Eric Toussaint, laureato in scienze
politiche e presidente del Comitato per l’Annullamento del Debito del
Terzo Mondo (CADTM), è membro della Commissione di Audit integrale del
credito pubblico dell’Ecuador (CAIC) le cui conclusioni hanno portato
alla sospensione del pagamento di una parte del debito ecuadoriano.
Secondo lui, la Grecia deve sospendere il pagamento del debito e deve
ribellarsi contro la Troika composta dalla Banca Centrale Europea, il
FMI e la Commissione Europea, perché in caso contrario affonderebbe in
una recessione permanente.
Come
descriverebbe lei il momento che attraversano alcuni Paesi dell’Unione
Europea come la Grecia che hanno enormi debiti pubblici?
Si può paragonare la loro situazione con quella dell’America Latina durante la seconda metà degli anni ’80.
Per quali ragioni?
L’esplosione
della crisi del debito in America Latina ha avuto luogo nel 1982. La
crisi bancaria privata è scoppiata negli Stati Uniti e in Europa nel
2007-2008 e si è trasformata a partire dal 2010 in una crisi del debito
sovrano dovuta principalmente alla socializzazione delle perdite delle
banche private e alla riduzione delle entrate fiscali provocata dalla
crisi. Nel caso europeo, così come in quello latinoamericano, vari anni
dopo lo scoppio della crisi, ci troviamo in una situazione in cui i
creditori privati e i loro rappresentanti si riuniscono per imporre le
condizioni a tutti i governi. Fanno pressioni su di loro perché attuino
politiche drastiche di aggiustamento che si concretizzano in una
riduzione della spesa pubblica e una riduzione del potere d’acquisto
della popolazione. Ciò porta queste economie a uno stato di recessione
permanente.
Però anche nei momenti
peggiori l’America Latina non ha mai raggiunto il livello di debito che
attualmente ha la maggioranza dei Paesi della zona euro, che supera il
100 % del PIL.
Il livello del
debito europeo è impressionante. Nel caso della Grecia si tratta del
160% del PIL, e diversi paesi dell’Unione Europea hanno un debito che
raggiunge o supera il 100% della loro produzione. È chiaro che ci sono
delle differenze tra le due crisi, ma nella comparazione che faccio il
livello di indebitamento non è un aspetto fondamentale.
Vuol dire che la sua comparazione si accentra sulle conseguenze politiche di queste due crisi?
È
naturale. Quando paragono l’Europa attuale con l’America Latina della
seconda metà degli anni ottanta, voglio dire che i creditori nel caso
dell’Europa, ossia le banche europee e la Troika (FMI, BCE e CE) esigono
dalla Grecia misure molto simili a quelle del Piano Brady, che colpì
l’America Latina alla fine degli anni ’80.
Potrebbe spiegarlo più dettagliatamente?
Alla
fine degli anni ’80 i creditori dell’America Latina -Banca Mondiale,
FMI, Club di Parigi, il Tesoro USA e il Club di Londra per i banchieri-
riuscirono ad imporre la loro agenda e le loro condizioni. I creditori
privati trasferirono una parte dei loro crediti alle istituzioni
multilaterali, e agli Stati tramite la titolarizzazione, cioè
trasformando crediti bancari in titoli. Un’altra parte dei crediti
bancari subì una riduzione e fu trasformata in nuovi titoli con un tasso
d’interesse fisso. Il Piano Brady ebbe un ruolo importante sia nella
difesa dei banchieri che nell’imposizione dell’austerità permanente. Il
piano di salvataggio della Grecia è molto simile: si riduce lo stock dei
debiti, ci sarà un interscambio di titoli con le banche europee
rimpiazzandoli, come nel Piano Brady, con nuovi titoli. Le banche
private riducono in questo modo i loro crediti con la Grecia (o
Portogallo, Irlanda…) come lo avevano fatto con l’America Latina.
Progressivamente e in modo massiccio, i creditori pubblici si
predispongono ad esercitare un’enorme pressione per far sì che il
rimborso dei nuovi titoli che possiedono le banche sia effettuato
interamente. In questo modo la totalità dei fondi prestati alla Grecia
andrà al pagamento dei debiti. Allo stesso tempo, questi creditori
pubblici (la Troika) esigono un’austerità permanente in termini di spesa
sociale dello Stato, di privatizzazioni massicce, di una regressione in
materia di diritti economici e sociali mai vista in 65 anni (ossia,
dalla fine della seconda guerra mondiale) e un abbandono sostanziale
della sovranità da arte dei Paesi che hanno la disgrazia di aver bisogno
di credito. In America Latina, questo periodo è stato definito «la
lunga notte neoliberista».
I
creditori inoltre obbligarono i Paesi dell’America Latina a ridurre i
salari, le pensioni, la spesa sociale e a piegarsi religiosamente al
pagamento del debito.
