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19/03/2012

Mercato del lavoro: convulsioni in corso

La prima a lamentarsi, Emma Marcegaglia, ha messo in evidenza che le misure previste sulla bozza di decreto presentata dal ministro Elsa Fornero - che pure lascia intatti i 46 contratti precari - "rappresenta un aumento del costo del lavoro". Le pochissime misure previste per "stringere i bulloni" di alcune forme contrattuali precarie - quelle che puntano a stabilire contributi maggiori con cui finanziare l'Aspi, il nuovo assegno d disoccupazione che deve sostituire cassa integrazione e mobilità - sarebbero infatti "insopportabili per le imprese". Sono come sempre incontentabili, persino di fronte a una riforma epocale che consegna alle imprese lavoratori spogliati di ogni diritto e possibilità di contrattazione.
Dal lato sindacale, invece, i problemi sono soltanto in casa Cgil. Camusso aveva provato ad aggirare il Direttivo nazionale - l'unico organo autorizzato a conferire un mandato per la trattativa - convocando la riunione dei segretari di categoria e delle Camere regionali del lavoro, dove il solo Landini della Fiom era un oppositore dichiarato. Per la prima volta, infatti, la minoranza congressuale era stata esclusa prima ancora di iniziare la discussione. Per sicurezza...
Nonostante questo meschino sotterfugio autoritario, che mette in luce la considerazione in cui sono tenute le procedure democratiche dall'attuale segretaria confederale, si sono manifestate numerose e veementi proteste da parte anche di alcuni "insospettabili" davvero non imputabili di estremismo, come la segretaria di Torino, iscritta d'ufficio tra i falchi "pro Tav" (anche questo tema divide ormai la Cgil in alto e in basso). Soprattutto, pesa su Camusso la certezza - in fondo l'ha spiegato lei stessa - che la firma su quell'orrore di "accordo" viene posta solo per non fa esplodere il Partito Democratico. Il massimo del danno possibile il minimo di vantaggio possibile. A cosa serve, ormai, mantenere il cordone ombelicale con un gruppo di capicordata impropriamente chiamato partito? Il risultato non la tranquillizza: lunedì  la Fiom riunisce un Comitato centrale straordinario e mercoledì deve essere riunito il Direttivo, che Camusso sperava potesse limitarsi a ratificare una firma già messa.
Ora non si sa se andrà davvero così. Sia chiaro, alla fine si fa come l'Europa e Monti vogliono. - «La settimana prossima si chiuderanno le trattative sul mercato del lavoro e sugli ammortizzatori sociali", ha detto stamattina Mario Monti. Ma che non tutto sì svolga tranquillamente ha la sua importanza. Solo il silenzio assoluto - il vero sogno per cui sono stati chiamati i "tecnici" - è da temere.

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Più che una bozza un boomerang
Le bozze di riforma del mercato del lavoro diffuse dal Sole 24 Ore in questi giorni lasciano molto perplessi. Nonostante le misure sugli ammortizzatori sociali si muovano nella direzione di un (molto) graduale cambiamento di regime, nel complesso emerge una chiara continuità con le politiche dei governi di centrodestra e centrosinistra degli ultimi dieci anni.
Primo, rimane una sostanziale frattura tra i contratti a tempo indeterminato e una vasta platea di rapporti di lavoro a termine. Non c'è nelle bozze alcuno sforzo di semplificazione tramite l'accorpamento o l'abolizione di alcune forme contrattuali, o la loro integrazione in un nuovo contratto a tempo indeterminato che valga almeno per i nuovi assunti (tutti, infatti, hanno sempre concordato nel voler lasciare intatti i rapporti di lavoro in essere). Val la pena ricordare che in Italia esiste una babele che rende il mercato del lavoro di impossibile decifrazione sia per gli esterni (i molto ipotetici investitori stranieri) sia per chi lo vive tutti i giorni.
Secondo, nonostante la permanenza di una grande molteplicità di forme contrattuali, si cerca di scoraggiarne l'uso tramite un appesantimento delle pratiche burocratiche, delle sanzioni, e un aumento degli oneri sociali. Queste novità dovrebbero, al contrario, incentivare i contratti a tempo indeterminato. Innanzitutto, appare improbabile che un fenomeno che riguarda milioni di lavoratori e la stragrande maggioranza dei neoassunti possa essere contrastato efficacemente con formalismi burocratici.
Ma ancora meno condivisibile è l'idea di aumentare i contributi sociali per i lavoratori flessibili. L'effetto di questa misura si conosce già perché gli oneri sociali per contratti a termine (compresa la cosiddetta "gestione separata" Inps) erano stati aumentati anche dai precedenti due governi con la conseguenza di una continua diminuzione reale degli stipendi di quei lavoratori (che sono privi di potere contrattuale perché non sindacalizzati ed esposti ad una concorrenza feroce) e nessun effetto sulla "precarietà" che è continuata ad aumentare.
Il lavoro flessibile non "costerà di più" come da mantra propagandistico, al contrario i precari guadagneranno meno e, laddove le aziende non fossero in grado di scaricare sul lavoratore i costi aggiuntivi, esse assumeranno meno.
Il punto che purtroppo non sembra finora trovare un rappresentante credibile è che per favorire l'occupazione stabile e produttiva, per favorire la crescita, non bisogna far costare di più il lavoro precario, ma far costare meno all'azienda il lavoro a tempo indeterminato, contribuendo dunque anche a sostenere le retribuzioni.
Allo stesso tempo, è per favorire la produttività e la crescita che si auspicava una forte semplificazione delle norme sui contratti. Una loro unificazione che comprenda il "modello tedesco" di protezione contro i licenziamenti (ossia fortissima protezione contro le discriminazioni; protezione solo monetaria per licenziamenti economici) dovrebbe avere il fine principale di rendere le norme maggiormente prevedibili, meno aleatorie, e più semplici; inoltre, applicabili a un ventaglio di contesti maggiore rispetto alla ristretta platea a cui oggi si applica l'articolo 18.
Al contrario, rafforzare le differenze tra diversi contratti; identificare condizioni di utilizzo più complesse e diversificate (di cui alcune particolarmente paradossali come quelle sugli apprendisti); aumentare in potenza il ricorso ai tribunali come arma contro la precarietà: sono misure che avrebbero l'effetto opposto rispetto a quel che serve al mercato del lavoro italiano, aumentando l'insicurezza e l'incertezza sui destini individuali e collettivi.
È difficile non notare che con il passare delle settimane la discussione sul mercato del lavoro ha teso ad assomigliare sempre più alle classiche trattative tripartite dei passati governi, e similmente anche i contenuti hanno finito per porsi in netta continuità. Visto il risultato di quelle politiche, ci auguriamo che il più forte mandato sul tema ottenuto ieri, secondo varie fonti, dal premier Monti consenta di rimettere al centro di questa riforma gli obiettivi di crescita collettiva che sembrano essere sfocati tra i soliti, parziali interessi.

Marco Simoni
tratto da Il Manifesto del 17 marzo 2012

Fonte.

Sicuramente ho capito male io (come no...) ma questa pare l'ennesima riforma di merda che tutela un capitalismo decotto cinesizzando ulteriormente un mondo del lavoro completamente bollito per professionalità, coesione e potenzialità di sviluppo sociale.

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