di Michele Giorgio – il Manifesto
Legittimate dal presidente
Hassan Rohani, che domenica sera aveva difeso il diritto della sua
gente a manifestare pacificamente, le proteste popolari contro il
carovita, la disoccupazione e le politiche economiche del governo
cominciate giovedì scorso a Mashhad sono continuate anche ieri.
Proteste che spesso si trasformano in scontri con la polizia. Almeno 12 persone sarebbero state uccise sino ad ora.
Le ultime due a Dorud riferiva ieri la tv di Stato che ha parlato anche
di sei morti a Toyserkan. Altri quattro morti si sono registrati a
Izeh. Video mandati in onda dai media locali o postati sui social
mostrano gruppi di manifestanti che attaccano e bruciano edifici
pubblici, centri religiosi, banche. Nella cittadina nord occidentale di
Takestan, i dimostranti hanno dato fuoco a una scuola religiosa.
Fonti non ufficiali parlano di circa 400 persone arrestate,
la metà delle quali sabato notte a Teheran. Ieri sera si segnalavano
raduni di nuovo a Tehran e manifestazioni a Birjand, Kermanshah e
Shadegan. La protesta è più forte in provincia dove l’economia stenta a
generare posti di lavoro e dove pochi credono che si vedranno i benefici
della fine – sino ad oggi solo parziale – del sistema di sanzioni
internazionali che ha duramente colpito l’Iran fino alla firma
dell’accordo con l’Occidente, voluto con forza da Rohani, sul programma
atomico iraniano.
La situazione resta fluida. Promosse dai
conservatori le proteste sono sfuggite di mano a chi pensava di usarle
contro il presidente moderato Rohani. Ora, spiega l’analista Mohammed
Ali Shabani sul portale al Monitor, le manifestazioni offrono
l’opportunità a gruppi e organizzazioni diverse tra di loro di portare
in strada una varietà di temi, dalle libertà individuali al ruolo della
religione in politica. E, aggiungiamo noi, sono anche il clima dove
possono più agevolmente agire i sobillatori manovrati dall’esterno, da
Stati nemici o rivali dell’Iran, per cercare di gettare il Paese nel
caos.
Parla chiaro il rozzo opportunismo di Donald Trump che nelle
proteste in corso vede una rivolta contro il sistema e scorge la
conferma delle ragioni dei suoi attacchi all’Iran e alla sua condanna
dell’accordo sul nucleare. «È tempo di cambiare» il popolo
iraniano «Era affamato di libertà» ha attaccato ieri il presidente Usa.
«L’Iran – ha proclamato – sta fallendo a tutti i livelli, nonostante il
terribile accordo nucleare della Amministrazione Obama».
Il suo vice, Mike Pence, con toni da battaglia, promette di non deludere gli iraniani che manifestano.
«Fino a quando Trump sarà presidente e io vice – ha scritto sul suo
account Twitter – gli Stati Uniti non commetteranno il passato errore
vergognoso quando altri ignorarono l’eroica resistenza degli iraniani
mentre combattevano contro un regime brutale. Ora non li deluderemo».
Non trattiene l’entusiasmo il premier israeliano Netanyahu. Ieri ha
lodato i «coraggiosi che anelano alla libertà» e ha negato che Israele
sia dietro le proteste.
Quindi ha puntato il dito contro il «crudele regime iraniano» che, a
suo dire, avrebbe speso «miliardi di dollari per spargere odio», ossia intervenendo – come hanno fatto tutti gli altri attori regionali, oltre a
Usa e Russia, nei conflitti in Siria, Iraq e Yemen – invece «di
costruire scuole e ospedali per il suo popolo». Infine, dopo aver
accusato l’Europa di «rimanere in silenzio», ha auspicato la caduta
della Repubblica islamica. Non ci vuole molto ad immaginare i
festeggiamenti a Riyadh, nemica giurata dell’Iran sciita.
Mentre Usa, Israele e Arabia Saudita, con il coro dei media
internazionali, evocano e sognano il «cambio di regime» a Tehran, Rohani
sa che la protesta non è, o almeno non è ancora, contro il sistema.
Sa che la chiave di tutto è la soluzione dei bisogni della gente. «La
nostra economia ha bisogno di un grande intervento chirurgico, dobbiamo
essere tutti uniti», ha detto ieri il presidente esprimendo la
«determinazione da parte del governo... a risolvere i problemi della
popolazione, in particolare la disoccupazione».
E nella riunione settimanale del governo Rohani ha battuto su corruzione e trasparenza.
«La critica degli affari del paese è un diritto del popolo, noi
crediamo che lo Stato e il Paese appartengano al popolo», ha detto il
presidente aggiungendo che Trump «non ha il diritto di simpatizzare» con
il popolo iraniano. «La persona che lavora ogni giorno contro la
nazione iraniana» ha concluso «non può simpatizzare con la nazione
iraniana».
L’analista Mohammed Ali Shabani scrive che Rohani potrebbe usare
l’ondata di proteste a suo vantaggio e per mettere in difficoltà i suoi
oppositori conservatori. Ma ha bisogno di varare provvedimenti immediati
a sostegno dell’economia se vuole vincere la sua battaglia. E le
prospettive non sono rosee.
Oltre alla disoccupazione – che l’Iran può
combattere efficacemente solo se la sua crescita, comunque
significativa, riuscirà a creare un milione di posti di lavoro ogni anno
– vi sono disuguaglianze crescenti, la mancanza di
diversificazione economica che riduca la dipendenza dall’esportazione
del petrolio, i prezzi alti dei prodotti alimentari, l’inquinamento e il
degrado ambientale. Problemi lontani dal “cambio di regime” al quale lavora Donald Trump.
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