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07/04/2013

Vendo/Affitto casa: il mercato immobiliare nella Milano di Expo2015

La relazione fra finanza e mattone è stata negli anni passati il principale motore per la “crescita” (se così si può dire…) della metropoli. Un'inchiesta del Comitato No Expo.

Nell’ultimo decennio sono sorti nuovi interi quartieri, sono cresciute imprese edili, il real estate è diventato per mole, probabilmente, il principale settore per investimenti e produttività. Molte sono state le critiche in merito all’impatto ambientale di ciò che in maniera molto svelta viene definita speculazione immobiliare, poche sono state sino ad ora le considerazioni sullo stato di salute di questo sistema e sul perché è opportuno tifare un crollo del mattone piuttosto che una sua ripresa. Il dominio del ciclo finanza/mattone, concedete l’iperbole, paragona Milano a quei paesi centroamericani o a quelle isole dell’oceano indiano in cui la costruzione selvaggia in funzione di una valorizzazione degli immobili utile per ottenere veloci guadagni è diventato il settore totalmente dominante. Guadagno veloce e sicuro. Subito. Nessun interesse per l’impatto sociale, le relazioni economiche con l’intero tessuto produttivo, le ripercussioni sui livelli di vita.


Il prodotto di questa egemonia culturale è una città completamente cementificata, con un numero inquietante di case sfitte o invendute, con le organizzazioni criminali che sono diventate importanti protagonisti economici utili ad eseguire il lavoro “sporco” (la produzione materiale) favorendo al lato pratico un generale abbassamento del costo del lavoro. Le banche hanno fatto profitti, rendendo più accessibili i mutui sul finire degli anni 80, hanno imposto la logica imperante della casa di proprietà come naturale necessità dell’abitare; la proprietà è diventata l’unica versione possibile ed immaginabile dell’abitare in città. Logica sostenuta, fra le altre cose, dalla continua svendita del patrimonio Aler e dalla progressiva sostituzione del sistema Erp con l’housing sociale.

In funzione di ciò è stata considerata e poi attuata una strategia che ha previsto la ricerca e la conquista di un grande evento, appunto Expo2015 (un ripiego rispetto all’ancora più folle, se possibile, tentativo di conquista delle Olimpiadi 2020), che, in particolare a evento concluso, potesse offrire la possibilità di mettere in piedi la più grande speculazione edilizia del secolo, attraverso il cambio di destinazione d’uso di enormi aree precedentemente a destinazione agricola o industriale trasformate in cubatura abitabile.

Nel momento in cui questa strategia economica è stata elaborata c’erano già tutti gli elementi per valutare le criticità che avrebbero creato problemi alla fattibilità dell’operazione. Fare previsioni non è però nello stile della politica economica arrembante, massimo guadagno col minimo sforzo, del surrogato della Milano da bere. Di conseguenza ci troviamo ora davanti ad una progettualità che pare essere sopravvissuta, zombizzante, al secolo scorso e che ad un tratto si sia scontrata con la realtà, ovvero un mercato immobiliare entrato in una crisi di cui pare ci troviamo davanti solo all’inizio. Incombe sui cieli nuvolosi di Milano lo spettro della bolla immobiliare. Non ditelo troppo pubblicamente, i mercati potrebbero agitarsi…

Il crollo delle vendite
  Il fallimento Ligresti-Fonsai può essere considerato un caso emblematico della crisi immobiliare e dell’inattualità dei vecchi palazzinari: la città stessa era così abituata alla presenza di Totò e del suo malaffare che l’agonia di questo gruppo è stata piuttosto silente sino alla fine politica ed economica di una delle famiglie più potenti della storia recente e meno recente della città.

Ovviamente Ligresti è un caso emblematico ma non isolato, il calo delle vendite negli ultimi anni è imponente: – 25% nel 2012 a livello nazionale, –26,2 % a Milano.[1] Dati che certo peccano di precisione, si tratta di una rilevazione spannometrica, dati però da nessuno contestati ed avallati dalla stessa Confedilizia. I fattori che hanno determinato questo crollo e che lo aggraveranno sono ben identificabili: 
  • stallo dei salari e aumento della precarietà del lavoro oltre che della disoccupazione
  • aumento del costo dei mutui e maggiori difficoltà nell’accedervi 
  • prezzi del mattone evidentemente irreali e non sostenibili   
Allo stesso tempo esistono elementi che invece han consentito al mercato immobiliare, nonostante il crollo delle vendite, di resistere:
  • mancanza di alternative abitative/affitti irragionevolmente alti
  • continua diminuzione del costo del lavoro nei cantieri (caporalato, catene di subappalti sui grandi progetti ecc.) 
  • aiuti di stato alle banche che, avendo la possibilità di ottenere liquidità, possono concedersi di non svendere il proprio patrimonio immobiliare     

Di fronte al crollo delle vendite ed al suo prevedibile aggravarsi, uno strumento come l’housing sociale, utile nelle previsioni per sostituire le politiche Erp ed introdurre l’abitazione sociale nell’epoca del neoliberismo, in cui banche e istituzioni si mettono in rete per conciliare il bisogno della casa coi bisogni del mercato, sembra oggi uno strumento più utile a fornire un appiglio ai ceti medi attraverso cui entrare nel mondo degli acquirenti di casa per permettere all’immobiliare di gestire l’invenduto limitando la svalorizzazione di questo (poiché si creerebbe un sottogruppo in cui inserire case non vendute, esterno al mercato immobiliare convenzionale che di conseguenza limiterebbe l’offerta).

