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30/07/2018

Nicaragua: le lezioni di una rivolta

Tutto è iniziato il 16 aprile, in occasione dell’emanazione del decreto Presidenziale di riforma dell’INSS, l’Istituto di Previdenza Sociale che in Nicaragua si occupa sia del settore pensionistico sia di quello previdenziale.

Questo provvedimento legislativo d’urgenza, deciso ed emesso senza alcuna consultazione delle parti sociali stabiliva che “i pensionati di vecchiaia, invalidità e incapacità daranno un apporto mensile del 5% dell’ammontare delle proprie pensioni a favore del Ramo Malattia e Morte”[1], oltre ad un aumento dei contributi a carico sia dei lavoratori che dei datori di lavoro e alla riduzione del tetto dell’importo pensionistico dall’80% al 70% della media salariale degli ultimi anni. Provvedimento peraltro dettato da specifico documento del Fondo Monetario Internazionale emesso nell’estate del 2017.

Si tenga presente che in Nicaragua il PIL procapite è di 5.500 cordoba mensili (circa 180 dollari) a fronte di un paniere di base di 13.392 cordoba, quindi la maggioranza dei nicaraguensi non dispone di un reddito sufficiente per garantirsi i beni fondamentali.

Le manifestazioni contro la riforma, scoppiate il giorno successivo sono degenerate in violenti scontri, che ad oggi hanno provocato circa 300 morti, tra i dimostranti da un lato e polizia e giovani filogovernativi dall’altro. L’elemento scatenante delle violenze è stato l’intervento di questi ultimi, che hanno deriso, provocato e aggredito i manifestanti, tra i quali molti anziani, causando la reazione dei giovani universitari e della popolazione in generale.

Per cancellare ogni dubbio su questa interpretazione dei fatti basta rivedere l’intervista rilasciata in quei giorni da Humberto Ortega, non certo sospettabile di complottismo essendo il fondatore dell’esercito sandinista e fratello del presidente: Humberto Ortega faceva appello al governo perché sul contenuto della riforma si riprendesse la prassi della trattativa tripartita (ossia governo-imprenditori e sindacati) e si arrivasse ad un consenso di tutti le parti in causa, evitando quelle decisioni verticistiche che avevano provocato le proteste. “È stato legittimo dunque – continuava Humberto Ortega – che la popolazione manifestasse, e la polizia deve svolgere il suo ruolo, che non è quello di reprimere la protesta, ma di garantire che i dimostranti vengano rispettati e che rispettino i diritti degli altri. E la polizia deve assicurare che non arrivi gente in moto, com’è successo ieri, armata con bastoni e spranghe di ferro, ad aggredire i manifestanti”.

A chi ritiene che questa improvvisa esplosione di manifestazioni di piazza sia la prova di un piano prestabilito bisogna ricordare che in Nicaragua le proteste anche violente sono ricorrenti. Basta guardare gli scontri avvenuti l’anno scorso nella località di Mina el Limón tra dimostranti e polizia, delle quali si trova in Youtube abbondante documentazione video.

E bisogna rilevare che in Nicaragua covava da tempo sotto la cenere un malcontento popolare profondo e generalizzato contro il governo della coppia Ortega-Murillo, nonostante l’ampio consenso ottenuto dal partito di governo alle ultime elezioni del 2016 (72%).

Certo, è difficile parlare di regime in senso “tecnico” per uno schieramento che ha raggiunto un risultato così netto, ma per inquadrare meglio la situazione è bene fare un breve riassunto delle vicende politiche del Nicaragua degli ultimi anni.

Nel 2016 Daniel Ortega si è riconfermato per la terza volta consecutiva alla guida del Paese dopo il 2006 e il 2011.

I sandinisti avevano governato il Paese dopo la liberazione dalla dittatura di Somoza (19 luglio 1979) e Ortega aveva già ricoperto la carica di presidente fra il 1985 e il 1990. Nel 1988 furono firmati gli accordi di pace che conclusero la guerra civile, e due anni dopo la destra vinse le elezioni e i sandinisti passarono all’opposizione, con il Paese dissanguato dall’aggressione controrivoluzionaria promossa dagli USA.

Il periodo della destra si caratterizzò per un estremo neoliberismo, con privatizzazioni di tutti i settori strategici del Paese, e una forte corruzione.

Nel 2006 la coalizione di Daniel Ortega tornò di nuovo al potere sconfiggendo la destra e ottenendo anche dei risultati interessanti dal punto di vista macroeconomico e sociale: tra il 2006 e il 2013 il Pil pro capite crebbe di quasi il 50% e la povertà crollò dal 48.3% al 29.6%. Tendenza questa, comune a tutti i paesi latinoamericani dall’inizio del nuovo millennio.

