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05/09/2016

Siria, ondata di attacchi jihadisti. Nuova avanzata turca

Contrariamente a quanto annunciato nei giorni scorsi, Stati Uniti e Russia non sono riusciti a raggiungere un accordo sul cessate il fuoco in Siria. Secondo un alto esponente del Dipartimento di Stato Usa le differenze tra Washington e Mosca permangono. Ovviamente a sentire Washington la colpa sarebbe dei passi indietro compiuti dal governo russo, e viceversa. Fatto sta che i colloqui tra il segretario di Stato John Kerry e il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov, durati un’ora e mezza a margine del summit G20 di Hangzhou, sono terminati senza alcun accordo. In ballo c’era anche lo spinoso tema di una eventuale collaborazione militare tra i due paesi contro lo Stato Islamico che però Mosca chiede venga allargata anche al contrasto di altre fazioni jihadiste e salafite non del tutto invise alla Casa Bianca.

Intanto diverse città della Siria sono state investite questa mattina da un’ondata di attentati che hanno fatto strage di civili. Solo nella città costiera di Tartus – controllata dai lealisti e sede di importanti installazioni militari russe nel Mediterraneo – i morti provocati da un doppio attentato sarebbero già 30 e i feriti 45; una bomba è esplosa su un ponte mentre un kamikaze si è fatto saltare tra la folla mentre erano in corso le operazioni di soccorso.

Un altro attacco ha colpito un checkpoint militare nel quartiere di Al-Zahra, abitato in prevalenza da alawiti nella città di Homs, anch’essa sotto il controllo governativo. Ad Hassaka, città della Siria nord-orientale controllata dalle forze curde e in parte da quelle lealiste, una motocicletta-bomba è esplosa uccidendo alcune persone ad un posto di controllo delle Ypg. Infine, un'esplosione avvenuta su una strada ad ovest di Damasco avrebbe causato alcune vittime.

A pochi minuti dalle esplosioni quasi contemporanee gli attacchi sono stati rivendicati dallo Stato Islamico che tenta di rimediare alle continue sconfitte militari aumentando il terrore sparso nelle retrovie del nemico.

Negli ultimi giorni le forze lealiste siriane hanno occupato il poligono di Aleppo e avanzano a sud della città con l’obiettivo di accerchiare e liberare i quartieri controllati dalle fazioni islamiste. L'esercito siriano "appoggiato dalle forze alleate", cioè dall’aviazione russa, dagli sciiti libanesi di Hezbollah e da alcune milizie popolari, controlla "completamente il poligono e ha allargato il suo controllo nella zona dell'accademia militare" ad Aleppo. Le agenzie di stampa segnalano che sono in corso violenti bombardamenti aerei nei quartieri dove si trovano i ribelli e tre accademie militari.

Da nord intanto avanzano le truppe corazzate turche e diversi battaglioni di miliziani dell’Esercito Siriano Libero che nelle ultime ore, stando al cosiddetto Osservatorio Siriano per i Diritti Umani, avrebbero espulso i jihadisti dello Stato Islamico dalle loro ultime posizioni sul confine turco-siriano. "L'Is ha perso tutti i contatti con il mondo esterno dopo aver perso gli ultimi villaggi di frontiera e la località di al-Rai", ha riferito l'Osservatorio. Il problema è che le forze che stanno ‘liberando’ le località prima occupate da Daesh sono animate da un fondamentalismo religioso altrettanto estremo e sono controllate dal regime turco, che a lungo ha sostenuto i jihadisti dello Stato Islamico contro il regime siriano e i curdi e che tuttora sembra interessato più a respingere le Ypg curde ad est dell’Eufrate che a eliminare le milizie del Califfato.

Non è affatto detto quindi che l’Isis, espulso da un confine a lungo reso permeabile dalla complicità del regime turco, abbia ora perso definitivamente l’utilizzo della cosiddetta ‘autostrada della jihad’, cioè della via attraverso la quale arrivano i rifornimenti di armi e i rinforzi, e che ha permesso al Califfato di vendere il petrolio e le opere d’arte sottratti nei territori occupati.

Infischiandosene delle intimazioni del governo statunitense e di quelli dell'Unione Europea e rischiando di rompere anche con i nuovi “alleati” – Russia e Iran – il regime turco ha deciso di rafforzare l’invasione del nord della Siria. Sabato una ventina di carri armati e altri mezzi corazzati, scortati da alcune centinaia di militari di Ankara e di “ribelli” siriani, hanno varcato il confine per occupare la località di al-Rai, continuando ad avanzare poi verso al-Bab, città di transito verso Aleppo, che il regime turco vuole occupare prima delle truppe lealiste siriane e scalzando le milizie curde. Ahmed Othman, comandante dei membri della formazione ‘Sultan Murad’, diretta da Ankara, ha dichiarato che il suo gruppo sta "lavorando su due fronti ad al-Rai, sud e est, per avanzare verso il villaggio di Jarabulus recentemente liberato dall'Isis (…) Vogliamo ripulire i confini e l'area tra al-Rai e Jarablus dall'Is e poi avanzare da sud verso al-Bab (l'ultimo bastione dell'Isis ad Aleppo) e Manbij (controllata dalle forze curde)".

Secondo alcuni media in soccorso dell’avanzata turca nel nord della Siria gli Stati Uniti avrebbero messo a disposizione anche il loro sistema missilistico Himars, le cui batterie piazzate in prossimità del confine avrebbero partecipato per la prima volta all’operazione ‘Scudo dell’Eufrate’. La Casa Bianca continua a mantenere un atteggiamento assai ambiguo nei confronti del regime di Ankara. Da una parte si invita Erdogan alla moderazione per paura che la sua offensiva sbaragli i curdi delle Ypg, che costituiscono tuttora le forze di terra della coalizione a guida obamiana e che hanno permesso la creazione di una base militare, in Rojava, a disposizione delle forze speciali statunitensi ed europee da mesi presenti sul suolo siriano. Dall’altra però alcuni apparati militari e di intelligence statunitensi sostengono attivamente le operazioni militari turche e riforniscono le milizie fondamentaliste riunite sotto il cappello dell’Esercito Siriano Libero nel tentativo di non lasciarle del tutto sotto il controllo di Ankara. In cambio il regime erdoganiano starebbe ‘sigillando’ il confine tra Siria e Turchia, sloggiando i jihadisti di Daesh a lungo tollerati e coccolati. Ma le conseguenze reali delle continue capriole di Erdogan in Medio Oriente sono tutte da verificare e gli Stati Uniti, tanto per cambiare, potrebbero continuare a darsi la zappa sui piedi aumentando oltretutto il caos e la destabilizzazione in un’area del globo già pesantemente squassata...

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