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28/07/2018

I “diritti umani” liberal in Crimea e in Ucraina

Il Dipartimento di stato USA ha rilasciato una “Dichiarazione sulla Crimea”, in cui si ribadisce che Washington non riconosce la penisola come parte della Federazione Russa e insiste sulla “violazione dei diritti dell’uomo in Crimea”. Ovviamente, osserva topwar.ru, non si specifica in cosa tali diritti vengano ora violati dalla Russia, o non lo fossero prima dall’Ucraina, allorché Kiev, ad esempio, non riconosceva il diritto dei tatari di Crimea, a differenza di oggi, a usare la loro lingua quale idioma ufficiale.

Commentando la “Dichiarazione”, l’ambasciata russa negli Stati Uniti nota come Washington tenti di far discendere la propria posizione dal diritto internazionale, relativamente al principio dell’autodeterminazione: esattamente quel diritto che è stato alla base del ritorno della Crimea nella compagine russa, quattro anni fa. Si ha l’impressione, conclude il commento, che la “Dichiarazione” sia stata confezionata a esclusivo uso interno, soprattutto dopo le parole del presidente Trump a proposito della “Crimea russa”: qualcuno, nell’amministrazione USA, sta ancora cercando i modi per spiegare le parole di Trump agli americani e agli “alleati” ucraini.

“Fedele alla linea”, anche la parubiniana on. Laura Boldrini, ha voluto dire la sua a proposito della Crimea. Scriveva ieri il manifesto – peraltro senza commenti, come si conviene a un asettico quotidiano che pur mantiene nella testata il termine “comunista” – che l’ex presidente della Camera si era detta soddisfatta delle risposte avute, nel corso del question time alla Camera, dal Ministro degli esteri Enzo Moavero Milanesi, il quale ha confermato “in parlamento la posizione ufficiale dell’Italia in merito alla illegittima annessione russa della Crimea. Una dichiarazione che di fatto smentisce quanto detto da Salvini”.

Per la cronaca, in un’intervista di una settimana fa al Washington Post, il ministro leghista aveva sostanzialmente parlato di aree “storicamente russe, con cultura e tradizioni russe”, che sono dunque “legittimamente parte della Federazione Russa” e aveva ricordato il referendum del marzo 2014 con cui “il 90% della popolazione ha votato per il ritorno della Crimea nella Federazione Russa“. Ora, per la gioia dell’on. Boldrini, il Ministro Moavero ha ribadito che «il governo italiano ritiene che vadano sempre rispettate le regole del diritto internazionale, in particolare l’integrità territoriale di ciascun paese» e ha sottolineato che l’Italia ha preso «una posizione coerente con quella espressa a livello collettivo dall’Unione Europea». Nell’intervista al giornale americano, il ministro leghista aveva anche ammesso, a parole, che il golpe del 2014 in Ucraina fosse stato “una pseudo rivoluzione sponsorizzata da altri paesi”.

Ora, si è già scritto che non saranno certo le dichiarazioni di Salvini, fatte per puri interessi di bottega, a indurci ad applaudire la Lega e i suoi adepti pontidesi dagli elmi cornuti in trasferta al Viminale. Qualche considerazione però sembra d’obbligo a proposito delle parole di Moavero e della conseguente “soddisfazione” di colei che è usa firmare protocolli coi nazisti ucraini.

A tal proposito, non sembra superfluo ricordare, nel parlare della decisione crimeana di staccarsi dall’Ucraina e tornare nella compagine russa, il golpe di inizio 2014 che aveva portato al potere gli uomini scelti dal Dipartimento di Stato (ricordano Moavero e Boldrini le parole di Victoria Nuland a proposito del “nostro Jats”: il banchiere Jatsenjuk poi messo sulla poltrona di primo ministro?), promossi al rango di presidente e ministri con l’ausilio dei massacri perpetrati dai neonazisti di Pravyj Sektor. Fu in quella situazione (ricordano Moavero e Boldrini gli autobus degli antimajdanisti di Crimea, assaltati dai nazionalisti e i loro occupanti uccisi e feriti a randellate?) che il Parlamento della Crimea – eletto nel 2010 e non “sotto i fucili russi”, come amano dire a Roma e a Kiev – approvò, con 78 voti su 81, una risoluzione secondo cui, se la Repubblica fosse divenuta indipendente, potesse entrare a far parte della Federazione russa. Poi, la dichiarazione di indipendenza dall’Ucraina e infine, il 16 marzo, il referendum, con il 96,77% dei votanti (3 su 4 del milione e mezzo di aventi diritto) espressisi per la riunificazione alla Russia.

Ha o non ha un qualche significato il fatto che la decisione pressoché plebiscitaria dei crimeani di opporsi al regime golpista di Kiev, si sia manifestata proprio in una situazione di aperta nazistizzazione del paese, avviata appunto in qui mesi? Ha o non ha un qualche peso il fatto che sia stata proprio quella situazione di colpo di stato, spinto da Berlino e Parigi – a dispetto dell’accordo raggiunto poche settimane prima con il legittimo presidente Viktor Janukovic – e finanziato dal Dipartimento di Stato, a spingere i crimeani a staccarsi dall’Ucraina e, poi, gli abitanti del Donbass, a opporsi armi alla mano all’aggressione ucraina e ai battaglioni nazisti di “Ajdar”, “Azov”, “Pravyj Sektor”, “Donbass”...?

Che la decisione dei crimeani di staccarsi da Kiev coincidesse con l’interesse di Mosca a non lasciar cadere in mano golpista e NATO la base strategicamente importante di Sebastopoli, non fa che confermare la pericolosità internazionale (oltreché di affamamento del proprio stesso popolo) di un regime messo in piedi da quella “posizione coerente” politica, economica, ma soprattutto militare, “espressa a livello collettivo dall’Unione Europea”.

