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06/04/2016

Il lato oscuro del referendum

… anche questa volta stai scegliendo per ripulirti la coscienza, come un Ponzio Pilato qualunque. Not in My Back Yard. Perché se fossi così preoccupato dell’ambiente … ti impegneresti perché il tuo paese avesse un partito ambientalista degno di questo nome. Perché nella tua città ci fossero servizi pubblici più efficienti. E non frantumeresti i cabbasisi perché il sindaco ha ampliato le zone a traffico limitato. … Perché di mettere una croce siamo capaci tutti.

Di Dario Faccini

Sono parole scritte da Marco Cattaneo, direttore del mensile Le Scienze, rivolte a chi intende votare SI al referendum del 17 Aprile contro il prolungamento indefinito delle concessioni petrolifere entro le 12 miglia dalla costa.

Sono parole dure, provocatorie, che hanno scatenato un vasto dibattito in rete.

E voglio dire subito come la penso.

Bravo Marco, ma devi avere il coraggio di dirla tutta. Perché così come hai scritto, sembra che la questione vera sia solo quella di essere un po’ più coerenti, più amici dell’ambiente, un poco più sobri, per evitare di importare poi dal Mozambico quel poco di produzione di gas che potremmo perdere in Italia con un SI al referendum.

E invece sappiamo benissimo che non è questa la vera posta in gioco. A te che dirigi la principale rivista di divulgazione scientifica è chiarissima la scelta che abbiamo di fronte. Se non la dici fuori dai denti è solo per un motivo: perché è troppo rivoluzionaria e la maggior parte dei lettori, semplicemente, non potrebbero accettarla (e alcuni neppure capirla).

GREENWASHING MENTALE

Questo referendum è un piccolo passo sul lungo cammino che dovrà svincolarci dai combustibili fossili, su questo punto la pensiamo allo stesso modo. E sono anche d’accordo con te che le motivazioni più diffuse per votare il SI, seppur legittime, forse mancano il vero problema: si evidenzia l’inquinamento dei fondali, il rischio di sversamenti in mare (c’è in ballo anche un 9% di produzione petrolifera),  gli affari per i petrolieri (e da qualche giorno anche della politica), le alternative possibili come le rinnovabili che hanno raggiunto il 40% della produzione elettrica, la sfida del Clima che non può essere combattuta solo a parole.

Ecco partiamo proprio dal Clima. Le fonti fossili sono in declino? In Italia si, complice anche la bassa Crescita (si, ci vuole la “C” maiuscola), ma nel resto del mondo non è affatto così.

Figura 1: consumo storico di energia primaria ripartito per fonte. La linea bianca rappresenta la quota di energia primaria che viene utilizzata in ogni anno per produrre energia elettrica, quindi rappresenta la massima quota di penetrazione che in un dato anno potrebbero avere le rinnovabili elettriche. Fonte: rielaborazione di BP statistical review 2015.
Nel resto del mondo, per i combustibili fossili, si vede al massimo un rallentamento dei consumi nel 2014, quasi certamente dovuto a cause economiche e metereologiche, non certo per la crescita delle nuove rinnovabili (in calo da un +16,5% a un +12%), che ancora forniscono solo il 2,45% dei consumi totali.

Se le fonti fossili sono ancora in crescita, allora le emissioni climalteranti sono ancora in crescita.

Figura 2: emissioni storiche globali di CO2 equivalente. Fonte: rielaborazione di BP statistical review 2015.
Si potrebbe obiettare che però ora la situazione potrebbe evolvere velocemente a favore delle rinnovabili e dell’efficienza energetica, spostando grandi finanziamenti nel settore green. In fin dei conti è questo il grande tema del cambiamento climatico: dobbiamo cambiare strada.

Già ma chi? Il 20% della popolazione mondiale agiata (si, ci siamo anche noi)? Forse. Di sicuro per l’80% che aspira a raggiungere quel 20% non è possibile.

Se quell’80% seguisse quei consigli che tu, Marco, hai dato nel tuo articolo (tenere basso il riscaldamento, comprare l’auto ibrida, tenere un po’ più spento lo smartphone) una volta che avesse raggiunto il nostro livello di benessere materiale, quei grafici che sono qui sopra schizzerebbero verso l’alto. E quell’80% non solo ha tutto il diritto di vivere come noi, ma si sta anche impegnando con tutte le sue forze per farlo, incoraggiato dal modello di Sviluppo che noi per primi gli abbiamo creato.

Si chiama Crescita Materiale Globale. Che vuol dire avere più oggetti, spostarsi di più, mangiare meglio e più variato, avere case più grandi e un’infinità di servizi mangia-risorse tra cui rientrano anche l’istruzione, la sanità e la salvaguardia dell’ambiente (che è roba da ricchi, ricordiamocelo). 

