregiativamente definiva
la bella pittura.
12. Quando un'epoca storica si avvia a concludersi, davanti
all'umanità si apre un bivio: o un regresso verso una fase storica meno
evoluta e lo scatenamento di una conflittualità generalizzata, come è
successo con la caduta dell'Impero Romano, o l'inizio di una fase
storica più evoluta in cui della fase precedente si conservano le
conquiste positive e si superano gli aspetti negativi, come è successo
nel passaggio dal Medioevo al Rinascimento, sia detto senza che ciò
suoni come disprezzo per il Medioevo, né come esaltazione acritica del
Rinascimento. Se si continuerà a pensare che la crisi dell'economia
della crescita si possa superare tentando di rilanciare la crescita,
come sta succedendo, il consumo di risorse continuerà a intaccare gli
stock, le superfici ricoperte da incrostazioni di materiali inorganici
continueranno ad estendersi, le sostanze di sintesi chimica ad
avvelenare i cicli biochimici, i rifiuti occupare estensioni sempre più
vaste del globo terracqueo, le disuguaglianze tra la percentuale
ristretta di umanità che si suicida per eccesso di consumi e la
percentuale priva del necessario per vivere aumenteranno, il denaro
continuerà ad essere l'unico valore a cui dedicare la vita,
l'occupazione nei paesi industrializzati a diminuire, la conflittualità
internazionale ad aggravarsi. La crisi è destinata a precipitare nel
caos. Se, invece, un soprassalto dell'istinto di sopravvivenza farà
prevalere la scelta di ridurre la produzione e il consumo di merci alla
capacità fisiologica del pianeta, potrà avviarsi una fase storica più
avanzata in cui le attività economiche e produttive torneranno ad essere
il mezzo utilizzato dagli esseri umani per raggiungere il fine di più
piena realizzazione delle potenzialità insite nella loro natura e gli
esseri umani smetteranno di essere i mezzi utilizzati dal sistema
economico-produttivo per raggiungere il fine della crescita della
produzione di merci. Soltanto un nuovo Rinascimento può consentire di
superare la crisi dell'epoca storica avviata dalla rivoluzione
industriale con l'apertura di una fase storica più avanzata e non con un
regresso caratterizzato dalla diffusione di una conflittualità
generalizzata.
13. Per quanto radicalmente innovativi siano gli elementi
caratterizzanti dell'arte rinascimentale rispetto all'arte medievale,
non hanno rappresentato una cesura nei suoi confronti, ma si sono
definiti mediante una serie di spostamenti successivi fino a
manifestarsi come espressione compiuta di una cultura altra solo nella
pienezza della maturità. Analogamente una ricerca artistica inserita in
un paradigma culturale che si proponga di riportare gli esseri umani dal
ruolo di mezzi della crescita economica a fini delle attività
economico-produttive non può respingere in toto la cultura della fase
storica che si sta chiudendo. La consapevolezza del ruolo nefasto
dell'innovazione come valore in sé non può semplicisticamente portare al
suo rifiuto e alla valorizzazione della conservazione in quanto tale.
Il punto di riferimento, a partire dalla valutazione che un'economia
fondata sulla crescita illimitata della produzione di merci è una
distopia e storicamente è arrivata al capolinea, è la valutazione delle
scelte in base alla loro capacità di futuro. In questo contesto non
hanno un valore assoluto né l'innovazione né la conservazione, perché
alcune scelte innovative hanno più capacità di futuro rispetto
all'esistente e altre ne hanno meno. In sintonia con questa impostazione
culturale, un'arte che si liberi dall'obbligo dell'innovazione non può
sottomettersi all'obbligo di rifiutarla. Un'alternativa di questo genere
non esiste. Tuttavia, un'arte che si liberi dall'obbligo
dell'innovazione non può essere d'avanguardia, perché le avanguardie
hanno lo scopo di organizzare gruppi di artisti accomunati da un
progetto condiviso di carattere innovativo con una precisa volontà di
cesura rispetto all'esistente, dove nell'esistente sono compresi anche
gli altri movimenti d'avanguardia. Ma l'appartenenza a un gruppo che si
propone di essere innovativo comporta l'adesione a un modello, per di
più coerente con i fini dell'economia della crescita, e l'adesione a un
modello comporta l'accettazione di un condizionamento esterno e di un
vincolo all'autonomia individuale, mentre la ricerca artistica di
carattere individuale assume necessariamente i connotati
dell'irripetibilità e, in quanto tale, è per definizione innovativa
proprio perché non si propone di esserlo.
