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02/05/2016

Yemen - Il governo sospende i negoziati diretti

La diplomazia internazionale registra un nuovo fiasco in Yemen: ieri il governo yemenita ha annunciato di sospendere la sua partecipazione “diretta” ai negoziati con gli houthi iniziati lo scorso aprile in Kuwait. Tuttavia, continuerà a partecipare ad incontri “indiretti” con l’inviato speciale dell’Onu nello Yemen, Ismail Ould Shaikh Ahmed. Il motivo di questo dietrofront? Le “continue violazioni” del cessate il fuoco compiute dagli houthi. “Esortiamo le Nazioni Unite ad agire seriamente per porre fine a queste violenze che minano gli incontri di pace” ha affermato un ufficiale del governo che ha preferito restare anonimo.

Dalle parole si è passati presto ai fatti: la sessione negoziale prevista per ieri pomeriggio è saltata e da ora in avanti, ha spiegato l’ufficiale, “i contatti avverranno solo con il mediatore delle Nazioni Unite e gli altri partner del processo di pace”. Tradotto praticamente questo vorrà dire che Ahmed ritornerà a fare spola tra le due delegazioni che riprenderanno quindi a non parlarsi “faccia a faccia” (cosa che, per ironia della sorte, avevano iniziato a fare proprio sabato).

La notizia dell’abbandono (ma anche no) dei negoziati da parte dei delegati del presidente yemenita Hadi (sostenuto dal blocco sunnita a guida saudita) giunge a meno di 24 ore dai commenti positivi sull’andamento delle trattative espressi dall’inviato speciale dell’Onu nel Paese. Sabato, un (troppo) ottimista Ahmed aveva parlato di incontri “produttivi” perché avevano toccato “gli argomenti chiave” per porre fine al conflitto che ha causato in un anno quasi 7.000 morti e più di 2.5 milioni di sfollati.

A causare ufficialmente il ritiro del governo yemenita dal processo di pace è stato l’assalto ribelle di sabato sera alla base di al-Amaliqa nella provincia settentrionale di Amran. Un attacco che ha fatto infuriare il ministro degli esteri yemenita nonché leader della delegazione dei lealisti in Kuwait, Abdul Malek al-Mikhalifi. Di fronte a questo “crimine”, ha detto al-Mikhalifi, il governo reagirà prendendo una “posizione appropriata”. Non ha spiegato, però, in che cosa essa consisterà e quando avverrà.

Sia il blocco sunnita che sostiene Hadi, sia gli sciiti houthi appoggiati dall’Iran si scambiano da tempo accuse su chi sta violando il cessate il fuoco in vigore dallo scorso 11 aprile. “Abbiamo registrato 3.694 infrazioni della tregua da parte dei ribelli e dei loro alleati [i sostenitori dell’ex presidente Saleh, ndr]” hanno ribadito ieri i lealisti. Diverso è il parere degli houthi che accusano invece le forze governative e la coalizione saudita di aver compiuto più di 4.000 violazioni (principalmente raid aerei). Di fronte a questo clima di aperta ostilità, la liberazione sabato di 40 prigionieri houthi detenuti in Arabia Saudita appare un gesto di pacificazione insignificante.

E mentre le due parti (con i loro rispettivi sponsor) litigano, le forze jihadiste ne approfittano: un nuovo attacco suicida ha colpito ieri Aden, la “capitale temporanea” dei lealisti. Nell’attentato sono state uccise cinque guardie del corpo del capo della sicurezza del Paese, Shallal Shayei. Shayei viaggiava con il governatore di Aden, Aidroos al-Zubaidi, quando l’attentatore ha attaccato il convoglio. Entrambi sono rimasti illesi. Non è la prima volta che i gruppi radicali islamici prendono di mira il capo della sicurezza: giovedì scorso un attentatore travestito da donna aveva attaccato la sua casa con un'autobomba.

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