La diplomazia internazionale registra un nuovo fiasco in Yemen: ieri il
governo yemenita ha annunciato di sospendere la sua partecipazione
“diretta” ai negoziati con gli houthi iniziati lo scorso aprile in
Kuwait. Tuttavia, continuerà a partecipare ad incontri “indiretti” con l’inviato speciale dell’Onu nello Yemen, Ismail Ould Shaikh Ahmed.
Il motivo di questo dietrofront? Le “continue violazioni” del cessate
il fuoco compiute dagli houthi. “Esortiamo le Nazioni Unite ad agire
seriamente per porre fine a queste violenze che minano gli incontri di
pace” ha affermato un ufficiale del governo che ha preferito restare
anonimo.
Dalle parole si è passati presto ai fatti: la sessione
negoziale prevista per ieri pomeriggio è saltata e da ora in avanti, ha
spiegato l’ufficiale, “i contatti avverranno solo con il mediatore delle
Nazioni Unite e gli altri partner del processo di pace”.
Tradotto praticamente questo vorrà dire che Ahmed ritornerà a fare spola
tra le due delegazioni che riprenderanno quindi a non parlarsi “faccia a
faccia” (cosa che, per ironia della sorte, avevano iniziato a fare
proprio sabato).
La notizia dell’abbandono (ma anche no) dei negoziati da
parte dei delegati del presidente yemenita Hadi (sostenuto dal blocco
sunnita a guida saudita) giunge a meno di 24 ore dai commenti positivi
sull’andamento delle trattative espressi dall’inviato speciale dell’Onu
nel Paese. Sabato, un (troppo) ottimista Ahmed aveva parlato di
incontri “produttivi” perché avevano toccato “gli argomenti chiave” per
porre fine al conflitto che ha causato in un anno quasi 7.000 morti e
più di 2.5 milioni di sfollati.
A causare ufficialmente il ritiro del governo yemenita dal
processo di pace è stato l’assalto ribelle di sabato sera alla base di
al-Amaliqa nella provincia settentrionale di Amran. Un attacco
che ha fatto infuriare il ministro degli esteri yemenita nonché leader
della delegazione dei lealisti in Kuwait, Abdul Malek al-Mikhalifi. Di
fronte a questo “crimine”, ha detto al-Mikhalifi, il governo reagirà
prendendo una “posizione appropriata”. Non ha spiegato, però, in che
cosa essa consisterà e quando avverrà.
Sia il blocco sunnita che sostiene Hadi, sia gli sciiti
houthi appoggiati dall’Iran si scambiano da tempo accuse su chi sta
violando il cessate il fuoco in vigore dallo scorso 11 aprile.
“Abbiamo registrato 3.694 infrazioni della tregua da parte dei ribelli e
dei loro alleati [i sostenitori dell’ex presidente Saleh, ndr]” hanno
ribadito ieri i lealisti. Diverso è il parere degli houthi che accusano
invece le forze governative e la coalizione saudita di aver compiuto più
di 4.000 violazioni (principalmente raid aerei). Di fronte a questo
clima di aperta ostilità, la liberazione sabato di 40 prigionieri houthi
detenuti in Arabia Saudita appare un gesto di pacificazione
insignificante.
E mentre le due parti (con i loro rispettivi sponsor)
litigano, le forze jihadiste ne approfittano: un nuovo attacco suicida
ha colpito ieri Aden, la “capitale temporanea”
dei lealisti. Nell’attentato sono state uccise cinque guardie del corpo
del capo della sicurezza del Paese, Shallal Shayei. Shayei viaggiava
con il governatore di Aden, Aidroos al-Zubaidi, quando l’attentatore ha
attaccato il convoglio. Entrambi sono rimasti illesi. Non è la prima
volta che i gruppi radicali islamici prendono di mira il capo della
sicurezza: giovedì scorso un attentatore travestito da donna aveva
attaccato la sua casa con un'autobomba.
Fonte
Nessun commento:
Posta un commento