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10/03/2012

Iran, la solitudine di Netanyahu

”L’unica volta che l’Iran ha fatto marcia indietro è stato nel 2003, quando il regime di Teheran ha avuto la precisa sensazione che la minaccia militare fosse concreta. Solo una credibile minaccia militare, di cui gli iraniani siano realmente convinti, può fermare la loro corsa al nucleare rendendo a sua volta l’opzione militare non più necessaria”.
Che Benjamin Netanyahu, primo ministro israeliano, si guadagnerà un posto tra i grandi statisti di tutti i tempi è ipotesi remota, ma di sicuro l’assioma illustrato ieri sera, 8 marzo 2012, al network televisivo Fox News è al livello delle ‘convergenze parallele’ in Italia attribuita ad Aldo Moro. Il concetto, in buona sostanza, è che gli iraniani sarebbero come quelle popolazioni descritte dai viaggiatori europei dell’Ottocento, un po’ rozzi, barbari. Che capiscono solo il linguaggio della violenza. Quindi Netanyahu, lanciato nella sua missione civilizzatrice, al pari dei colonialisti del secolo scorso, si arroga la suprema conoscenza dell’animo persiano, minacciandoli come un abile ammaestratore. Ecco che quindi la guerra si evita minacciando per davvero la guerra. Nella tradizione delle ‘guerre umanitarie’.
Allo stesso tempo, però, per Netanyahu la guerra non è inevitabile. Anche perché il premier israeliano tiene i toni molto alti, ma non può rendersi conto dello scetticismo che lo circonda. In primo luogo quello del Presidente di Israele, Shimon Peres, che ha celebrato il discorso del presidente Usa Obama all’Aipac, la potente lobby filo-israeliana statunitense, come un messaggio senza precedenti nei rapporti tra Tel Aviv e Washington. ”E’ un grande presidente”, ha detto Peres di Obama, sottolineando di non condividere la freddezza che Netanyahu e la destra estrema israeliana ostenta nei confronti della Casa Bianca.
Pochi giorni dopo è stato il turno di Meir Dagan, ex capo del Mossad, di sferrare un colpo al premier israeliano. Intervistato dalla Cbs, Dagan ha dichiarato che ”un attacco militare sarebbe un errore. Il programma nucleare iraniano è un problema internazionale, non solo israeliano. E se si decidesse per un attacco, preferirei che lo guidassero gli Usa. Credo, però, che Obama sia capace di risolvere diplomaticamente la situazione”. Dagan, senza mai dirlo apertamente, ha detto che non si sente di affidare il suo Paese a Netanyahu.
Il premier, oltre che dagli ambienti politici e di intelligence, sembra essere poco appoggiato anche dall’opinione pubblica. Il 58 per cento della popolazione israeliana sarebbe, secondo un sondaggio pubblicato dal quotidiano Ha’aretz, contraria a un intervento militare in Iran senza l’appoggio degli Stati Uniti. Influenzati magari anche dal deputato israeliano Zeev Bielsky che, intervistato sull’argomento ha dichiarato che ”Israele è completamente impreparato in questo momento a far fronte alle conseguenze di una guerra”.
Per finire la Cathrine Ashton, alto rappresentante della politica estera dell’Unione europea, che ha annunciato un finanziamento da Bruxelles di 55 milioni di euro all’Agenzia Onu per i rifugiati palestinesi e ha chiesto a Israele di riaprire i valichi con Gaza. Oltre che annunciare la ripresa dei colloqui diplomatici con l’Iran, al fianco di quelli che ha annunciato la Turchia per il mese prossimo. Se Netanyahu cercava appoggi, di sicuro, non ha incassato molto.
Intanto l’esercito israeliano ha annunciato l’attivazione del sistema chiamato Castle Lake, che permette di coordinare le oltre 200mila testate di cui dispone Israele informando in tempo reale il comando centrale sul fatto che l’obiettivo sia stato colpito o meno. Il sistema è stato testato la settimana scorsa, nel corso di esercitazioni militari intense. Mostrare i muscoli, appunto, in barba alla crisi economica che attanaglia Israele.

Fonte.

Netanyahu è talmente cazzone da far rimpiangere Sharon.

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