Dal
lato sindacale, invece, i problemi sono soltanto in casa Cgil. Camusso
aveva provato ad aggirare il Direttivo nazionale - l'unico organo
autorizzato a conferire un mandato per la trattativa - convocando la
riunione dei segretari di categoria e delle Camere regionali del
lavoro, dove il solo Landini della Fiom era un oppositore dichiarato.
Per la prima volta, infatti, la minoranza congressuale era stata
esclusa prima ancora di iniziare la discussione. Per sicurezza...
Nonostante
questo meschino sotterfugio autoritario, che mette in luce la
considerazione in cui sono tenute le procedure democratiche
dall'attuale segretaria confederale, si sono manifestate numerose e
veementi proteste da parte anche di alcuni "insospettabili" davvero non
imputabili di estremismo, come la segretaria di Torino,
iscritta d'ufficio tra i falchi "pro Tav" (anche questo tema divide
ormai la Cgil in alto e in basso). Soprattutto, pesa su Camusso la
certezza - in fondo l'ha spiegato lei stessa - che la firma su
quell'orrore di "accordo" viene posta solo per non fa esplodere il
Partito Democratico. Il massimo del danno possibile il minimo di
vantaggio possibile. A cosa serve, ormai, mantenere il cordone ombelicale
con un gruppo di capicordata impropriamente chiamato partito? Il
risultato non la tranquillizza: lunedì la Fiom riunisce un Comitato
centrale straordinario e mercoledì deve essere riunito il Direttivo, che
Camusso sperava potesse limitarsi a ratificare una firma già messa.
Ora
non si sa se andrà davvero così. Sia chiaro, alla fine si fa come
l'Europa e Monti vogliono. - «La settimana prossima si chiuderanno le
trattative sul mercato del lavoro e sugli ammortizzatori sociali", ha
detto stamattina Mario Monti. Ma che non tutto sì svolga tranquillamente ha
la sua importanza. Solo il silenzio assoluto - il vero sogno per cui
sono stati chiamati i "tecnici" - è da temere.
tratto da www.contropiano.org
***
Più che una bozza un boomerang
Le
bozze di riforma del mercato del lavoro diffuse dal Sole 24 Ore in
questi giorni lasciano molto perplessi. Nonostante le misure sugli
ammortizzatori sociali si muovano nella direzione di un (molto) graduale
cambiamento di regime, nel complesso emerge una chiara continuità con
le politiche dei governi di centrodestra e centrosinistra degli ultimi
dieci anni.
Primo, rimane una
sostanziale frattura tra i contratti a tempo indeterminato e una vasta
platea di rapporti di lavoro a termine. Non c'è nelle bozze alcuno
sforzo di semplificazione tramite l'accorpamento o l'abolizione di
alcune forme contrattuali, o la loro integrazione in un nuovo contratto
a tempo indeterminato che valga almeno per i nuovi assunti (tutti,
infatti, hanno sempre concordato nel voler lasciare intatti i rapporti
di lavoro in essere). Val la pena ricordare che in Italia esiste una
babele che rende il mercato del lavoro di impossibile decifrazione sia
per gli esterni (i molto ipotetici investitori stranieri) sia per chi
lo vive tutti i giorni.
Secondo,
nonostante la permanenza di una grande molteplicità di forme
contrattuali, si cerca di scoraggiarne l'uso tramite un appesantimento
delle pratiche burocratiche, delle sanzioni, e un aumento degli oneri
sociali. Queste novità dovrebbero, al contrario, incentivare i contratti
a tempo indeterminato. Innanzitutto, appare improbabile che un
fenomeno che riguarda milioni di lavoratori e la stragrande maggioranza
dei neoassunti possa essere contrastato efficacemente con formalismi
burocratici.
Ma ancora meno
condivisibile è l'idea di aumentare i contributi sociali per i
lavoratori flessibili. L'effetto di questa misura si conosce già perché
gli oneri sociali per contratti a termine (compresa la cosiddetta
"gestione separata" Inps) erano stati aumentati anche dai precedenti
due governi con la conseguenza di una continua diminuzione reale degli
stipendi di quei lavoratori (che sono privi di potere contrattuale
perché non sindacalizzati ed esposti ad una concorrenza feroce) e
nessun effetto sulla "precarietà" che è continuata ad aumentare.
Il
lavoro flessibile non "costerà di più" come da mantra propagandistico,
al contrario i precari guadagneranno meno e, laddove le aziende non
fossero in grado di scaricare sul lavoratore i costi aggiuntivi, esse
assumeranno meno.
Il punto
che purtroppo non sembra finora trovare un rappresentante credibile è
che per favorire l'occupazione stabile e produttiva, per favorire la
crescita, non bisogna far costare di più il lavoro precario, ma far
costare meno all'azienda il lavoro a tempo indeterminato, contribuendo
dunque anche a sostenere le retribuzioni.
Allo
stesso tempo, è per favorire la produttività e la crescita che si
auspicava una forte semplificazione delle norme sui contratti. Una loro
unificazione che comprenda il "modello tedesco" di protezione contro i
licenziamenti (ossia fortissima protezione contro le discriminazioni;
protezione solo monetaria per licenziamenti economici) dovrebbe avere
il fine principale di rendere le norme maggiormente prevedibili, meno
aleatorie, e più semplici; inoltre, applicabili a un ventaglio di
contesti maggiore rispetto alla ristretta platea a cui oggi si applica
l'articolo 18.
Al contrario,
rafforzare le differenze tra diversi contratti; identificare condizioni
di utilizzo più complesse e diversificate (di cui alcune
particolarmente paradossali come quelle sugli apprendisti); aumentare
in potenza il ricorso ai tribunali come arma contro la precarietà: sono
misure che avrebbero l'effetto opposto rispetto a quel che serve al
mercato del lavoro italiano, aumentando l'insicurezza e l'incertezza
sui destini individuali e collettivi.
È
difficile non notare che con il passare delle settimane la discussione
sul mercato del lavoro ha teso ad assomigliare sempre più alle
classiche trattative tripartite dei passati governi, e similmente anche
i contenuti hanno finito per porsi in netta continuità. Visto il
risultato di quelle politiche, ci auguriamo che il più forte mandato sul
tema ottenuto ieri, secondo varie fonti, dal premier Monti consenta di
rimettere al centro di questa riforma gli obiettivi di crescita
collettiva che sembrano essere sfocati tra i soliti, parziali interessi.
Marco Simoni
tratto da Il Manifesto del 17 marzo 2012
Sicuramente ho capito male io (come no...) ma questa pare l'ennesima riforma di merda che tutela un capitalismo decotto cinesizzando ulteriormente un mondo del lavoro completamente bollito per professionalità, coesione e potenzialità di sviluppo sociale.
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