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02/12/2014

In Italia la ricchezza c'è, ma è distribuita male

Nel 2014 la ricchezza delle famiglie italiane ha toccato i suoi massimi storici (Il Sole24Ore) superando i livelli pre-crisi. Sembra incredibile in anni di crisi segnati da austerity e pareggi di bilancio: anni duri in cui l'impoverimento, l'altissima disoccupazione (13,3% totale, oltre 40% quella giovanile), i licenziamenti e la precarietà sono i fenomeni più percepiti e vissuti dalla maggioranza del paese.

A quanto pare in Italia la ricchezza risultante da conti correnti, azioni, titoli di stato e altri strumenti finanziari è cresciuta di 400 miliardi dal 2011, superando il record precedente risalente al 2006. In media le famiglie italiane avrebbero raggiunto una disponibilità di 65 mila euro (!!!). Mentre il debito pubblico è sempre più alto (giustificando tagli e sacrifici) gli investimenti nella finanza (azioni, bond, fondi comuni) hanno avuto favolose performance, determinando gran parte di questa crescita. Ma la finanza, si sa, non è per tutti. Se chi ha qualche risparmio riesce a integrare reddito e pensioni (rischiando, però, di perdere tutto), chi manovra grossi capitali accumula rendite favolose, spesso così grandi da non essere nemmeno immaginabili.

No, non è il miracolo promesso da Renzi che si realizza. Bensì è la testimonianza di una cruda realtà: la guerra dei ricchi contro i poveri che la crisi ha accelerato. Infatti il concreto ed evidente contrasto tra la notizia e l'esperienza quotidiana della maggior parte del paese è dovuto alla foglia di fico di un valore considerato “in media”. La realtà è che molte famiglie hanno in realtà livelli bassi o nulli di ricchezza, mentre poche posseggono grandi patrimoni: il 10% più ricco della popolazione detiene il 50% della ricchezza complessiva.

Quindi la ricchezza c'è, semplicemente è distribuita in maniera fortemente diseguale. Non è un caso che il record pre-crisi sia stato battuto ora, quando la crisi è ben lontana dall'essere finita (se mai finirà). Infatti è proprio grazie ad essa che si è potuto accelerare violentemente il processo che ha drenato ricchezza da chi per vivere deve vendere la propria forza lavoro (anche se formalmente autonomo o piccolo imprenditore) verso quelli che si arricchiscono con finanza e grandi affari.

Questo processo non è capitato per caso o per delle oggettive leggi naturali. È il risultato delle politiche che un blocco di potere trasversale (politica, grandi imprenditori, finanza...) sta portando avanti per rafforzare i propri privilegi: le riforme del lavoro (per esempio il Jobs Act, che sarà un affare sopratutto per le agenzie interinali), la tassazione, i tagli alla sanità, alla scuola, all'università. Un processo di anni che per la stragrande maggioranza della popolazione ha significato impoverimento, diminuzione delle possibilità, mancanza di sicurezze e garanzie, perdita di controllo sulle proprie vite.

Così, mentre i politici dirigono risorse in grandi opere inutili, le periferie delle nostre città vivono il problema della casa e della mancanza di servizi; mentre i patrimoni di pochi ricchi si accrescono, a noi viene imposta la competizione al ribasso di lavoratori contro disoccupati, giovani contro vecchi, garantiti contro non-garantiti. Qualche anno fa il ricco finanziere Warren Buffett dichiarava "La lotta di classe esiste e l'abbiamo vinta noi". Per quanto ci riguarda la partita è ancora del tutto aperta. La favola della crisi come male comune trasversale si rivela per quel che è, ed i meccanismi di mediazione perdono efficacia. Dentro questa polarizzazione si apre la possibilità di individuare un'inimicizia esplicita, la possibilità dell'autonomia e della trasformazione radicale dell'esistente.

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