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02/12/2014

Via libera Usa all’invasione turca della Siria?


A dare l’agognata – per Ankara – notizia che potrebbe segnare una pericolosa escalation non solo in Siria ma in tutto il Medio Oriente è stato il giornale statunitense Wall Street Journal. Secondo il quotidiano d’oltreoceano Stati Uniti e Turchia, dopo mesi di tira e molla, sarebbero ormai vicini ad un accordo sulla gestione della questione siriana. Il regime turco potrebbe quindi concedere ai caccia statunitensi l’uso delle proprie basi nel sud del paese, fondamentali per colpire gli islamisti dell’Isis ed eventuali altri nemici, mentre in cambio Ankara riceverebbe il via libera, finora negato, all’invasione del nord della Siria da parte delle sue truppe per la creazione di una cosiddetta ‘zona cuscinetto’. Un’area occupata e controllata dalle forze armate turche – e forse da un governo civile affidato alle marionette dell’Esercito Siriano Libero – che andrebbe da Latakia ad ovest fino al confine con l’Iraq ad est, comprendendo quindi praticamente tutto il Rojava, come i curdi chiamano i territori da loro abitati nel nord della Siria e dove il Partito di Unità Democratica, alleato del Pkk, ha stabilito negli ultimi anni assieme ad altre realtà politiche un autogoverno “terzo” rispetto all’esecutivo di Damasco ma anche rispetto ai ribelli islamisti che lo combattono.

Accettando formalmente di intervenire al fianco di Washington e della coalizione internazionale per battere l’Isis, in realtà Ankara occuperebbe ampie zone del Kurdistan siriano spezzando via l’autonomia instaurata dal Pyd e la continuità territoriale con la guerriglia curda operante in Turchia, e naturalmente si impossesserebbe di un pezzo consistente di Siria dal quale lanciare i suoi attacchi non tanto contro gli islamisti di Al Baghdadi che sostiene ormai anche militarmente ma contro le forze armate siriane. Sulla zona “cuscinetto”, ovviamente, gli invasori imporrebbero una no-fly zone per impedire a qualsiasi velivolo di Damasco di sorvolarla.

Se così fosse, se l’accordo fosse in via di chiusura, significherebbe una vittoria delle mire egemoniche turche nella regione senza precedenti e una sconfitta storica per Washington, costretta a chinare la testa davanti alle pretese di Ankara nell’impossibilità di piegarne le resistenze.
Nella zona occupata rientrerebbe naturalmente anche Kobane, dove da questa estate migliaia di attivisti e combattenti curdi lottano contro le milizie jihadiste per impedire che la città cada nelle mani di Daesh e dove negli ultimi giorni i combattimenti sono ripresi in grande stile. Con la differenza, rispetto al passato, che stavolta gli islamisti hanno potuto attaccare e bombardare Kobane anche dall’unico lato finora rimasto libero, cioè dalla parte del confine turco che sorge a poche centinaia di metri dal centro abitato. Di fatto gruppi dell’Is hanno bombardato la città curda dal territorio turco, e l’autobomba che ha colpito un checkpoint delle Ypg pochi giorni fa sarebbe arrivata proprio da nord, con la complicità dei soldati turchi che presidiano la frontiera.

Inoltre, secondo l’agenzia di stampa kurda Rudaw, sabato scorso l’esercito turco avrebbe per la prima volta partecipato ai bombardamenti della città di Kobane, ferendo alcuni civili e alcuni com­bat­tenti delle Ypg. Ad accusare Ankara è stato Anwar Muslim, il co-presidente del governo autonomo del can­tone curdo. Poco più a nord, ha informato Muslim, le autorità tur­che hanno stac­cato l’elettricità ad alcuni campi pro­fu­ghi kurdi in territorio turco.
E’ chiaro che se le truppe turche passassero il confine difficilmente il governo e l’esercito siriano potrebbero rimanere a guardare, e naturalmente potrebbero scoppiare scontri armati tra la guerriglia curda e soldati turchi (sostenuti, magari, proprio dalle milizie dell’Is). Nel qual caso tutto il Kurdistan turco si infiammerebbe con esiti tutt'altro che prevedibili per il regime Davutoglu-Erdogan.

Nelle regioni a maggioranza curda della Turchia ma non solo si susseguono le manifestazioni e le proteste, represse duramente dalle forze di sicurezza agli ordini del governo liberal-islamista e anche da gruppi di estrema destra e islamisti. Ieri sera due studenti curdi iscritti all'Università di Inonu, nella provincia turca di Malatya, sono stati aggrediti da un gruppo razzista, e sono rimasti feriti. Sempre ieri una manifestazione ha sfilato nel centro di Istanbul per denunciare, per l’ennesima volta, il sostegno di Ankara ai jihadisti.

Intanto è giallo sulla presunta moglie di Al Baghdadi, “califfo” dello Stato Islamico, che assieme ad uno dei figli del leader dell’organizzazione islamista sarebbe stata arrestata dai soldati libanesi mentre cercava di entrare in Libano dalla Siria utilizzando documenti falsi.
La notizia risalirebbe ad alcuni giorni fa ed è stata però rivelata dal quotidiano di sinistra e nazionalista libanese As-Safir. Ma per ora sull’episodio prevalgono i punti interrogativi anche considerando che il presunto arresto sarebbe avvenuto grazie ad uno stretto coordinamento tra servizi segreti di diversi paesi.

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