Di fatto, quando si parla di mercato immobiliare è necessario scorporare il mercato rivolto ai ceti maggiormente abbienti rispetto al mercato immobiliare rivolto al resto del mondo. Il primo si rivolge ad un numero ristretto di acquirenti ma offre un costo al metro quadro che supera abbondantemente i 6 mila euro. In alcune città del resto del mondo, Londra su tutte, il prezzo del mattone non è crollato poiché le immobiliari han fatto cassa coi nuovi grandi investitori, provenienti prevalentemente dall’est, coloro che possiamo considerare i nuovi ricchi.

Il mercato immobiliare “nobiliare”, potremmo definirlo così, ha in Citylife, nel caso di Milano, la sua punta di diamante: progetto ancora ben lungi dall’essere terminato, passato di mano a Generali (66%) ed Allianz (il restante 33%), Citylife prevede di vendere buona parte degli appartamenti offerti. Le vendite sono iniziate e stanno procedendo in maniera lenta ma costante. Gli acquirenti sono internazionali, in particolare russi e cinesi si sono mostrati particolarmente interessati. I pagamenti avvengono spesso, a quanto pare, in contanti (può c’entrare qualcosa il riciclaggio?)[2] Ovviamente parte del progetto Citylife verrà rivisto, ovviamente ciò che non ci sarà più sarà probabilmente la parte di questo ad uso civico, in particolare il Museo d’Arte Contemporanea sembra scomparirà dal progetto (anche se un nuovo museo di quel tipo con la GAM di Via Palestro in sfacelo e la Pinacoteca di Brera mal custodita sembra essere quanto meno discutibile). E’ probabile che questo intervento risentirà poco della crisi del mercato immobiliare poiché insiste su un target di acquirenti che non è quello che sta soffrendo il momento.

Molto diversi sono invece gli altri casi disseminati nel territorio metropolitano, molti dei quali sono saltati dopo aver già pagato gli oneri di urbanizzazione. Santa Giulia, l’esempio presentato nel 2007 al Bie di Parigi come simbolo delle potenzialità di un Expo milanese, oggi è semplicemente l’esempio di un fallimento e la fine di un altro signore del mattone milanese, Luigi Zunino.

Fra i nuovissimi progetti, i siti che probabilmente hanno più possibilità di venire alla luce sono proprio i 3 progetti di Euromilano indirettamente legati ad Expo2015, per almeno 3 motivi:
  • sono collocati in periferia, per cui offriranno prezzi al metro quadro più accessibili 
  • sono situati su terreni precedentemente agricoli o industriali e permettono una rivalorizzazione del metroquadro importante (anche sfruttando il contenuto ideologico di Expo2015)
  • i soci di questo affare sono eterogenei e tutti, al momento, in salute; quanto meno non sono esposti in imprese già traballanti. 
Ma:
  • rischiano di inserirsi in una terra di nessuno e finire nella voragine di Expo2015
  • già nel progetto emerge scarsità di servizi e per questo motivo sul mercato risulteranno poco attrattivi   
e, soprattutto, e questo vale per quasi tutti i progetti, possono diventare un boomerang se a costruzione conclusa ci troveremo nel bel mezzo di una bolla immobiliare, cosa che appare naturale considerato, come detto in precedenza, i prezzi particolarmente gonfiati all’inverosimile[3] del mattone e l’assenza all’orizzonte di una politica che faccia leva sul rialzo dei salari (escludendo per il futuro un allentamento in merito all’accessibilità al mutuo).

Al momento, la diminuzione del costo del mattone ufficialmente è nell’ordine del 5%. A naso, in particolare nel nordovest Milano, ci pare si possa parlare tranquillamente di un 15%, ma considerando che permane l’inaccessibilità all’acquisto per larga parte della popolazione, considerando inoltre che queste diminuzioni dei costi non portano a maggiori vendite, consideriamo ancora poco rilevante la caduta dei valori immobiliari.

E’ proprio la connivenza tra finanza e costruttori a rendere possibile il controllo della situazione, per cui i pacchetti immobiliari non vengono eccessivamente svalorizzati, perché avrebbero ripercussioni troppo onerose per la finanza di questo paese. Inutile affermare che quest’atteggiamento di arroccamento dietro ad una diga porterebbe ad una situazione ingestibile qualora la diga crollasse.

In questo contesto ciò che noi chiamiamo “il pubblico”, ovvero le istituzioni che da anni si comportano in questo campo come spettatori quando non addirittura agevolatori di questo processo, attraverso pgt o altre misure meno impattanti, offre la sua collaborazione e comunque non studia rimedi perché, per esempio, vittima del ricatto degli oneri di urbanizzazione, che a scanso di equivoci (tipo propaganda eco o discorsi in libertà sulla sostenibilità), sono l’entrata più importante ad appannaggio dei bilanci pubblici.