Antonio Cassese scriveva nel 1984 che “Il diritto internazionale è un ordinamento giuridico realista, che tiene conto dei rapporti di potere esistenti e si sforza di tradurli in norme giuridiche. Esso è largamente basato sul principio di effettività, stabilisce cioè che solo quelle pretese e situazioni che sono effettive acquistano rilevanza giuridica“.

Come disse nel 2015 Vladimir Putin, fu proprio a partire dalla Crimea che “insieme alla vicinanza etnica, la lingua e gli elementi comuni della cultura materiale, i nostri antenati per la prima volta e per sempre presero coscienza di essere un solo popolo. E questo ci dà tutti i fondamenti per dire che, per la Russia, la Crimea, l’antica Korsun, il Chersoneso, Sebastopoli, hanno un grande significato“.

Ora, riguardo a quelle “regole del diritto internazionale”, di cui il ministro Moavero ha citato “in particolare l’integrità territoriale”, non pare fuor di luogo ricordare che quel diritto prevede anche un’altra “quisquilia” quale il principio di autodeterminazione. Sempre Putin aveva detto che, con la loro scelta, i crimeani avevano realizzato “la cosa più importante e cioè che al momento di decidere dell’autodeterminazione, il popolo che vive in un territorio non deve chiedere il parere delle autorità centrali dello Stato in cui si trova nel dato momento” e aveva aggiunto: “nulla di diverso da ciò che è stato fatto in Kosovo, è stato fatto in Crimea“. L’indipendenza del Kosovo non era stata forse sponsorizzata e prontamente riconosciuta da tutto l’Occidente?

Ma Putin non è “uomo d’onore”, avrebbe detto Marcantonio-Boldrini. E allora, i giuristi italiani Giuliano, Scovazzi e Treves scrivono che “La Corte internazionale di giustizia ha definito il ‘principio di autodeterminazione’ come rispondente ‘alla necessità di rispettare (da parte degli Stati) la volontà liberamente espressa dai popoli’ (parere del 16 ottobre 1975 relativo al Sahara occidentale). L’esistenza di tali obblighi tra gli Stati favorisce in fatto l’autodeterminazione e cioè la costituzione di nuovi soggetti“. Quando cioè si arriva a una situazione di fatto, che realizza la volontà di una data popolazione, la comunità internazionale non può che constatare la scelta operata dalle persone che si sono messe sulla strada dell’autonomia o della separazione da una data struttura statale.

Lenin – ci scuseranno Boldrini-Moavero – scriveva che “Il diritto delle nazioni all’autodecisione non significa altro che il diritto all’indipendenza in senso politico, alla libera separazione politica dalla nazione dominante“. E “Il diritto all’autodeterminazione ... significa la soluzione della questione precisamente non da parte del parlamento centrale, bensì da parte del parlamento, della dieta, di un referendum della minoranza che si separa. Quando la Norvegia si separò (nel 1905) dalla Svezia, la cosa fu decisa dalla sola Norvegia“.

Ancora il capo dei bolscevichi – di nuovo, chiediamo scusa – scriveva, a proposito della questione alsaziana e della sua separazione dalla Germania e unione alla Francia: “l’autodeterminazione presuppone la libertà di separazione dallo Stato oppressore. Del fatto che l’unione a un dato Stato presupponga il suo assenso, in politica ‘non è uso’ parlare, così come in economia non si parla del ‘consenso’ del capitalista a ricevere il profitto o del lavoratore a ricevere il salario. Parlare di questo è ridicolo“.

Sicuramente, in questi quattro anni, molte notizie ci sono sfuggite. Ma non ricordiamo che il Dipartimento di Stato, o, in casa nostra, l’ex presidente della Camera, mentre firmava protocolli con lo speaker nazista della Rada, abbia sollevato interrogazioni allorché i nazisti di “Pravyj Sektor” e il Medzhlis dei tatari di Crimea – legato ai “Lupi grigi” turchi e agli islamisti di “Hizb-ut-Tahrir” – avevano decretato il blocco alimentare della Crimea. E Poroshenko, aggiungendovi il blocco energetico, aveva dichiarato che l’azione dei nazisti si inseriva nei piani di Kiev per “il ristabilimento della sovranità statale ucraina sulla Crimea”.

Non ci sembra che, per venire al presente, l’on. Boldrini abbia sollevato interrogazioni sul fatto che il Consiglio regionale di Zhitomir abbia deciso di dichiarare il 2019 “anno di Stepan Bandera”; o che si sia preoccupata di conoscere a cosa serva quella “lista nera” di oltre 1.500 giornalisti stranieri, e oltre il doppio di giornalisti russi, che il fascista Anton Gerashchenko, consigliere del Ministro degli interni Arsen Avakov, ha inserito in quello stesso elenco del sito web “Mirotvorets” (“Mediatore di pace”!) in cui era finito, per fare un solo nome, il giornalista Oles Buzina, assassinato nell’aprile 2015.

Ci sarà una nuova interrogazione per conoscere la sorte del giornalista Sergej Bliznjuk, che a Borzna, nella regione di Cernigov, è stato preso ieri a bastonate in testa da una trentina di nazisti di “Azov” e costretto a firmare le proprie dimissioni? Cosa dice l’on. Boldrini: coincide, tutto ciò, con qualcosa che riporta alla mente cronache di un centinaio di anni fa nelle nostre contrade? Ma questa è l’Ucraina, da cui la Crimea è riuscita a separarsi: e si chiama autodeterminazione dei popoli.



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