di Michele Paris
L’aggressione
militare contro lo Yemen da parte della coalizione araba guidata
dall’Arabia Sadita ha fatto registrare negli ultimi giorni una
drammatica impennata del numero di vittime civili in seguito
all’intensificarsi dei bombardamenti aerei, condotti da oltre tre mesi a
questa parte per piegare i “ribelli” Houthi e le milizie loro alleate.
La giornata di lunedì è stata in particolare la più sanguinosa
dall’inizio del conflitto, secondo la Reuters con quasi 180 morti
civili. Incursioni nella provincia settentrionale di Amran hanno ucciso
63 persone, tra cui una trentina a causa di una bomba caduta su un
mercato.
Un altro mercato di bestiame si è trasformato in una
scena raccapricciante nella città meridionale di al-Foyoush, dove hanno
perso la vita altre 60 persone. Sempre nella provincia di Amran, invece,
circa 20 tra civili e militanti Houthi sono stati uccisi nei pressi di
un check-point a 50 chilometri dalla capitale, Sanaa.
Una
postazione dei “ribelli” sciiti è stata presa di mira anche poco lontano
da Aden, la seconda città yemenita per importanza, e nel raid sono
state massacrate 30 persone, di cui 10 militanti.
Gli scontri tra
gli Houthi e i guerriglieri appartenenti ai clan che a questi ultimi si
oppongono proseguono poi senza sosta. Nella provincia desertica
centrale di Marib, ad esempio, i combattimenti e altre incursioni aeree
saudite sono costati la vita a 20 membri delle forze “ribelli”.
Nonostante
la sostanziale indifferenza dei media e della “comunità internazionale”
per la sorte della popolazione yemenita, la situazione nel più povero
dei paesi arabi appare talmente disastrosa da avere spinto negli ultimi
giorni vari esponenti del regime saudita e membri del governo “in
esilio” a Riyadh del deposto presidente, Abd Rabbu Mansour Hadi, a
riconoscere apertamente l’opportunità di un cessate il fuoco.
La
coalizione guidata dall’Arabia Saudita non intende tuttavia fermare la
propria offensiva senza una sostanziale resa degli Houthi, dopo avere
fallito nel raggiungimento di questo obiettivo con le armi. Gli Houthi,
da parte loro, non sono disposti ad accettare alcuna condizione se non
verrà riconosciuta la loro integrazione nel sistema politico dello
Yemen, teoricamente in rappresentanza della minoranza sciita prevalente
nel nord del paese.
In questo clima, le trattative per un
possibile stop temporaneo ai bombardamenti nel corso del Ramadan erano
crollate precocemente, mentre sarebbero ancora in corso le discussioni
per implementare una tregua umanitaria a partire dal 17 luglio, in
concomitanza con la festività islamica di Eid al-Fitr che segna la fine
del periodo di digiuno. Una precedente interruzione delle ostilità era
avvenuta nel mese di maggio, consentendo l’ingresso in Yemen di aiuti di
vario genere ma senza alleviare significativamente la crisi in atto.
Martedì,
in ogni caso, l’inviato speciale delle Nazioni Unite per lo Yemen,
Ismail Ould Cheikh Ahmed, è giunto a Sanaa per cercare di riportare le
parti in conflitto al tavolo delle trattative e gettare le basi almeno
per un cessate il fuoco. Un portavoce degli Houthi ha però già
annunciato che gli attacchi sauditi di lunedì hanno assestato un colpo
molto pesante agli sforzi diplomatici.
La
popolazione dello Yemen sta pagando a carissimo prezzo la guerra
criminale scatenata dall’Arabia Saudita per cercare di mantenere la
propria influenza sul paese vicino. Le vittime totali di questi mesi di
bombardamenti, secondo i dati ONU, sarebbero più di tremila, anche se il
numero reale è probabilmente molto più alto.