14. Una ricerca artistica libera dall'obbligo dell'innovazione,
non inseribile nei canoni dell'arte moderna e contemporanea, è un
tassello fondamentale nella costruzione di un paradigma culturale capace
di far superare con l'apertura di un fase storica più evoluta il
tornante della storia che l'umanità si trova di fronte. Se nella
definizione di questo paradigma culturale la scienza e la tecnologia
hanno il compito di indirizzare la ricerca al superamento del fare
finalizzato al fare sempre di più e alla sua evoluzione in un fare
connotato qualitativamente, in un fare bene che consenta di migliorare
il mondo mentre se ne utilizzano le risorse per migliorare la qualità
della vita, il compito dell'arte è reinserire nell'immaginario
collettivo il valore della bellezza come fine del fare bene. La difesa
della bellezza originaria del mondo dai guasti che può arrecarle
un'umanità convinta di esserne la padrona autorizzata a sfruttarne le
risorse e a utilizzare per i suoi scopi tutte le altre specie viventi
senza altri limiti se non quelli posti dalla potenza tecnologica
raggiunta, e la valorizzazione della bellezza che può aggiungere al
mondo un'umanità consapevole dei legami vitali che la inseriscono nel
contesto della biosfera insieme a tutte le altre specie viventi con la
specifica capacità di poterla parzialmente, ma sostanzialmente,
modificare in meglio o in peggio. Il contributo che, mediante la difesa e
la valorizzazione della bellezza nell'immaginario collettivo, l'arte
può dare alla definizione di un paradigma culturale capace di arrestare
la deriva in cui l'umanità è stata trascinata dalla finalizzazione
dell'economia alla crescita della produzione di merci, è un compito
entusiasmante anche se non facile, perché occorre ricostruire dalle
macerie accumulate in un secolo di distruzioni, di demolizione culturale
del saper fare, di semplificazioni, di banalizzazioni, di ideologie
spacciate per idee, di marketing spregiudicato spacciato per critica
artistica e storia dell'arte, di fatue valorizzazioni verbali del nulla,
di arroganza nella gestione del potere. Ma un secolo, in fin dei conti,
è un attimo nella storia millenaria dell'umanità e della ricerca
artistica.
15. Le fondamenta di questa ricostruzione non potranno che
poggiare su un solido legame col passato. «[…] non c'è progresso -
sosteneva Pier Paolo Paolini pochi mesi prima di essere assassinato, ma
questa è la cifra di tutta la sua ricerca esistenziale - senza profondi
recuperi nel passato, senza mortali nostalgie per le condizioni di vita
anteriori: dove si era comunque realizzato l'uomo spendendovi
interamente quella cosa sacra che è la vita del corpo». E aggiungeva:
«Un tecnico americano e una guardia rossa disprezzano analogamente (sia
pure per ragioni del tutto diverse) la necessità di questi recuperi, e
si pongono con spirito analogamente sacrilego di fronte al passato».
Gli artisti moderni e contemporanei hanno contribuito per più di un
secolo a fornire una presunta dignità culturale a questi atteggiamenti.
Gli artisti che contribuiranno a definire un paradigma culturale in
grado di riaprire una prospettiva di futuro per l'umanità troveranno
nella loro nostalgia per il passato la forza necessaria a recuperare
quanto di vitale ancora contengono i suoi lasciti scampati al disprezzo
dei tecnici, dei politici progressisti di tutti i colori e degli artisti
moderni e contemporanei.
16. Per dare una connotazione qualitativa al fare, per fare bene,
e per consentire alle cose fatte bene di superare i limiti dello spazio
e del tempo, occorre saper fare. L'arte moderna e contemporanea ha
disprezzato e ridicolizzato la dimensione artigianale, la paziente e
tenace acquisizione del mestiere, in nome di una presunta libertà
creativa che ne verrebbe ostacolata. Il disprezzo delle abilità manuali
guidate dalla progettualità, non solo ha aperto lo spazio al
dilettantismo, alle stravaganze e alle banalità, ma ha consentito ai
critici inseriti nel sistema di potere che governa le istituzioni
dell'arte moderna e contemporanea di effettuare valutazioni soggettive,
prive di qualsiasi possibilità di riscontro con parametri condivisi, ma
funzionali alla valorizzazione economica degli investimenti in opere di
artisti inseriti nella categoria degli emergenti. Acquistare le opere di
artisti già emersi dal magma indistinto degli innovatori, grazie alla
valorizzazione effettuata da critici accreditati dal sistema di potere, e
ormai quotati sul mercato, non remunera il capitale investito nella
stessa misura in cui lo remunera l'acquisto delle opere di artisti
emergenti, che cioè sono stati garantiti dai critici ma non ancora
valorizzati appieno dal mercato, per cui le loro quotazioni non hanno
ancora raggiunto il valore degli artisti emersi, ma lo raggiungeranno.
Comprare le opere di artisti emergenti significa ottenere un'ottima
plusvalenza quando saranno emersi. Nel passaggio dal participio presente
al participio passato del verbo emergere, l'arte moderna e
contemporanea passa dal ruolo di strumento della valorizzazione
culturale del nuovo di cui il sistema economico fondato sulla crescita
della produzione di merci ha bisogno per continuare a far crescere il
consumo di merci, a un inserimento diretto nella dinamica mercantile
della crescita: l'offerta dei prodotti nuovi degli artisti emergenti è
indispensabile per mantenere intatta la domanda in questo settore
merceologico.