Grafico: povertà in alcuni paesi latinoamericani e nell’intero sub continente periodo 2000-2010 (Fonte Cepal)

Ma il “Sandinismo 2.0”, vale a dire la nuova stagione di Ortega alla presidenza, aveva ben poco da spartire con quello del periodo rivoluzionario.

Daniel Ortega aveva ricercato innanzitutto il consenso della Chiesa cattolica locale, riscoprendo la fede religiosa. Ortega e l’attuale vicepresidente Rosario Murillo si sposarono in chiesa nel 2005 e promossero una legge contro l’aborto terapeutico, per riconciliarsi con uno dei nemici storici del sandinismo, l’ultrareazionario cardinale Miguel Obando y Bravo.

Ortega era anche riuscito a neutralizzare un pesantissimo scandalo a sfondo sessuale scoppiato nel 1998, quando la figlia di Rosario Murillo, Zoilamérica, l’aveva accusato di averla violentata ripetutamente fin dalla fine degli anni ’70. La denuncia cadde nel vuoto grazie alla presa di posizione della madre che difese a spada tratta il marito: “Ho provato una terribile vergogna per il fatto che si volesse distruggere una persona con un curriculum senza macchia, e che fosse la mia stessa figlia a volerla distruggere per questa ossessione e innamoramento morboso con il potere quando non ha visto soddisfatta la sua ambizione”. A seguito di questo episodio la Murillo si guadagnò una rendita di posizione colossale nel sistema di potere nicaraguense.

Rosario Murillo e gli alberi della vita

Rosario Murillo, “la Chayo” è nata a Managua nel 1951 e proviene da una famiglia agiata. È figlia di Zoilamérica Zambrana Sandino, nipote dell’eroe nazionale Augusto Cesar Sandino.

Quale oppositrice del dittatore Somoza, nel 1977 fu costretta all’esilio, prima a Panama e in Venezuela, poi in Costa Rica dove cominciò a militare per il Fronte Sandinista. Fu in quel periodo che si rafforzò la relazione con Daniel Ortega.

Oggi viene considerata la vera presidente del Paese ed è soprannominata “La Strega” per la passione per la religione, le scienze occulte e la spiritualità.

Nel discorso politico di Murillo gli eroi della rivoluzione sono diventati santi mentre Dio e la Madonna sono sempre presenti, a ribadire continuamente la vocazione religiosa del governo nicaraguense. L’originaria Teologia della Liberazione che aveva ispirato la rivoluzione sandinista è stata così sostituita da una specie di “santeria” a metà tra la religiosità reazionaria e la superstizione. Una delle sue iniziative più vistose è stata quella di installare nelle strade principali di Managua e di altre città del Paese centinaia di “árboles de la vida” per allontanare il malocchio e attirare energia positiva. Gli alberi, che la gente chiama “arbolatas” [alberi di latta] o “chayopalos” [pali della Chayo] costano circa 20-30mila euro ciascuno e sono gigantesche strutture metalliche alte tra i 15 e i 20 metri, a colori vivaci e pieni di luci elettriche. I chayopalos, i più odiati simboli del potere personale della Murillo, sono stati le prime vittime delle manifestazioni di questi mesi.

Un mese dopo l’inizio dell’instabilità, Rosario Murillo ha dichiarato che nel Paese c’era un’invasione di “spiriti maligni” e ha pregato Dio di far cessare “questa mano diabolica che si muove nel nostro Paese e che nega la vita”.

Alleanze sottobanco

In questi anni “sotto un apparente discorso antimperialista – scrive il quotidiano progressista messicano la Jornada – il FSLN ha portato avanti la sua politica mascherando un’alleanza con la destra, ex alleati de Somoza e il capitale transnazionale. Le politiche neoliberiste sono state la controparte di un’alleanza spuria di Daniel Ortega con l’ex presidente di destra Arnoldo Alemán, il cui obiettivo è stato quello di spiazzare gli oppositori e configurare nuove relazioni di potere. È stata modificata la costituzione e si sono fatte concessioni alla Chiesa, agli imprenditori, al Fondo Monetario Internazionale e alla Banca Mondiale. Tutto sotto una presunta calma”.

