05/10/2014
Il difficile cammino di una sinistra radicale
Il corteo di Napoli contro la BCE ha evidenziato tutti i limiti di un movimento antagonista che, appena abbandona le comode sponde della lotta sociale, fatica a trovare una sua ricomposizione politica credibile. Allo stesso tempo però, e non va sottovalutato, ha espresso anche una certa coscienza di sé, e forte di questa consapevolezza potrebbe muovere i primi passi verso una possibile rinascita. Non aver sceneggiato simulacri di battaglie campali o assedi improponibili è già qualcosa. Inutile forzare la mano quando non se ne hanno la forza e le capacità; ancor più inutile farlo nel momento di massima concentrazione delle forze della repressione, nel solito e sempre meno efficace rito conflittuale da cui uscire con le ossa rotte e compagni arrestati. Questi accenni non nascondono però un altro fatto, altrettanto importante: momenti di visibilità simbolica sono necessari, perché l’alternativa non è quello del grigio lavoro quotidiano nei territori, ma la scomparsa dalla visibilità politica, dalla percezione comune della nostra esistenza. E’ dunque giusto e necessario continuare a contestare i momenti di visibilità simbolica del capitale, anche perché questo consente al nostro discorso di viaggiare nei canali d’informazione, di arrivare alla popolazione, lottando contro ogni narrazione pacificante. L’opposizione esiste e deve rendersi visibile ovunque, anche contro vertici politici inscenati dalla borghesia internazionale. L’altra faccia della medaglia di questo ragionamento, come dicevamo, è che oggi non abbiamo la forza di opporci a questi vertici con quella radicalità e conflittualità tale da mettere in pericolo la riuscita stessa dell’evento. Un evento che, come sappiamo, è esclusivamente simbolico – non è certo a Napoli, o in qualsiasi altro luogo scenico, che vengono prese le decisioni politiche in merito – ma in politica i simboli sono fondamentali, e dunque va contrapposta una simbologia altrettanto efficace. Non arriva la BCE in una città italiana senza opporci con tutta la forza che riusciamo intelligentemente a mettere in campo. L’alternativa, come detto, è la pacificazione, cioè la percezione che ormai certe dinamiche siano talmente introiettate nella coscienza generale che sia inutile anche solo opporcisi.
Allora, al posto della sceneggiata assediante, molto meglio gli applausi di Colli Aminei, del rione Sanità, dei quartieri popolari napoletani che hanno vissuto come espressione del loro dissenso il corteo contro la BCE. Applausi sentiti ad ogni riferimento contro Renzi e la UE dei padroni, discorsi istintivamente già metabolizzati, introiettati. Non è necessario spiegare ai quartieri popolari, di Napoli come di qualsiasi altra metropoli, chi siano i loro nemici: lo sanno già, a volte molto meglio di noi. Capire chi sono invece i loro amici, nonché gli strumenti politici per combatterli efficacemente, questo è il compito della sinistra radicale oggi. Trovare quegli strumenti che possano riallacciare un discorso comune tra istanze politiche e malessere popolare, già chiaramente definito. Siamo molto indietro nel percorso. Oggi c’è una distanza notevole tra la nostra internità nelle lotte sociali e il discorso politico che portiamo avanti: due discorsi che dovrebbero sostanziarsi l’un l’altro, e che invece appaiono escludenti: chi è protagonista di lotte sociali fatica a politicizzarle oltre la propria singola vertenza, dandogli un orizzonte politico generalizzabile; mentre chi sottovaluta la contaminazione sociale cade in un politicismo astratto incapace di condizionare alcunché se non le proprie ristrette congreghe di iniziati. Le due tendenze non sono equivalenti, la prima incide nella realtà, la seconda no. Ma è anche inevitabile prendere coscienza che non può essere la soluzione alla crisi politica della sinistra nel nostro paese. Non ci sarà alcuna ricomposizione politica effettiva senza perdita d’egemonia. Soprattutto se questa egemonia è portata avanti su un “movimento” sempre più ristretto, marginale, ininfluente. Spartirsi le briciole, cioè contendersi la direzione di un “movimento” che non è più tale da un ventennio, non ci sembra possa portare a grandi passi in avanti collettivi. In questo senso, la costruzione del corteo di Napoli, le parole d’ordine, le prese di parola durante il corteo, le pratiche condivise, le assemblee preparatorie, ci sembrano un bel passo in avanti. Non sarà tanto, ma è già qualcosa che può essere preso ad esempio. Di questo ne va dato atto ai compagni napoletani.
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