di Michele Giorgio – Il Manifesto
Sono le ore
dell’incertezza, quelle in cui si afferma tutto e il contrario di tutto e
che gravano come una cappa su Gaza. Oggi, quando migliaia di
palestinesi raggiungeranno le linee di separazione con Israele per il
venerdì dei “bambini martiri” della Grande Marcia del Ritorno, Gaza
potrebbe trovare alle sue porte l’offensiva militare che il governo
Netanyahu minaccia da mesi. E comunque la guerra di attrito tra le due parti è in corso da tempo.
In risposta all’uccisione, mercoledì sera, da parte di Israele di
tre militanti dell’ala armata di Hamas, Ezzedin al Qassam, i comandi
militari del movimento islamico ieri mattina hanno annunciato di essere
«in stato di massimo allarme» e hanno fatto appello alle altre
organizzazioni di Gaza «ad agire allo stesso modo» e a far pagare a
Israele «un alto prezzo di sangue per i suoi crimini».
Se questi annunci, abbinati a quelli del ministro israeliano per la
sicurezza Gilad Erdan che ha parlato di «passi avanti verso un’ampia
operazione militare», siano l’ultimo atto prima del nuovo conflitto,
l’abbiamo domandato ieri ad “Abu Samir” nome fittizio scelto da
un componente della “struttura di collegamento” tra l’ala armata e
quella politica del movimento islamico.
«L’intera struttura dei
combattenti di Hamas, in ogni sua articolazione e capacità bellica, è
pronta ad attaccare il nemico o a rispondere a una sua aggressione.
La nostra linea è chiara: ad ogni assalto del nemico risponderemo con
una reazione di pari livello e non abbiamo paura di combattere», ci ha
risposto “Abu Samir” ricordando che Hamas può «infliggere colpi molto
dolorosi a Israele». Punti ribaditi da altri esponenti del movimento
islamico e di altre formazioni palestinesi ripresi dalle radio di Gaza.
I proclami di guerra, di israeliani e palestinesi, non hanno cambiato la routine di Gaza. La popolazione ieri ha continuato le sue attività e nelle strade della Striscia ha regnato la calma.
Forse, come ci dice Munzer Taha, un commerciante di via Wahda, «è solo
rassegnazione di fronte ad un quadro generale che continuerà a
peggiorare sotto ogni punto di vista».
Per alcuni l’allerta lanciata da Ezzedin al Qassam è stato una sorta
di esortazione per Nikolay Mladenov, il coordinatore speciale dell’Onu
per il Medio Oriente, ritenuto l’unico attore internazionale in grado
di evitare la guerra, almeno in questa fase in cui gli egiziani
sembrano aver fatto un passo indietro. Mladenov ieri ha fatto la
spola tra Israele e Gaza. Al mattino è entrato nella Striscia e ha
incontrato il leader di Hamas Ismail Haniyeh. Poi è andato in Israele,
quindi è tornato a Gaza per un nuovo incontro con Haniyeh.
«Da quanto abbiamo saputo – ci spiegava ieri sera Aziz Kahlout, un giornalista di Gaza – l’inviato
dell’Onu ha spiegato agli israeliani che se (lo Stato ebraico) vuole la
fine dei lanci di “palloni incendiari” (da Gaza) Hamas da parte sua
chiede misure immediate che allentino l’assedio (israeliano) e migliorino le condizioni di vita della popolazione di Gaza, a cominciare dalla riduzione della disoccupazione».
Secondo Kahlout, Mladenov ha sottolineato ad Haniyeh la decisione
della Banca mondiale di portare a 90 milioni di dollari gli
investimenti per Gaza e ha offerto aiuti umanitari urgenti e la
costruzione di infrastrutture civili per generare migliaia di posti di
lavoro nella Striscia. Un’offerta che di fatto scavalca il presidente
dell’Anp Abu Mazen contrario alla attuazione di questi programmi se
prima Hamas non rinuncerà al controllo di Gaza e ad avere un’ala
militare alternativa alle forze di sicurezza dell’Anp.
È difficile valutare la concretezza di queste indiscrezioni. Fatto
sta che a queste voci se ne sono aggiunte altre diffuse dalla radio
militare israeliana secondo cui Abu Mazen sarebbe pronto ora ad
accettare il piano di aiuti umanitari per Gaza, che ha respinto sino ad
oggi, formulato dall’Amministrazione Trump in collaborazione con
Israele e alcuni paesi arabi durante una recente conferenza
negli Usa. Allo stesso tempo non fa alcun passo in avanti la
riconciliazione tra Hamas e Fatah, il partito guidato da Abu Mazen. Uno
dei dirigenti di Fatah, Azzam al Ahmad, ha ribadito che per il momento
il suo partito non avrà al Cairo incontri bilaterali con i
rappresentanti del movimento islamico.
Ieri sera un palestinese è stato ucciso in Cisgiordania dopo aver
ferito a coltellate due coloni israeliani, uno è in gravi condizioni,
nell’insediamento di Adam.
Fonte
Nessun commento:
Posta un commento