17. La dimensione artigianale, ovvero la capacità di realizzare
un progetto mediante le abilità manuali, la conoscenza dei materiali e
delle loro potenzialità, la padronanza delle tecniche e del mestiere, è
il carattere distintivo della specie umana rispetto a tutte le altre
specie viventi. D'altra parte, solo la consapevolezza di quanto si sa
fare con le proprie abilità manuali, abbinata alla conoscenza di quanto
consentono di fare i materiali che si manipolano e gli strumenti con cui
si manipolano, permettono di concepire un progetto e di tradurlo in una
realizzazione. Più raffinate sono le abilità manuali, più approfondita è
la conoscenza delle potenzialità dei materiali e degli strumenti con
cui si lavorano, più complessi e articolati sono i progetti che si
possono concepire. La capacità di modellare la materia mediante le
abilità manuali è il tramite tra il dentro e il fuori di sé, tra la
potenzialità e l'attuazione. Si può pensare di fare solo ciò che si sa
di poter fare. Il saper fare non è soltanto il mezzo per attuare ciò che
si progetta, ma costituisce anche la misura di ciò che si può pensare e
progettare. Il collegamento biunivoco tra il saper fare guidato dalla
progettazione e la capacità di progettare guidata dalla consapevolezza
di ciò che si sa fare, consente di realizzare al massimo grado la natura
specifica della specie umana tra tutte le specie animali. Solo la
capacità di progettare in base a quanto si sa fare e di fare ciò che si
progetta consente agli esseri umani di liberarsi dalla sottomissione
totale alla natura e di esprimere le loro potenzialità creative. A far
credere che il saper fare e la manualità rientrassero in una sfera
inferiore dell'agire umano è stata la necessità di aumentare la
dipendenza di un numero crescente di persone dall'acquisto di merci,
perché chi non sa fare nulla deve comprare tutto ciò che gli serve per
vivere e, quindi, è più funzionale a un sistema fondato sulla crescita
della produzione di merci di chi sa fare e non deve comprare ciò che sa
fare. È stata l'esigenza di rappresentare nell'immaginario collettivo un
impoverimento culturale come una conquista di libertà, a decretare
l'ostracismo delle conoscenze tecniche e dell'apprendistato, la loro
damnatio nominis e la loro damnatio memoriae nell'ambito dell'arte
moderna e contemporanea.
18. Come si potrà recuperare nell'immaginario collettivo il
valore della bellezza se non lo riproporrà la ricerca artistica? E se
non lo farà, come si potrà rifiutare che la bellezza venga distrutta in
nome del profitto, che, col consenso generalizzato, in nome della
modernità e del progresso una chiesetta medievale venga abbattuta per
costruire un centro commerciale, una collina boscosa sia trasformata in
un agglomerato di villette a schiera, un sentiero campestre diventi una
strada di scorrimento, le acque limpide di un fiume che scorre tra due
filari di alberi siano trasformate in una discarica di rifiuti tossici,
un villaggio di pescatori circondato dalla macchia mediterranea venga
cancellato per costruire una barriera di condomini lungo la costa, la
biodiversità di un'area agricola scandita da campi coltivati per
autoconsumo sia fagocitata da un quartiere periferico? Come si potrà
provare nostalgia per le condizioni di vita che si svolgevano in quei
luoghi se l'arte non effettuerà profondi recuperi del passato per far
riaffiorare dalle macerie la loro bellezza originaria e la bellezza che
vi aveva aggiunto il lavoro umano finalizzato a fare bene? Se invece
l'arte continuerà a valorizzare nell'immaginario collettivo
l'innovazione e la cesura col passato, il fare finalizzato a fare sempre
di più continuerà a ricevere un consenso sociale generalizzato e in
nome della modernità e del progresso si continuerà a ritenere che la
distruzione di quanto è stato fatto sia la premessa necessaria per fare
qualcosa di meglio, che per creare occorra prima distruggere, che, anzi,
la distruzione sia già di per sé un'operazione creativa, come è stato
teorizzato da Joseph Schumpeter, uno dei più autorevoli economisti del
novecento. Una sintonia totale connette in un paradigma culturale
omogeneo l'innovazione e la cesura col passato come criteri di
validazione artistica con la distruzione creatrice come obbiettivo
economico e tecnologico fondante di un sistema finalizzato alla crescita
della produzione di merci. Una ricerca artistica libera dai vincoli
dell'arte moderna e contemporanea, capace di riportare la bellezza al
centro del sistema dei valori condivisi e di rivalutare il saper fare
guidato dall'intelligenza progettuale come massima realizzazione delle
potenzialità insite nella specie umana, può dare un contributo decisivo
alla formazione di un diverso paradigma culturale che scalzi via la
centralità assunta dal fare finalizzato a fare sempre di più e riporti
al suo posto, come è sempre stato nella storia dell'umanità prima della
rivoluzione industriale, il fare bene finalizzato alla contemplazione di
ciò che si è fatto, della bellezza che col proprio fare bene ogni
generazione ha aggiunto e può continuare ad aggiungere alla bellezza
originaria del mondo.
Fonte.
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