E questa è
la ragione per cui dico che siamo nella stessa situazione. In Europa il
problema non colpisce ancora tutti i Paesi, ma i più deboli come Grecia,
Portogallo, Irlanda, Italia, Spagna, Ungheria, Romania, le repubbliche
baltiche e la Bulgaria. Tuttavia in questi Paesi messi insieme vivono
circa 170 milioni di persone su una popolazione totale dell’Unione
Europea di circa 500 milioni. La maggior parte degli altri Paesi
europei applica a un livello più basso politiche sociali estremamente
conservatrici: Regno Unito (62 milioni di abitanti), Germania (82
milioni di abitanti), Belgio (10 milioni di abitanti), Francia (65
milioni di abitanti)…
La
conseguenza politica della crisi del debito in America Latina fu la
creazione dello Stato neoliberista. L’Europa sta andando nella stessa
direzione?
Non è una novità. Le
politiche neoliberiste vengono attuate in Europa già da trent’anni. È
evidente che la risposta alla crisi del FMI, dei governi che
rappresentano le classi dominanti, delle grandi banche e delle grandi
imprese industriali consiste nell’attuazione di una terapia dello shock
come quella descritta da Naomi Klein. Il suo obiettivo è quello di
completare il progetto neoliberista intrapreso da Margaret Thatcher nel
1979-1980 in Gran Bretagna e che progressivamente si è esteso all’Europa
durante gli anni ottanta. Per i Paesi dell’Europa centrale e dell’Est,
ex membri del blocco sovietico, si tratta della seconda terapia dello
shock in 25 anni.
Ma in Europa continua ad esistere lo Stato sociale.
Come
ho appena detto, i governi hanno cominciato un lavoro di distruzione
del Patto sociale e delle conquiste popolari del periodo 1945-1980. È
ciò che ha iniziato Margaret Thatcher. Dopo la seconda guerra mondiale,
per trenta-trentacinque anni, i popoli d’Europa avevano accumulato
conquiste e avevano ottenuto uno Stato sociale, con un sistema di
protezione sociale molto solido: contratti collettivi, diritti del
lavoro, ecc. che proteggeva i lavoratori e riduceva in modo
significativo il lavoro precario. La Thatcher volle distruggere tutto
questo ma dopo trent’anni di politiche neoliberiste in Europa, questo
lavoro non è stato portato a termine, cosicché ne rimangono ancora dei
resti.
E la crisi del debito è l’opportunità di consolidare quello che aveva iniziato la Thatcher .
La
crisi permette una terapia dello shock come quella realizzata dai
creditori e dalle classi dominanti in America Latina negli anni ’80 e
‘90.
In Perù è stata attuata nell’agosto del 1990.
Abbiamo
assistito allo sviluppo di una fase che comprende una nuova ondata di
privatizzazioni delle imprese pubbliche. In Europa verranno privatizzate
le imprese pubbliche che ancora rimangono.
Verrà
applicata in Europa la stessa dottrina della sicurezza che fu attuata
in America Latina, dove i sindacati venivano definiti terroristi?
È
evidente che l’autoritarismo nel modo di esercitare il potere sta
aumentando in Europa. Durante questi ultimi anni sono già entrate in
vigore leggi che criminalizzano i movimenti sociali, leggi
antiterrorismo. La repressione aumenta ma non assume la forma
dell’eliminazione fisica degli attivisti come nei peggiori momenti in
America Latina, alla fine degli anni ’70 e al principio degli anni ‘80.
Ciò nonostante, la situazione europea somiglia a quella dei Paesi
latinoamericani. Dopo le sanguinose dittature (Argentina, Cile, Uruguay,
Brasile, dagli anni ’70 all’inizio degli anni ’80) si insediarono
regimi di transizione (Cile, Brasile) o democrazie che attuarono una
politica neoliberista molto dura. In Europa viviamo un periodo di
marginalizzazione del potere legislativo, di instaurazione di governi
tecnici (come in Italia), di abbandono del dialogo sociale combinato con
i tentativi di restrizione del diritto di sciopero, alla limitazione
dei picchetti formati dagli scioperanti per bloccare l’entrata delle
fabbriche, di repressione delle manifestazioni.
Come reagiscono i parlamenti nazionali di fronte a questo pacchetto di misure?
I
parlamenti europei sono marginalizzati dato che la Troika manda il
seguente avvertimento ai governi: «Se volete crediti, è necessario che
mettiate in atto misure di aggiustamento e non c’è tempo per
deliberazioni in parlamento». Alcuni piani si devono adottare nello
spazio di pochi giorni, anche di 24 ore.
Come abbiamo visto in Grecia
È
ciò che è appena successo in Grecia. La Troika ha preteso un piano.
