Il tour europeo di Enrico Letta ha sostanzialmente confermato quel che
era chiaro da tempo. Le scelte di politica continentale restano di fatto
bloccate fino alle elezioni tedesche, ma non è affatto detto che dopo
possano esser diverse.
In fondo, persino il sindacato dei metalmeccanici,
l'Ig Metall, ritiene che i “paesi cicala” debbano fare tutti i sacrifici
loro richiesti dalla Troika. Segno che l'”unità di classe”, sul
continente, è tutto meno che un dato “spontaneo”. Una, peraltro improbabile, vittoria dei socialdemocratici della Sod, insomma, potrebbe non cambiare
molto nella gestione teutonica della crisi europea.
Nel
frattempo, tutti gli altri paesi di grandi dimensioni e con problemi
economici più o meno gravi, si incontrano e si dicono d'accordo sulla
necessità di politiche “per la crescita”. Ma nonostante i “numeri” che
possono vantare nelle istituzioni europee non hanno la potenza economica
sufficiente a far cambiare l'orientamento della nave unitaria.
Resta quindi un parlottare convulso, un fiorire di ipotesi e “possibili
soluzioni”, che si scontra puntualmente col “nein” di Berlino e degli
altri paesi “virtuosi” (Olanda, Finlandia ben poco altro).
Anche
il povero Letta, dunque, ha fatto il suo giro per infine ritrovarsi al
punto di partenza: gli impegni sul contenimento del debito pubblico
assunti davanti all'Europa devono essere confermati ma, «nei limiti dei
target definiti», vanno individuati spazi per la crescita.
Botte
piena e moglie ubriaca, frasi che si possono dire ma che indicano
azioni in contrasto fra loro. Eppure il “programma” enunciato da Letta
in Parlamento, quello su cui ha ottenuto la fiducia e viene ricattato da
Berlusconi, può fare qualche passo pratico soltanto se la “rigidità”
degli impegni europei viene allentata in misura significativa. Perché il
margine per trovare nuove risorse – a impegni confermati – appare
decisamente inesistente. Una coperta corta, dove se togli l'Imu devi
tagliare altre spese, se copri l'intera platea degli “esodati” o delle
valanghe di nuovi cassintegrati saresti costretto ad aumentare un
pressione fiscale oltre i limiti della tollerabilità, se “freni” i
metodi brutali di Equitalia ti ritrovi con minori entrate, ecc.
Saranno sei mesi durissimi, insomma, quelli che ci separano dal prossimo
governo tedesco. Sei mesi in cui appare raggiungibile qualche risultato
sul fronte europeo solo sotto forma di “cancellazione della procedura
di infrazione per deficit eccessivo”, che comporterebbe alcune rigidità
in meno nel rispetto di altri parametri. Un minimo di margine operativo
su cui – con una compagine così disomogenea e a tratti sgangherata – è
facile prevedere uno scontro titanico.
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