Ieri, alla vigilia del cruciale voto del parlamento di Brasilia, è stata la stessa Dilma Rousseff a passare all’attacco con un duro messaggio rivolto contro i fautori di quella che ha definito una “avventura golpista” e rivolgendo un appello alla mobilitazione dei suoi sostenitori mentre i manifestanti di destra continuano a invocare l’intervento dell’esercito contro i ‘rossi corrotti’.
“L’accusa nei miei confronti all’esame del Congresso è la più grande frode giuridica e politica della storia del Paese” ha tuonato il capo dello Stato in un video diffuso all’alba dal PT, al potere da 13 anni in coalizione con altre forze politiche più moderate o apertamente liberiste. Nel video – che la tv pubblica alla fine non ha trasmesso dopo le proteste delle opposizioni – la presidente ha chiesto a brasiliani di “seguire con attenzione gli avvenimenti”, ma “soprattutto nella calma e in pace”. “I leader golpisti hanno detto che se riescono a usurpare il potere sarà necessario imporre sacrifici alla popolazione (…). Sono disposti a violare la democrazia e a sfasciare la Costituzione, diffondendo l’intolleranza, l’odio e la violenza”, ha accusato il capo dello Stato secondo la quale le destre mirano a revocare i programmi sociali implementatati negli ultimi anni dal governo e che, anche se in maniera insufficiente e contraddittoria, hanno sottratto milioni di brasiliani alla povertà estrema.
In un editoriale pubblicato ieri sul quotidiano Folha de S. Paulo, inoltre, Rousseff ha accusato direttamente coloro che stanno gestendo la procedura di impeachment di voler prendere il potere per sfuggire alle accuse di corruzione che pesano su di essi, sviando così le responsabilità dai veri responsabili della grave crisi che scuote il paese. “Vogliono condannare un’innocente e salvare dei corrotti” ha scritto il capo dello stato. “Qual è la loro legittimità?” si chiede Rousseff, che negli ultimi giorni ha accusato esplicitamente il suo vice Michel Temer e il presidente della Camera dei deputati, Eduardo Cunha, di essere “il capo e il sottocapo” della congiura ai suoi danni.
Il nome di Temer, che sostituirebbe la presidente se fosse destituita ed è capo dei centristi del PMDB (Partito del Movimento Democratico del Brasile) che hanno abbandonato la maggioranza di governo a marzo, compare nelle carte dell’inchiesta Petrobras in relazione a vendite illegali di etanolo. Cunha, rappresentante della destra del PMDB e membro di una chiesa evangelica neo-pentecostale vicina agli interessi statunitensi e molto attiva nelle campagne contro le sinistre, è a sua volta accusato di “corruzione e riciclaggio di denaro sporco” nell’inchiesta Petrobras, l’azienda energetica statale al centro di numerose inchieste.
Dilma Rousseff, ex guerrigliera durante la dittatura militare di estrema destra (1964-85) e dirigente storica del Partido dos Trabalhadores, è accusata invece dall’opposizione di destra di aver truccato i conti pubblici del 2014, anno della sua rielezione, e dell’inizio del 2015, ma non di corruzione. La stessa accusa – aver truccato i conti – del resto, pende sul leader del PMDB e vicepresidente Michel Temer, a sua volta passibile di impeachment.
Inoltre, va sottolineato che sui 65 membri che formano la commissione parlamentare che ha dato parere favorevole all’impeachment, ben 36 – quasi tutti appartenenti alle opposizioni conservatrici – sono incriminati o già condannati per reati di corruzione e simili ed in totale sono circa 300 i deputati e una cinquantina i senatori implicati in inchieste di vario tipo. Tra questi anche il presidente del senato, Renan Calheiros (anche lui del PMDB), indagato per le tangenti di Petrobras nella cosiddetta tangentopoli brasiliana ribattezzata dai media “Lava Jato”.
Ieri Dilma Rousseff ha deciso di annullare la sua partecipazione alla manifestazione organizzata dai suoi sostenitori accampati presso lo stadio di Brasilia Mané Garrincha in uno spazio che è stato ribattezzato “Accampamento Nazionale per la Difesa della Democrazia”; al suo posto ad arringare i manifestanti di sinistra mobilitati dal “Frente Brasil Popular” è andato il suo predecessore e leader storico del Pt Luiz Inacio Lula da Silva, a sua volta indagato per appropriazione indebita.
Mancano poche ore al verdetto che potrebbe ribaltare i rapporti di forza politici nel paese più importante – dal punto di vista economico e geopolitico – dell’America Latina e che potrebbe innescare un conflitto anche nelle strade del Brasile, dove finora le manifestazioni degli opposti schieramenti si sono svolte senza particolari incidenti. Per destituire la presidente occorre che a votare a favore siano almeno i due terzi dei membri della Camera bassa, cioè 342 deputati su 533, e poi la decisione dovrebbe comunque essere confermata dal Senato, in questo caso a maggioranza semplice.
