di Michele Giorgio – Il Manifesto
È rimasto ucciso uno dei
due piloti ai comandi del Sukhoi siriano abbattuto ieri da due missili
Patriot lanciati da Israele e precipitato nel sud della Siria, non
lontano dal Golan occupato. In serata continuavano le ricerche
dell’altro pilota che era riuscito a lanciarsi con il paracadute.
La Siria ha negato con forza la tesi di Tel Aviv secondo la
quale il velivolo era stato monitorato e si era infiltrato per due
chilometri nello spazio aereo israeliano violando inoltre, secondo la
tesi espressa dal premier Netanyahu, gli accordi di smilitarizzazione
tra Israele e Siria del 1974. Damasco respinge al mittente
questa versione e a sua volta accusa lo Stato ebraico di dare sostegno
ai gruppi jihadisti “ribelli” prendendo di mira l’aviazione siriana
impegnata in attacchi nell’area del bacino del fiume Yarmouk.
Due giorni fa Israele aveva per la prima volta usato il suo
sistema “Fionda di Davide” verso due missili SS-21 caduti in territorio
siriano ma passati a distanza ravvicinata dalle linee di armistizio
tra i due paesi. Scene di guerra avvenute qualche ora dopo il “corridoio sicuro” messo a disposizione da Israele per centinaia di
“elmetti bianchi” in fuga dalla Siria.
La tensione è molto alta. L’aggressività “difensiva”
israeliana di questi ultimi giorni pare essere una conseguenza del
successo ottenuto nel sud del paese dalle forze armate siriane che,
sbaragliando i gruppi jihadisti “ribelli”, sono tornate a controllare la
fascia di territorio a ridosso del Golan facendo naufragare il
progetto di Israele di costituire una “zona cuscinetto” controllata da
milizie islamiste alleate. Ed esiste probabilmente anche un
collegamento tra gli scontri delle ultime ore e il mancato
raggiungimento di una intesa tra il governo Netanyahu e la Russia,
alleata del presidente Bashar Assad, sulla distanza che combattenti e
consiglieri militari iraniani dispiegati in Siria a sostegno
dell’esercito governativo dovranno mantenere dalle linee israeliane sul
Golan.
Netanyahu incontrando due settimane fa Vladimir Putin aveva promesso
che in cambio dell’uscita degli iraniani dalla Siria non avrebbe agito
per destabilizzare Assad. Mosca pur tenendo in considerazione
le richieste di Tel Aviv non può imporre a Tehran e Damasco di
assecondare le imposizioni del loro principale nemico. Netanyahu perciò
sta irrigidendo ulteriormente la sua linea verso Iran e
Siria, di pari passo con il moltiplicarsi degli avvertimenti minacciosi
che l’Amministrazione Trump lancia all’Iran.
Due giorni fa il premier israeliano ha rifiutato la proposta russa di mantenere le forze iraniane presenti in Siria a 100 chilometri dal Golan presentata dal ministro degli esteri Lavrov e dal capo delle
forze armate Gerasimov. Netanyahu vuole anche che siano ritirati i
missili a medio e lungo raggio che l’Iran, secondo Israele, avrebbe
portato in Siria.
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