di Michele Giorgio – il Manifesto
I comandi militari
israeliani hanno lanciato ieri una massiccia campagna di attacchi aerei
contro Gaza, dando con ogni probabilità il via all’offensiva militare
di cui si parla da settimane. Offensiva che il ministro della difesa Lieberman ha esplicitamente annunciato ieri mattina
precisando che sarà ben più ampia di quella di quattro anni fa,
Margine Protettivo, che uccise oltre duemila palestinesi. «I capi di
Hamas ci stanno portando ad una situazione in cui non avremo scelta, ad
una situazione in cui dovremo compiere una larga e dolorosa operazione
militare, non soltanto uno show, ma una larga e dolorosa operazione
militare», ha avvertito il ministro.
Dietro la nuova operazione militare però ci sono solo in parte i tanto citati
lanci di ”palloni incendiari” da Gaza verso il territorio meridionale
israeliano dove hanno provocato numerosi roghi nell’ultimo mese. Il motivo principale, come ha ammesso proprio Lieberman, «è l’erosione della deterrenza israeliana, un cambiamento nell’equilibrio e, certamente, la sensazione di sicurezza che non è meno importante della stessa sicurezza».
Israele, in poche parole, sente di non avere il pieno controllo della situazione e quel potere di deterrenza che credeva di aver imposto con l’offensiva di quattro anni fa. E intende ristabilirlo colpendo duramente Hamas.
Ma a pagare il conto saranno come sempre i civili di Gaza. Ma pesano
anche le manifestazioni popolari della “Grande Marcia del Ritorno”, che
la gente di Gaza, nonostante gli oltre 140 dimostranti uccisi dai
cecchini israeliani dal 30 marzo, continua settimanalmente a ridosso
delle linee di demarcazione con Israele invocando la fine del blocco
che da 12 anni strangola e tiene prigioniero questo fazzoletto di terra
palestinese. Un “attrito” continuo che il governo Netanyahu e i comandi
militari consideravano non più sopportabile.
Israele aveva dato al movimento islamista Hamas, che controlla Gaza, tempo fino a ieri per mettere fine al lancio dei “palloni incendiari”. Hamas aveva respinto l’ultimatum ricordando l’insostenibilità della condizione di Gaza
e a sua volta aveva intimato a Israele di riaprire i valichi e di
riprendere le forniture di carburante bloccate nei giorni scorsi per
ordine del ministro Lieberman.
Tuttavia mercoledì e giovedì i suoi
leader, per smorzare la tensione, avevano limitato i lanci dei palloni.
Sono anche circolate voci di una mediazione portata avanti dagli
egiziani per evitare l’offensiva militare e allentare la morsa
israeliana su Gaza. I piani militari però erano già pronti. La scintilla che aspettava il ministro Lieberman si è sprigionata ieri pomeriggio mentre migliaia di palestinesi, nel venerdì della Grande Marcia del Ritorno, si stavano radunando in nuove manifestazioni lungo le linee di separazione.
Come siano andate le cose non è del tutto chiaro. Secondo una versione
alcuni cecchini palestinesi, non si sa di quale formazione armata,
avrebbero sparato contro una postazione israeliana ferendo gravemente
un militare che è morto poco dopo anche se la conferma ufficiale ieri
sera non era ancora arrivata.
Sono passati pochi minuti e l’aviazione israeliana ha centrato una postazione di osservazione nei pressi di Shujayeh uccidendo tre militanti di Hamas. Un quarto palestinese, sempre del movimento islamico, è morto in un raid avvenuto poco dopo vicino Rafah.
Sulla periferia di Khan Yunis sono piovuti 15 missili in appena 10
minuti. Gli attacchi sono intensificati e i manifestanti palestinesi
hanno abbandonato la zona lungo le linee con Israele – oltre 100 i
feriti da proiettili o intossicati dai lacrimogeni, un 14enne colpito
alla testa è in fin di vita – mentre i gruppi armati palestinesi hanno
sparato colpi di mortaio. In serata da Gaza sono partiti tre razzi, due dei quali sono stati intercettati. Nei centri israeliani a ridosso di Gaza è stato dichiarato lo stato di allerta e molti civili sono scesi nei rifugi.
Un disperato appello a fermarsi prima dell’irreparabile lo ha
lanciato ieri sera su twitter l’inviato speciale dell’Onu Nickolay
Mladenov: «Tutti devono fare un passo indietro, prima del baratro».
Altrettanto ha fatto il presidente palestinese Abu Mazen. Ma Gaza già
viveva la sua prima notte della nuova guerra.
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