Fino a qualche giorno fa sembrava che le opposizioni non avessero i numeri sufficienti ma poi, dopo che il governo aveva già perso il sostegno del PMDB alcune settimane fa, anche il Partito Progressista, una delle principali formazioni della maggioranza di governo e forte di 47 parlamentari ha deciso di abbandonare la coalizione e di sostenere l’impeachment.
Non solo il Partito dei Lavoratori, ma anche i partiti di sinistra ed estrema sinistra – che pure criticano l’esecutivo e rimproverano al PT di aver rinunciato a varare le riforme strutturali e sociali di cui il paese ha bisogno e di essersi legato eccessivamente agli interessi delle classi medie e del grande capitale nazionale che ora sembrano voltargli le spalle – accusano le destre e gli ambienti oligarchici di strumentalizzare le inchieste per corruzione allo scopo di fomentare un colpo di Stato istituzionale e riconquistare così il potere. A Dilma Rousseff è arrivato il sostegno del segretario generale della Organizzazione degli Stati americani, Luis Almagro, secondo il quale la presidente “Non è accusata, incriminata da nessun tribunale del Paese, mentre molti di coloro che la mettono sotto accusa al Congresso sono a loro volta sotto indagine”. I vari governi del Sud America, e in particolare quelli dell’Alba, sono assai preoccupati che un cambio di governo coatto a Brasilia colpisca al cuore, dopo la vittoria delle destre in Argentina, i vari progetti di integrazione progressista del continente, riportando in auge i settori favorevoli ad un ritorno nell’orbita degli interessi economici, politici e militari statunitensi.
Negli ultimi giorni, pur ribadendo il sostegno al governo, alcune importanti organizzazioni sindacali e popolari – tra i quali il sindacato CUT e il Movimento dei lavoratori senza terra – hanno chiesto al PT e a Dilma Rousseff di abbandonare la via del compromesso con i centristi e con la potente lobby dell’agrobusiness e di imboccare finalmente la strada delle riforme sociali, a partire da quella agraria, mai varata dai laburisti nonostante le promesse.
Molto interessante la lettura che Joao Pedro Stedile, leader storico dell’MST (Movimento Sem Terra) dà della situazione brasiliana in una intervista pubblicata alcuni giorni fa da Geraldina Colotti sul quotidiano Il Manifesto:
“Se il governo e le forze popolari perdono, assume il comando la destra più neoliberista che c’è, formata dal Pmsdb, dal Psdb e dal peggio che abbiamo in politica. Temer e Cunha taglierebbero i diritti, privatizzerebbero il petrolio del pre-sal, le idroelettriche. Sarebbe il governo dei più corrotti. E questo può portare a una nuova ondata di proteste, perché la maggioranza delle persone che ha manifestato, compreso chi è sceso in piazza contro Dilma, è contro la corruzione che questi signori incarnano. Secondo un’indagine, i politici hanno una credibilità dello 0,01%. Anche la destra non è unita ed è toccata dalla crisi. In un paese di forti disuguaglianze, ereditate dal periodo coloniale e dallo schiavismo, l’1% della borghesia più ricca controlla il 58% dell’economia. C’è un potere economico, esercitato dalle imprese, dagli imprenditori più reazionari.Fonte
E abbiamo un 8% di piccola borghesia incarognita nei confronti dei poveri dai quali vuole sempre distinguersi. Siamo l’unico paese al mondo che ha ancora un ascensore diverso per i domestici e i cani. Un odio latente che covava nelle classi medie, è stato sdoganato dai grandi media. Un odio che è anche razzista, perché la maggioranza dei poveri, da noi, è composta da negri, afrodiscendenti, mulatti o indigena. Si comincia con l’umiliare nelle case la domestica negra, quella che, con il grembiule, spingeva il passeggino del figlio della coppia borghese alla manifestazione del 13 marzo contro il governo. Al mio indirizzo, gridano: «Comunista, invasore di terre, vattene a Cuba…»
Abbiamo poi un parlamento molto conservatore e staccato dalla sua base elettorale. E un nucleo ideologico più compatto, che sta orientando le altre forze della destra: quello formato dal Pubblico ministero, dal giudice Sergio Moro, associato alla Globo. I media sono controllati da questo nocciolo duro e vengono usati come principale arma contro i lavoratori e per attizzare il golpe istituzionale. (…). La conciliazione è finita. Dilma dovrà tornare al programma per cui è stata eletta, più attento ai settori popolari. In ogni modo, la crisi del modello continuerà, ma avremo tre anni per discutere di un altro progetto di paese. In ogni caso, maggio sarà un mese determinante”.
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