Alla fine si è ottenuta l’approvazione da parte del parlamento greco, la
notte di domenica 12 febbraio. Ma il giorno dopo il commisario europeo
per gli Affari Economici ha annunciato che mancavano 325 milioni di euro
di tagli supplementari e ha concesso 48 ore di tempo al governo greco.
Questo dimostra che il parlamento greco non ha alcun potere decisionale e
che il governo è tutelato dalla Troika.
Questo ha dato luogo a una gigantesca manifestazione
Ma
non soltanto in Grecia, ci sono grandi manifestazioni anche in
Portogallo, Spagna, Francia, Italia, al momento con una minore
intensità, ma che si rafforzeranno. Inoltre ci sono mobilitazioni in
numerosi Paesi d’Europa, inclusa la Gran Bretagna. In Belgio, abbiamo
avuto nel gennaio 2012 il primo sciopero generale in 18 anni. Lo
sciopero ha paralizzato l’economia belga e i trasporti per 24 ore.
Cosa deve fare la Grecia per uscire dal problema?
La
Grecia deve smetterla di sottomettersi agli ordini della Troika e
sospendere unilateralmente il pagamento del suo debito per obbligare i
creditori a negoziare a condizioni per loro sfavorevoli. Se la Grecia
sospende il pagamento come ha fatto l’Ecuador nel novembre 2008, tutti i
possessori di buoni li venderanno al 30% (o meno) del loro valore
nominale. Questo metterà in difficoltà i possessori di titoli, cosa che
darà più forza al governo greco [per imporre le sue condizioni], anche
in una situazione così difficile.
L’Ecuador
sospese il pagamento dei suoi titoli nel novembre 2008 dopo un processo
di audit, ma non si trovava nella stessa situazione della Grecia.
L’Argentina sospese il pagamento nel 2001 in una situazione simile a
quella greca
Il paragone è più
indovinato con l’Argentina che non aveva liquidità per pagare. Sospese
il pagamento e non lo riprese per tre anni (dal dicembre 2001 al marzo
2005) per quanto riguarda i mercati finanziari e finora rispetto al Club
di Parigi (ossia più di 10 anni). Così facendo, l’Argentina riuscì a
ricominciare la crescita economica e impose ai creditori una
rinegoziazione del debito con un taglio del 60%.
Questo ebbe come conseguenza l’esclusione dell’Argentina dai mercati finanziari, che prosegue
È
vero, anche se l’Argentina pur esclusa dai mercati finanziari da 10
anni e non pagando nulla al Club di Parigi, da 10 anni ha anche una
crescita annuale media dell’8%. Questo dimostra che un Paese può avere
fonti alternative di finanziamento rispetto ai mercati finanziari.
Neanche l’Ecuador emette nuovi titoli sui mercati ed ha avuto una
crescita del 6% nel 2011, mentre la Grecia ha sofferto un calo del 7% del
suo prodotto interno lordo.
Ma l’Ecuador si sta indebitando con la Cina a tassi d’interesse molto alti
È
vero. È necessario trovare il modo di mantenere la sovranità rispetto a
queste nuove fonti di finanziamento. È per questo che bisogna
accelerare l’avvio della Banca del Sud.
Torniamo alla Grecia: gran parte degli analisti, lei compreso, sostiene che gran parte del debito greco è illegittimo
Naturalmente.
Ma soltanto un audit può dimostrarlo.
Una
parte del movimento sociale europeo ha imparato la lezione
dell’esperienza latinoamericana. Abbiamo fatto la proposta di un audit
dei cittadini sul debito che ha avuto un’eco enorme. Ci sono audit dei
cittadini in corso o sul punto di iniziare in 7 Paesi europei (Grecia,
Francia, Portogallo, Spagna, Irlanda, Italia e Belgio) e senza
l’appoggio dei governi.
Lei crede che questo sfocerà, soprattutto nel caso greco, in un audit ufficiale?
Vedremo.
questo implica un cambiamento di governo, cioè ci sarebbe bisogno che
il movimento sociale fosse abbastanza forte da farla finita con le
soluzioni governative favorevoli ai creditori e arrivare a un governo
alternativo.
Però manca molto per arrivare a cambiare l’orientamento dei governi europei, come quello della Grecia.
Effettivamente
siamo in una crisi che può durare 10 o 15 anni. Siamo soltanto nella
prima fase della resistenza. Sarà durissima. Con urgenza, i movimenti
sociali devono riuscire ad esprimere nei fatti una solidarietà attiva
con il popolo greco e creare una piattaforma comune europea di
resistenza all’austerità con l’obiettivo di ottenere l’annullamento dei
debiti illegittimi.
Fonte.
Fonte.
Nessun commento:
Posta un commento