Questa politica poco trasparente ha provocato l’allontanamento pressoché totale della vecchia guardia sandinista: “dei nove comandanti della Direzione Nazionale del Fronte Sandinista di Liberazione Nazionale (FSLN) che ha guidato il destino del Nicaragua tra il 1979 e il 1990, solo uno fa parte dell’attuale governo dell’ex comandante e Presidente Daniel Ortega: Bayardo Arce, che è consigliere economico della presidenza. Degli altri, due sono morti, tre sono critici con il governo e gli altri due “indifferenti”.

Ernesto Cardenal, protagonista della Teologia della Liberazione e ministro dopo la vittoria contro la dittatura di Somoza, ha scritto in questi giorni all’ex Presidente uruguayano Pepe Mujica per far sapere ai progressisti del mondo quello che succede in Nicaragua. Le sue parole sono lapidarie: “Ortega e Murillo non possono continuare a trovare legittimità nei movimenti di sinistra, quelli che con le loro azioni senza scrupoli hanno tradito. Le vittime di Ortega e Murillo meritano giustizia”.

La risposta dell’ex guerrigliero Mujica non poteva essere più netta: “Ricordo compagni che hanno dato la vita in Nicaragua lottando per un sogno (...) e sento che quello che una volta fu un sogno oggi si trasforma e cade nell’autocrazia, e capisco che coloro che ieri erano rivoluzionari hanno perso il senso della vita. Ci sono momenti in cui bisogna dire me ne vado”.

Rodrigo Rivas, intellettuale cileno e oppositore della dittatura di Pinochet, scrive: “Le politiche di Ortega mi sembrano indubbiamente neoliberiste in campo economico e soprattutto subordinate al pensiero conservatore e reazionario riguardo le forme della politica e del rapporto Stato-popolazione. Se questo è lo scopo di una rivoluzione, allora preferisco altro”. In sintesi, come scrive Pagayo Matacuras, “il Nicaragua del 1978, quello di Somoza, era il secondo paese più povero del continente, oggi è ancora il secondo paese più povero del continente. Nonostante l’aiuto milionario che ha dato il Venezuela: un milione di dollari al giorno dal 2007 al 2016”. Oltre a non aver portato a termine una riforma agraria degna di questo nome e non aver dato impulso ai servizi pubblici (ad esempio l’assistenza sanitaria è di qualità scadente e chi ne ha le possibilità deve ricorrere al settore privato, nel quale pure sembra che vi siano investimenti dell’entourage governativo) il governo di Ortega-Murillo ha destato molto malcontento anche per la corruzione generalizzata, il nepotismo, il clientelismo e lo strapotere della vicepresidente con le sue iniziative bizzarre.

Nepotismo e clientelismo

Rafael Ortega, il figlio maggiore, controlla con la moglie Yarida Leets la Distribuidora Nicaragüense de Petróleo, un organismo chiave che gestisce gli acquisti del greggio venezuelano a prezzi scontati nell’ambito del programma Petrocaribe.

Un altro figlio di Ortega e Murillo che occupa un posto al vertice è Laureano, che dal 2009 gestisce ProNicaragua, l’ente che ha trattato con l’imprenditore cinese Wang Ying la costruzione del canale [transoceanico] del Nicaragua. Il progetto (che comporta un impatto ambientale devastante) prevede un investimento di 40 miliardi di dollari, ma nessuno può assicurare che verrà costruito da qui al 2025. Laureano è un gran personaggio in Nicaragua ed è noto per i suoi orologi di marca e vestiti eleganti. Inoltre è un tenore, con un’attiva partecipazione nel settore della lirica locale.

Ma ci sono altri figli di Daniel Ortega in posti importanti. È il caso di Maurice, che insieme ai suoi fratelli Daniel Edmundo e Carlos Enrique controllano tre canali privati di televisione (4,9 e 13), oltre a Canal 6, che è pubblico. La famiglia Ortega gestisce anche la Nuova Radio Ya, Radio Nicaragua e Radio Sandino.

E perché tutto rimanga in famiglia, nel 2010 Maurice si è sposato con Blanca Javiera Díaz, figlia del capo della Sicurezza Pubblica e vice direttore della Polizia Nazionale, Francisco Díaz. Hoy, Díaz occupa la Direzione della Polizia di Managua.

A sua volta, Juan Carlos Ortega Murillo, un altro dei figli della coppia presidenziale, controlla Canal 8.

Inoltre nel settore pubblico non vi è un solo posto che non venga assegnato per meriti politici.

E per le strade la gente grida “Daniel y Somoza son la misma cosa”...

Conclusioni

Il già citato Rodrigo Rivas scrive “Tra quelli che denunciano da tempo Ortega c’è tutto il Pantheon dei miei riferimenti intellettuali nicaraguensi. Ci sono anche molti latinoamericani che conosco e stimo, che hanno combattuto in Nicaragua (cileni e argentini in particolare) che non hanno dubbi: tutti contro Ortega”.