I civili sono
puntualmente presi di mira malgrado l’obiettivo dichiarato di Riyadh e
della coalizione sia quello di “liberare” lo Yemen dalla minaccia degli
Houthi. Varie organizzazioni a difesa dei diritti umani nelle scorse
settimane avevano pubblicato rapporti che documentavano come le bombe
saudite avessero frequentemente colpito siti e abitazioni civili senza
alcun legame con possibili attività militari degli Houthi.
Oltre
ai bombardamenti, lo Yemen continua a patire anche il blocco navale e
aereo quasi totale imposto dall’Arabia Saudita che limita drasticamente
l’ingresso di aiuti e beni di prima necessità come cibo, medicinali e
carburante. Prima dell’inizio della guerra, lo Yemen importava il 90%
dei beni alimentari consumati e l’80% dei farmaci.
Secondo le
Nazioni Unite, a giugno quattro quinti della popolazione yemenita - su
un totale di circa 25 milioni di abitanti - necessitava di una qualche
forma di assistenza umanitaria. Il già fragile sistema sanitario del
paese è inoltre allo sbando, con casi di febbre dengue e malaria in
rapido aumento, mentre l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha messo
in guardia dal pericolo del ritorno della polio, malattia dichiarata
ufficialmente debellata in questo paese nel 2006.
La guerra in
Yemen è stata lanciata dall’Arabia Saudita per fermare l’avanzata dei
“ribelli” Houthi dopo che dall’autunno dello scorso anno avevano
iniziato una marcia inarrestabile nel paese, fino a determinare la
rimozione del governo-fantoccio dell’Occidente e di Riyadh presieduto
dal presidente Hadi. Ad appoggiare le milizie sciite sono anche una
parte delle forze armate yemenite fedeli all’ex presidente, Ali Abdullah
Saleh, costretto alle dimissioni nel 2012 in seguito alle proteste
esplose l’anno prima nel paese e al piano di transizione mediato da USA e
Arabia Saudita.
Per la monarchia saudita, gli Houthi sarebbero sostenuti finanziariamente e militarmente dall’Iran, anche se Teheran
continua a negare di avere stretti rapporti con i “ribelli” sciiti in
Yemen. La guerra contro gli Houthi è ritenuta perciò di importanza
vitale dall’Arabia Saudita, per la quale l’eventuale perdita dello Yemen
a favore dell’Iran rappresenterebbe un rovescio letale per i propri
interessi.
Tale minaccia - reale o percepita - appare a Riyadh
tanto più concreta alla luce dell’inquietudine della stessa minoranza
sciita che vive entro i confini del regno e dell’eventualità che la
Repubblica Islamica torni a giocare un ruolo di spicco nelle vicende
regionali in seguito al probabile accordo sul nucleare nelle fasi finali
di negoziazione.
L’intervento
dell’Arabia Saudita, oltre a provocare la devastazione in Yemen, ha
favorito anche l’espansione di Al-Qaeda nella Penisola Arabica (AQAP),
da tempo propagandata in Occidente come la più pericolosa emanazione
dell’organizzazione fondamentalista creata da Osama bin Laden e contro
la quale fino a pochi mesi fa avevano combattuto strenuamente proprio
gli Houthi.
La guerra in corso in Yemen, infine, è
sostanzialmente appoggiata dagli Stati Uniti. Se a Washington sembrano
sussistere non pochi malumori per l’avventura bellica saudita,
soprattutto a causa delle conseguenze negative sulle relazioni con
l’Iran, l’amministrazione Obama continua a fornire un supporto logistico
e d’intelligence cruciale all’alleato saudita.
I militari USA
hanno così creato un centro di comando congiunto a Riyadh per coordinare
le incursioni aeree, per le quali gli americani forniscono informazioni
sugli obiettivi da colpire, mentre le forniture di armamenti sono state
intensificate in modo da sopperire alla diminuzione delle scorte di
materiale bellico impiegato nelle ripetute stragi tra la popolazione
yemenita.
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