di Carlo Musilli
Ora che il
tappo è saltato, improvvisamente sono tutti d'accordo. La cura
dell'austerità è fallimentare: ha aggravato la malattia dell'Europa
meridionale, avvantaggiando solamente la Germania, in particolare sul
fronte delle esportazioni. Negli ultimi giorni si è infranto il grande
tabù economico istituito con il trattato di Maastricht e le più
influenti istituzioni internazionali hanno iniziato a ribellarsi contro
il modello dell'Europa a guida tedesca.
Accuse esplicite sono arrivate dal Fondo monetario internazionale,
dal Tesoro americano e perfino dalla stessa Bruxelles. Berlino,
naturalmente, si è difesa con la solita tautologia: "Siamo i migliori
perché siamo i migliori".
A metà novembre la Commissione europea
pubblicherà le pagelle sui numeri dei singoli Paesi per segnalare gli
squilibri da correggere. E stavolta sul banco degli imputati ci sarà
anche la Germania, che sfora (in positivo) la soglia stabilita per le
partite correnti, ovvero i conti con l'estero ricavati dal rapporto fra
import e export. Il dato è significativo per due ragioni: dimostra come
le regole europee siano state distorte ab origine per favorire
l'economia tedesca, e soprattutto segnala in che modo la Germania stia
succhiando linfa vitale alle altre economie europee.
Sul fronte
delle regole, il paradosso è questo: secondo gli accordi comunitari, i
membri Ue devono correggere il tiro se il loro deficit commerciale (che
si ha quando l'import supera l'export) sfora il 4% del Pil nella media
degli ultimi tre anni. Se però parliamo di uno squilibrio inverso,
ovvero di un eccessivo avanzo commerciale (quando l'export supera
l'import), la soglia prevista è maggiore: 6%. Un'asimmetria volta a
favorire la Germania, che l'anno scorso registrava un avanzo del 5,9%.
E' ovvio che, nell'ottica degli scambi intraeuropei, l'avanzo eccessivo
di un Paese sia in gran parte l'altra faccia della medaglia rispetto al
disavanzo eccessivo di qualcun altro. Ma nell'Europa a guida tedesca
questa considerazione non conta.
Ora però Berlino ha scoperto
una verità scomoda: le regole che si è cucita su misura le stanno
strette. La Bundesbank ha rifatto i conti e il risultato è imbarazzante:
nel 2010 il surplus è arrivato al 6,24% del Pil, nel 2011 al 6,21% e
l'anno scorso ha perfino superato il 7%. La media dei tre anni è 6,5%.
Troppo. Bruxelles dovrebbe intimare al nuovo governo Merkel d'invertire
la tendenza, aumentando l'import e riducendo l'export. Guarda caso, la
stessa ricetta che una folla di economisti (non tedeschi) suggerisce da
anni, insieme al rilancio della domanda interna, per dare ossigeno alle
economie dei Paesi in difficoltà.
Questa politica tedesca volta
al dominio economico ha finalmente suscitato reazioni oltreoceano. Nel
suo ultimo rapporto sulle valute e le politiche economiche dei Paesi
concorrenti, il Tesoro degli Stati Uniti accusa la Germania per
"l'anemico passo della crescita della domanda domestica e la dipendenza
dalle esportazioni". Due fattori che "hanno impedito un riequilibrio nel
momento in cui molti altri Paesi dell'area euro sono sotto forte
pressione per ridurre la domanda e comprimere le importazioni al fine di
promuovere aggiustamenti" di bilancio. Tutto ciò ha provocato "una
tendenza alla deflazione sia per la zona dell'euro che per l'economia
mondiale".
"Una critica incomprensibile e inaccettabile", ha
replicato il ministero delle Finanze di Berlino, sottolineando che "il
surplus di bilancio tedesco non è fonte di preoccupazione né per la
Germania né per l'Eurozona o l'economia mondiale". Insomma, l'avanzo
commerciale sarebbe solo merito della grande competitività tedesca e
perciò non è necessaria alcuna correzione delle politiche economiche e
finanziarie. Peccato che la settimana scorsa, secondo il Der Spiegel,
anche il vice direttore del Fondo Monetario Internazionale, David
Lipton, abbia chiesto alla Germania di ridurre il surplus della
bilancia commerciale.
Non
solo. E' inevitabile che la discussione sul commercio si allarghi fino
ad inglobare il modello economico sottoscritto 20 anni fa dall'Europa,
che nella gestione della crisi si è rivelato disastroso. Secondo l'Fmi,
tutti i calcoli fatti quando è stata lanciata l'austerità erano
sbagliati e gli effetti sull'economia sono stati molto più pesanti del
previsto. Un giudizio da cui Bruxelles non può difendersi: anzi, in un
recente rapporto la Commissione europea si è perfino esibita in un
tardivo mea culpa sulle misure di austerità imposte in questi anni.
E in un'intervista a La Stampa il tedesco Martin Schulz,
Presidente dell’Europarlamento e possibile candidato socialista alla
guida della Commissione, ha ribadito che "un ribilanciamento tra rigore e
sviluppo" è necessario "per generare crescita, dare aria alle piccole
imprese, dar forza al mercato unico e sostenere la domanda interna".
Nel
mirino è finita anche la mitica locomotiva d'Europa. Secondo uno studio
firmato da un economista della Commissione, Jan in 't Veld, l'austerità
interna della Germania ha aggravato la recessione dei paesi in deficit,
rendendo "più duro il riequilibrio nella periferia ed esacerbando
ulteriormente il temporaneo peggioramento del rapporto debito-Pil". Al
contempo, però, Berlino poteva permettersi di compensare l'austerità
interna con la forza delle esportazioni, come sostengono gli Usa.
In
questo scenario si complica il quadro delle alleanze e dei rapporti di
forza di Angela Merkel, che a breve darà vita a un nuovo governo di
coalizione con i socialdemocratici. E non è un dettaglio, perché la
politica dell'alleanza Cdu-Csu guidata dalla cancelliera potrebbe essere
corretta, o quantomeno influenzata, dall'ispirazione opposta della Spd:
"Dovremo fare di più per la domanda interna con aumenti retributivi",
ha detto Hubertus Heil, uno dei massimi dirigenti del partito fautore
del salario minimo e degli investimenti pubblici. In ogni caso, anche se
frau Merkel riuscirà comunque a continuare per la sua strada, stavolta dovrà farlo senza gli applausi del mondo.
Fonte
Solo un appunto, scontato quanto si vuole ma necessario visto il tono dell'articolo: non è che Stati Uniti e FMI abbiamo tirato le orecchie alla Germania perché s'accalorano nei confronti dei 6 milioni e rotti di disoccupati creati dalle politiche di austerità tedesche nella periferia europea, ma piuttosto perché il mercantilismo germanico è una delle cause che sta rendendo asfittica la ripresa, comunque di corto respiro, degli stessi Stati Uniti.
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