Ma in Italia non tutti condividono questa visione... “È un figlio di puttana, ma è il nostro figlio di puttana”. Questa famosa citazione viene attribuita a vari presidenti statunitensi a proposito di diversi “figli di puttana”, cioè qualcuno tra i tanti dittatori-fantoccio che gli USA nel corso della storia hanno messo al potere in qualche loro colonia nel sud del mondo. Ma secondo la versione più accreditata sarebbe stato Roosevelt ad usare per la prima volta questa espressione proprio in riferimento al Nicaragua, parlando di Anastasio Somoza García, il dittatore che salì al potere nel 1937 e “regnò” fino al 1956, quando fu ucciso dal poeta Rigoberto López Pérez.

Questa frase è tornata alla mente di molti in questi mesi, ma in senso opposto rispetto alla formulazione originale. Da parte di alcuni settori che potremmo definire “filobolivariani” vi sono stati interventi di sostegno acritico alla coppia presidenziale nicaraguense (vedi per esempio i comunicati dell’Associazione nazionale Italia-Cuba o di Rifondazione Comunista).

Alcuni articoli e prese di posizione sono usciti addirittura su siti piuttosto ambigui, evidenziando un inquietante convergenza tra un antimperialismo di sinistra e quello tipico dell’estrema destra che vede il nemico solo in chiave anti-americana e anti-sionista (l’impero giudaico-massonico) e sostiene qualsiasi governo che sia al di fuori della sfera d’influenza statunitense (va bene il Venezuela e il Nicaragua ma vanno bene anche l’Iran degli ayatollah, la Siria di Assad o la Russia di Putin).

In questa visione tutta incentrata su una “geopolitica deviata”, dove contano solo gli equilibri tra Stati e governi anziché i popoli, il Nicaragua di Ortega nella scacchiera internazionale rappresenta una pedina dello schieramento “antimperialista” e quindi va sostenuto indipendentemente dalla vera natura del suo attuale governo. Del resto chi parla dell’Iran come di un Paese libero e pacifico di pelo sullo stomaco ne deve avere a quintali.

Così nella generalizzazione dietrologica tutte le vacche sono bigie: tutti i movimenti popolari nei Paesi del proprio schieramento devono essere descritti come frutto di agitatori pagati e di complotti orditi dalla CIA. Complotti che in Nicaragua sarebbero anche inspiegabili come sottolinea Pagayo Matacuras “Nel paese vivono e fanno affari lucrosi molti imprenditori gringos, grazie alle leggi in vigore e alla protezione governativa, che in questi anni hanno avuto la possibilità di arricchirsi sfruttando i lavoratori con stipendi non sufficienti per mettere insieme il pranzo con la cena e con condizioni lavorative assolutamente pessime”.

E sarebbe interessante capire come mai a Cuba, il Paese dove forse più di ogni altro gli Stati Uniti hanno scatenato una strategia terroristica di destabilizzazione e cercato di creare una opposizione interna, manifestazioni di massa antigovernative non ce ne siano mai state.

Sempre a proposito di Cuba, è singolare che in Italia negli incontri pubblici non si possa mai discutere con serenità delle interessanti prospettive del socialismo del dopo Fidel (così come lo si fa normalmente con i cubani) senza che intervenga un qualche “commissario del popolo” a censurare la discussione.

Eppure l’esperienza progressista latinoamericana, che oggi sta attraversando una profonda crisi, rappresenta per la sinistra europea un laboratorio imprescindibile per delineare anche le proprie strategie. E l’indubbia lezione che se ne trae in questo momento è che il futuro del “socialismo del XXI secolo” è in mano ai movimenti popolari, contadini e indigeni e non certo ai governi che a causa della controffensiva delle destre e dell’imperialismo statunitense, ma anche per errori limiti propri, risulta in chiara fase declinante dalla fine del 2015.

In Nicaragua la situazione è estremamente delicata: si rischia che l’assenza di alternative credibili a Ortega-Murillo e la prolungata instabilità affondino il Paese nella violenza endemica e nella paralisi politica che vivono i Paesi confinanti, in particolare l’Honduras, e che alla fine emerga una soluzione apertamente golpista. Anche per questo il sostegno internazionale al popolo nicaraguense è fondamentale perché dalla crisi si esca con un ritorno ai valori del vero sandinismo.

Realizzato in collaborazione tra:

Redazione pisana di Lotta Continua

Nello Gradirà per Senzasoste

28 luglio 2018


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