Tutte cose che consumano energia, risorse, suolo, e producono perdita di biodiversità inquinamento e gas serra, non solo nella loro normale attività o funzionamento, ma anche prima, quando vengono prodotti e costruiti. Un’auto nuova, ancora prima di fare un pieno, ha già consumato per la sua produzione l’equivalente in petrolio che consumerà in varie decine di migliaia di km (attorno ai 20000kWh di energia grigia per le auto tradizionali) e le auto elettriche o ibride non fanno eccezione. Per un computer ancora imballato è stato già usato circa un barile equivalente di petrolio.

Non c’è crescita delle rinnovabili e dell’efficienza energetica (la cosiddetta decarbonizzazione della società) che possa portare i poveri a livello dei ricchi mantenendo l’aumento della temperatura del clima sotto ai 1,5°C decisi alla COP 21 di Parigi.

IL NEMICO DIETRO LE TRIVELLE

Questa, come sappiamo entrambi, non è solo un’opinione di qualche complottista o scienziato un po’ estremista. Sono conclusioni scientifiche che vengono dagli anni ’70, quando ancora non si sapeva che i gas serra fossero una forma di inquinamento, ma si era già chiamato il problema con il suo vero nome: I Limiti della Crescita.

Ed ora, che il Clima è entrato nell’agenda internazionale, gli studi che si basano su moderni modelli scientifici di previsione che considerano energia, clima ed economia, giungono alle stesse identiche conclusioni. Il modello di Sviluppo basato sulla Crescita non può più essere seguito perché se continuassimo su questa strada:
  • la necessaria riduzione nel consumo di combustibili fossili sarebbe solo parzialmente compensata da rinnovabili ed efficienza, producendo nei prossimi decenni carenze di energia e black out, incompatibili con la Crescita;
  • se si provasse a mantenere la Crescita coprendo la quota di energia mancante ancora con le fonti fossili, l’esaurimento di quelle più pulite (Peak Oil and Gas) porterà ad utilizzarne di più sporche, come il Carbone, facendo allora comunque scoppiare la bomba climatica;
L’unica via d’uscita viene indicata dagli stessi ricercatori:
…i paesi più industrializzati dovrebbero ridurre, in media, il loro uso pro capite di energia almeno di quattro volte e diminuire il loro PIL procapite all’attuale livello medio globale
Tradotto per noi italiani: l’indicatore che misura (molto male) la “ricchezza” di ciascuno di noi, dovrebbe più che dimezzarsi.

In altro parole, in modo controllato dovremmo decrescere volontariamente ora per evitare di decrescere rapidamente nei prossimi decenni per le carenze di energia o per la bomba climatica.

Quindi, Marco, il discorso che tu fai sul referendum lo condivido in pieno:
…riguarda la necessità di assumersi la responsabilità di ciò che facciamo. Perché godere dei benefici senza assumersi i rischi è troppo comodo.
Siamo noi stessi il vero problema, il vero nemico, dietro le “trivelle”. Ma i rischi maggiori non sono quelli dell’inquinamento che potremmo spostare dall’Italia al Mozambico come hai scritto. I rischi di una decrescita incontrollata sono la povertà, l’insicurezza alimentare, le guerre, la fine dei servizi essenziali come sanità ed istruzione. Grandi rischi per noi e persino moltiplicati per i paesi più poveri come il Mozambico. Votare SI al referendum per far progressivamente chiudere meno di 1/6 della produzione nazionale di idrocarburi non ci porta avanti di una virgola nella soluzione di questi problemi se non si diffonde anche la consapevolezza della portata delle sfide (anzi no usiamo la parola giusta), delle Crisi che abbiamo di fronte.

Per questo dobbiamo dirlo con parole chiare.

Le rinnovabili e l’efficienza da sole non bastano. Persino cambiare le singoli abitudini di consumo di ciascuno di noi non sarà sufficiente. Ci viene chiesto di ristrutturare le società ricche, come quella italiana, decidendo quali beni e servizi siano meritevoli di esistere, quali debbano essere condivisi e quali debbano essere abbandonati. 

Non è una cosa che si possa fare in 1 anno o in 10. E da qualche parte bisogna pur partire, per cui va benissimo tutto quanto hai scritto. Ma il vero fine è questo e dobbiamo iniziare a dirlo, perché l’abbiamo nascosto per troppo tempo. Anche se si aprono enormi problemi sociali come l’occupazione, la perdita di alcune tutele, la fine di alcune libertà di consumo, non possiamo tacere, perché l’alternativa è un baratro in cui potrebbe esserci tolto tutto.

Quindi, quando andremo a votare al referendum del 17 aprile e usciremo dal seggio, guardiamoci attorno. Guardiamo le case, le auto parcheggiate, i vestiti che indossiamo e magari giriamoci per guardare anche la scuola da cui siamo appena usciti. E chiediamoci, quanto di tutto questo ci serve veramente per essere felici e realizzati, o a quanto potremmo invece ragionevolmente rinunciare.

Perché a mettere una croce siamo capaci tutti, ma la scelta non si fermerà lì.

La scelta ci sta venendo incontro e ci troverà.

Anche se non andremo a votare.

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