di Chiara Cruciati – Il Manifesto
Il mondo condanna
l’attentato alla sinagoga di Gerusalemme. I quattro morti israeliani,
uccisi da due palestinesi armati, hanno sdegnato tanti governi, gli
stessi che fingono che la violenza che sta investendo la Città Santa sia
frutto di una rabbia estemporanea e non di decenni di occupazione
militare e abusi.
Da settimane Gerusalemme è nell’occhio del ciclone, teatro di
omicidi commessi da estremisti israeliani e di auto palestinesi
lanciate sui pedoni alla fermata del tram. Fatta di centinaia di
arresti, raid della polizia, attacchi contro la moschea Al-Aqsa,
quartieri chiusi, adolescenti bruciati, autisti dell’autobus impiccati,
accoltellamenti. Non sono pochi quelli che temono una rottura
dello status quo, che dal 1967 ad oggi ha permesso a Israele di
espandere indisturbato e impunito le sue colonie.
Le politiche di immobilismo propugnate da un Occidente
incapace di imporre la fine delle violazioni del diritto internazionale
da parte israeliana (a partire proprio da Gerusalemme, città
internazionale ma unilateralmente annessa da Tel Aviv) hanno creato il
terreno fertile a rabbia e violenza. Ma ora è il tempo delle
lacrime di coccodrillo, quelle che a luglio e agosto il massacro di Gaza
non si meritò. A partire da Washington: il segretario di Stato John
Kerry – che aveva trascorso i giorni precedenti a cercare il negoziato
tra autorità palestinesi e israeliane sulla Spianata delle Moschee – ha
parlato di «atto di puro terrore». «I nostri cuori sono con
tutti gli israeliani, per l’atrocità di questo evento e tutte le memorie
storiche che porta con sé – ha detto Kerry, debole propugnatore di un
processo di pace fallimentare – Palestinesi hanno attaccato
ebrei che stavano pregando in una sinagoga, persone che erano andate a
pregare Dio sono state uccise in un luogo sacro».
E se Kerry ha puntato il dito sulla leadership palestinese
usando la stessa narrativa del premier Netanyahu («Deve prendere misure
serie per evitare ogni tipo di incitamento»), anche il presidente Obama è
subito intervenuto: «Condanno duramente l’attacco terroristico
contro i fedeli di una sinagoga di Gerusalemme. Non c’è e non ci può
essere una giustificazione a tali attentati contro civili innocenti».
Non è mancato l’appello alla calma, alle parti coinvolte, palestinese e
israeliana, che Obama chiama a «lavorare insieme per abbassare le
tensioni, rigettare la violenza e cercare il sentiero verso la pace».
Stessa la linea seguita da Londra: il segretario agli Esteri Hammond
ha richiamato entrambe le parti «a lavorare per stemperare le tensioni
che negli ultimi giorni si sono viste a Gerusalemme, pericolose sia per
le comunità ebraiche che palestinesi». Da Bruxelles parla la neoeletta
rappresentante agli Affari Esteri della Ue, Federica Mogherini: «Faccio
appello a tutti i leader della regione perché lavorino insieme, calmino
subito la situazione ed evitino ulteriori escalation. Chiedo a tutte le
parti di evitare ogni atto che possa peggiorare la situazione,
incitamenti, provocazioni, uso della forza». La Mogherini, che
nei giorni scorsi aveva reiterato la necessità di riconoscere lo Stato
di Palestina, ha imputato la responsabilità delle violenze alla mancanza
di progressi verso la soluzione a due Stati, che le stesse nazioni
europee però temono di raggiungere attraverso riconoscimenti
unilaterali, senza il consenso israeliano.
Condanne anche dalla Germania («Il fatto che un luogo di preghiera
sia diventato la scena di attacchi mortali contro fedeli innocenti è una
terribile trasgressione in una situazione già estremamente tesa», ha
detto il ministro degli Esteri Steinmeier) e la Francia con il
presidente Hollande che in un comunicato definisce l’attacco «atto
mostruoso».
Dalla Turchia a parlare è il ministro degli Esteri Cavusoglu,
che condanna l’attentato ma anche le politiche israeliane contro la
moschea di Al-Aqsa, target nelle ultime settimane di raid e visite da
parte di estremisti israeliani scortati dall’esercito: «Siamo
in un circolo vizioso: l’irresponsabile attitudine israeliana contro
Gaza continua, ma non ci sono scuse per l’attacco di oggi in sinagoga».
E l’Italia? Dopo essersi astenuto dal votare l’istituzione di
una commissione d’inchiesta Onu sui crimini commessi da Israele durante
l’operazione Margine Protettivo contro Gaza ed essersi guadagnato il
poco onorevole primo posto nella classifica degli esportatori di armi
verso Tel Aviv, il governo di Roma parla per bocca del neoministro degli
Esteri. Da Gentiloni giunge la «ferma condanna per l’ignobile
attacco armato di gravità inaudita di questa mattina» e, di nuovo,
un’indiretta critica alla leadership palestinese: «Auspico che tutte le
parti impegnate nel processo di pace dichiarino la ferma condanna e
prendano le distanza da un’azione tanto ignobile».
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