”L’unica volta che l’Iran ha fatto marcia indietro è stato nel 2003,
quando il regime di Teheran ha avuto la precisa sensazione che la
minaccia militare fosse concreta. Solo una credibile minaccia militare,
di cui gli iraniani siano realmente convinti, può fermare la loro corsa
al nucleare rendendo a sua volta l’opzione militare non più necessaria”.
Che
Benjamin Netanyahu, primo ministro israeliano, si guadagnerà un posto
tra i grandi statisti di tutti i tempi è ipotesi remota, ma di sicuro
l’assioma illustrato ieri sera, 8 marzo 2012, al network televisivo Fox News
è al livello delle ‘convergenze parallele’ in Italia attribuita ad Aldo
Moro. Il concetto, in buona sostanza, è che gli iraniani sarebbero come
quelle popolazioni descritte dai viaggiatori europei dell’Ottocento, un
po’ rozzi, barbari. Che capiscono solo il linguaggio della violenza.
Quindi Netanyahu, lanciato nella sua missione civilizzatrice, al pari
dei colonialisti del secolo scorso, si arroga la suprema conoscenza
dell’animo persiano, minacciandoli come un abile ammaestratore. Ecco che
quindi la guerra si evita minacciando per davvero la guerra. Nella
tradizione delle ‘guerre umanitarie’.
Allo stesso tempo, però, per
Netanyahu la guerra non è inevitabile. Anche perché il premier
israeliano tiene i toni molto alti, ma non può rendersi conto dello
scetticismo che lo circonda. In primo luogo quello del Presidente di
Israele, Shimon Peres, che ha celebrato il discorso del presidente Usa Obama all’Aipac,
la potente lobby filo-israeliana statunitense, come un messaggio senza
precedenti nei rapporti tra Tel Aviv e Washington. ”E’ un grande
presidente”, ha detto Peres di Obama, sottolineando di non condividere
la freddezza che Netanyahu e la destra estrema israeliana ostenta nei
confronti della Casa Bianca.
Pochi giorni dopo è stato il turno di
Meir Dagan, ex capo del Mossad, di sferrare un colpo al premier
israeliano. Intervistato dalla Cbs, Dagan ha dichiarato che ”un
attacco militare sarebbe un errore. Il programma nucleare iraniano è un
problema internazionale, non solo israeliano. E se si decidesse per un
attacco, preferirei che lo guidassero gli Usa. Credo, però, che Obama
sia capace di risolvere diplomaticamente la situazione”. Dagan, senza
mai dirlo apertamente, ha detto che non si sente di affidare il suo
Paese a Netanyahu.
Il premier, oltre che dagli ambienti politici e
di intelligence, sembra essere poco appoggiato anche dall’opinione
pubblica. Il 58 per cento della popolazione israeliana sarebbe, secondo
un sondaggio pubblicato dal quotidiano Ha’aretz, contraria a un
intervento militare in Iran senza l’appoggio degli Stati Uniti.
Influenzati magari anche dal deputato israeliano Zeev Bielsky che,
intervistato sull’argomento ha dichiarato che ”Israele è completamente
impreparato in questo momento a far fronte alle conseguenze di una
guerra”.
Per finire la Cathrine Ashton, alto rappresentante della
politica estera dell’Unione europea, che ha annunciato un finanziamento
da Bruxelles di 55 milioni di euro all’Agenzia Onu per i rifugiati
palestinesi e ha chiesto a Israele di riaprire i valichi con Gaza. Oltre
che annunciare la ripresa dei colloqui diplomatici con l’Iran, al
fianco di quelli che ha annunciato la Turchia per il mese prossimo. Se
Netanyahu cercava appoggi, di sicuro, non ha incassato molto.
Intanto l’esercito israeliano ha annunciato l’attivazione del sistema chiamato Castle Lake,
che permette di coordinare le oltre 200mila testate di cui dispone
Israele informando in tempo reale il comando centrale sul fatto che
l’obiettivo sia stato colpito o meno. Il sistema è stato testato la
settimana scorsa, nel corso di esercitazioni militari intense. Mostrare i
muscoli, appunto, in barba alla crisi economica che attanaglia Israele.
Fonte.
Netanyahu è talmente cazzone da far rimpiangere Sharon.
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