In Siria si combatte e si tratta. I colloqui internazionali sul futuro del paese potrebbero riprendere l’11 aprile prossimo, due giorni dopo la data finora indicata dall’inviato speciale delle Nazioni Unite, Staffan de Mistura. Secondo il portavoce dell’Onu, Amad Fawzi, “si prevede di iniziare l’11” aprile, con l’incontro con l’High Negotiations Committee (HNC), il coordinamento delle opposizioni sponsorizzate dalle petromonarchie e dalla Turchia. I negoziatori del governo, invece, dovrebbero arrivare in Svizzera dopo lo svolgimento delle elezioni convocate per il 13 aprile.
Intanto sul terreno i jihadisti tentano disperatamente di bloccare l’offensiva governativa che negli ultimi mesi, grazie al massiccio sostegno militare russo e di Hezbollah, ha permesso di strappare a Daesh, ad al Nusra e ad altre sigle collegate a quest’ultima consistenti porzioni di territorio.
I jihadisti dello Stato Islamico avrebbero attaccato le truppe di Damasco con armi chimiche – nella fattispecie con ‘gas mostarda’ – vicino alla città di Deir Ezzor, nella Siria orientale al confine con l’Iraq. “I terroristi di Daesh hanno colpito l’aeroporto militare di Deir Ezzor con proiettili di mortaio che contenevano gas mostarda, provocando casi di soffocamento” ha riferito l’agenzia Sana. Il gas mostarda – che provoca difficoltà di respirazione, cecità momentanea e vesciche molto dolorose sulla pelle – è già stato utilizzato dall’Isis sia in Siria sia in Iraq.
In un altro quadrante, nella città di al Eis, conquistata parzialmente venerdì dai jihadisti – Siria settentrionale – i fondamentalisti di al Nusra e di alcuni gruppi alleati hanno abbattuto un caccia dell’aviazione siriana e avrebbero catturato vivo uno dei piloti. Da parte sua l’agenzia ufficiale siriana Sana ha confermato solo l’abbattimento di un velivolo governativo colpito da un missile terra-aria nella provincia di Aleppo.
E’ in questo quadro che continuano i preparativi, militari e diplomatici, per l’offensiva contro Raqqa, la ‘capitale’ del califfato in Siria. L’operazione dovrebbe partire entro un mese afferma una fonte del governo di Damasco che tuttavia segnala che a determinarne ‘tempi e modalità’ saranno l’ok di Washington a Mosca per una eventuale azione congiunta sulla quale il governo russo preme con insistenza. Secondo alcune fonti della milizia sciita libanese Hezbollah, da anni impegnata con migliaia di combattenti nella guerra siriana al fianco dei lealisti, contattate dall’agenzia Askanews, l’offensiva contro Raqqa potrebbe scattare anche prima del previsto se e quando vi saranno le condizioni favorevoli.
Varie sono le variabili, a partire dal disorientamento dei jihadisti per la fuga di un numero sempre maggiore di miliziani e per l’uccisione nei raid russi o statunitensi di alcuni loro comandanti. Secondo gli esponenti di Hezbollah il morale degli uomini del Califfato sarebbe a terra dopo la sconfitta di Palmira, che dovrebbe essere il centro di comando delle operazioni militari contro Raqqa, dalla quale la città recentemente liberata dista circa 200 km. Ma le violazioni della tregua da parte di alcuni gruppi ribelli, sempre più vicini ad al Nusra (la branca siriana di al Qaeda) nelle ultime 72 ore potrebbero costringere l’esercito lealista a ritardare la spallata contro il Califfato, per concentrarsi di nuovo nelle aree di Aleppo e Latakia dove i gruppi jihadisti stanno riconquistando terreno.
Per questo le truppe lealiste stanno concentrando gli sforzi in queste ore per riprendere Deir Ezzor, controllata ormai dal 2014 dai jihadisti. Riprendere la città, affermano le fonti libanesi sentite da Askanews, significherebbe “chiudere la capitale del califfato Raqqa in una singolare morsa: le truppe governative sostenute dai russi a Sud-Est e a Sud-Ovest, le forze curde appoggiate da Washington e da Mosca a Nord e Nord-ovest”.
Per tentare di acquisire maggiore protagonismo in Siria e pesare di più al tavolo delle trattative di Ginevra, intanto, il governo degli Stati Uniti prevede di aumentare il numero delle forze speciali impegnate sul terreno, che teoricamente ammonterebbero attualmente a sole 50 unità mentre nel vicino Iraq operano quasi 4000 uomini delle forze armate statunitensi. Secondo la versione ufficiale le forze speciali Usa operano come consiglieri e come addestratori, ma in numerosi casi gruppi di incursori di Washington sono stati visti in prima linea in diverse zone del nord del paese, ad esempio a Kobane.
Il problema di Obama è che l’opinione pubblica del suo paese non gradisce che l’esercito a stelle e strisce venga impiegato in prima linea sul terreno, e l’inquilino della Casa Bianca ha più volte promesso durante il suo mandato che mai gli stivali dei soldati americani avrebbero calpestata la sabbia del Medio Oriente. Promessa che Obama si è dovuto rimangiare inviando migliaia di soldati in Iraq. E ora potrebbe essere costretto ad aumentare in maniera consistente la presenza militare in Siria per evitare che gli Stati Uniti vengano completamente estromessi da un paese nel quale, su fronti opposti, aumenta invece l’influenza di Russia e Iran e delle monarchie feudali del blocco sunnita.
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