Oneri di urbanizzazione

Lo spettro della bolla immobiliare aleggia sul pgt del Comune di Milano, strumento che con la nuova giunta è variato di poco rispetto al piano Masseroli e che sostanzialmente ha cercato di diventare più realista ed adeguato alle reali possibilità del mercato immobiliare, oggi non più quello del decennio scorso, non più in grado quindi di mettere sotto scacco l’intero territorio.

Se della Milano futura tanti progetti programmati salteranno non è un problema della cittadinanza, tanto meno del comitato NoExpo che da sempre contesta l’erosione del verde metropolitano, la non funzionalità di alcuni dei nuovi progetti ed il carattere verticistico con cui le decisioni di riassetto del territorio vengono prese. E’ un problema però per i conti pubblici, che dagli oneri di urbanizzazione traggono ogni anno decine di milioni di euro. E’ un ricatto, ed è ora di liberarsene.

Nel 2012 il calo degli oneri depositati è stato netto, risultano in cassa 74,5 milioni di euro ed in ballo ci sono ancora almeno due contesti in cui si è in procinto di richiedere la restituzione degli oneri poiché il progetto sembra saltato (Forze Armate e Mecenate)[4]. Per dare una misura del calo, nel 2010 (anno non particolarmente di grazia) si sono incassati 145 milioni di euro.

Questo è il costo del cemento in città, un rapporto che nel corso degli anni ha minato la sostenibilità ambientale metropolitana ed ha invaso di cemento un territorio che in cambio ha ricevuto l’impossibilità, per via dei prezzi delle case, di vivere in città e la conquista da parte dell’ndrangheta di interi settori dell’economia, oltre che una città in cui la responsabilità sociale del costruttore è praticamente assente con conseguente degrado sociale e urbanistico. Certo, i soldi del mattone hanno contribuito a mantenere servizi pubblici di primaria importanza, servizi che oggi vengono messi in discussione per via dei nuovi importanti problemi di bilancio del Comune di Milano, per nulla scalfiti dalla spending review di Tabacci.

Proprio in questo momento in cui la crisi incombe sul sistema Milano, in un momento in cui le porte del terzo mondo si stanno definitivamente aprendo per quella che un tempo veniva definita la capitale economica del paese e che oggi potrebbe essere identificata come la capitale della crisi in questo paese, è il caso di ridiscutere in toto un modello di sviluppo che in questi anni ha sostenuto una città costantemente sotto ricatto da parte del palazzinaro di turno e della grande finanza, in cui abitare è da decenni molto difficile, una città in cui da inizio ‘80 ben 600 mila milanesi sono fuggiti, scegliendo di andare a vivere nell’hinterland (questo processo migratorio si è arrestato nel momento in cui nell’hinterland il prezzo del mattone è diventato equivalente, si parla addirittura di un crollo delle vendite di 40%[5]).

Occorre ripensare la stessa idea di abitare, smantellando l’egemonia dell’ideologia della proprietà immobiliare, fenomeno che ha portato i cittadini a comprare casa indebitandosi fortemente, con ripercussioni sociali, che hanno smantellato il conflitto e prodotto una società ammansita e ordinata, attenta unicamente a non perdere il posto di lavoro utile a pagare il mutuo. L’amplificazione del ricatto sociale prodotta dai mutui trentennali è il passato, il sistema che reggeva questo dogma sta per saltare, Expo2015 è l’acceleratore di questo default.

Il Comune di Milano venderà le società partecipate per tenere in piedi questo stato di cose, ma alla fine delle svendite nulla sarà cambiato e ci troveremo nuovamente davanti ad un bivio: fallire o eliminare i servizi. Solo la riappropriazione dal basso possiede gli strumenti per riconquistare il territorio. Per questo motivo salutiamo positivamente le nuove occupazioni a scopo abitativo nate recentemente anche in città, poiché se la casa è un diritto questo stato di cose deve saltare. Per questo motivo è importante valorizzare il riuso e tutte quelle politiche sulla casa che favoriscono l’abitabilità degli spazi contro la redditività dei metri quadri. La continua deregulation e gli aiuti pubblici stanno cercando di rianimare un cadavere, nocivo a più livelli: in questo stato di cose la “ripresa” del settore edile è da considerarsi una disgrazia.

[1] http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2012-09-27/case-vendite-picco-prezzi-134453.shtml?uuid=AbCuCVkG
[2] http://www.ilghirlandaio.com/retail-e-commercial/69978/citylife-riprende-slancio-al-via-600-nuove-residenze/
[3] http://www.quasardat.com/economia/crollo-del-mercato-immobiliare-italiano/
[4] http://ricerca.gelocal.it/repubblica/archivio/repubblica/2013/03/16/incassi-crollati-oneri-da-restituire-la-crisi.html
[5] http://www.infonodo.org/node/31571

Fonte

Un'analisi molto estesa ma assolutamente da leggere per la critica che muove a un modello di sviluppo che sta mandando in vacca tutto il Paese e non solo.

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