di Stefano Mauro
“Il Libano avrà un nuovo governo entro pochi giorni”. Il presidente Michel Aoun ha annunciato ieri alla stampa nazionale, la creazione di un nuovo esecutivo
dopo che, nell’ultima settimana, si sono intensificati i contatti tra i
diversi partiti politici libanesi per sbloccare gli ultimi ostacoli alla formazione del governo di Saad Hariri.
Lo stesso premier incaricato sunnita, dopo un incontro con i dirigenti del suo partito (Mustaqbal), ha
dichiarato che il paese dei cedri è vicino ”a sbloccare la fase di
stallo che lo paralizza” dalle elezioni parlamentari dello scorso mese
di maggio. “Tutte le forze politiche” – ha continuato Hariri –
“hanno abbandonato la loro rigidità e sono impegnate a trovare una
formula equilibrata per un governo di unità nazionale in grado di
lanciare un programma di riforme economiche necessarie per il paese”.
Gli equilibri tra le differenti confessioni, imposte dalla
costituzione libanese (retaggio del periodo coloniale francese), erano
saltati dopo le recenti elezioni parlamentari di maggio, per la prima
volta con un sistema proporzionale puro al posto del maggioritario. Le elezioni avevano visto vincente il movimento “8 marzo” costituito dagli sciiti di Hezbollah e Amal oltre che dai maroniti della Corrente Patriottica Libanese (CPL) dell’attuale presidente della repubblica Michel Aoun e da partiti minori come il Partito Comunista Libanese, contrapposti al “14 Marzo” formato dai sunniti dell’attuale primo ministro Saad
Hariri ed alleato dei maroniti delle Forze Libanesi di Samir Geagea –
accusato per le stragi di Sabra e Chatila – e delle Falangi di Sami
Gemayel.
L’impasse politica era legata soprattutto all’intransigenza dei maroniti delle Forze Libanesi, nuovi referenti politici della monarchia saudita, che richiedono almeno tre-quattro ministeri di peso all’interno del governo di unità nazionale. La prassi di questi ultimi anni vuole, infatti, che il governo, considerato de-facto come un mini-parlamento, preveda
dai 24 ai 32 ministri equamente ridistribuiti tra musulmani (sunniti e
sciiti), cristiani, drusi, armeni e greco-ortodossi, con una rappresentanza per tutte le confessioni presenti in Libano.
Uno stallo politico legato a numerosi fattori interni ed esterni. La vittoria dei partiti sciiti (Hezbollah e Amal) insieme alla CPL di Aoun, con 67 seggi conquistati sui 128 del parlamento, aveva
creato numerose preoccupazioni ed alcuni veti da parte di paesi esteri
(USA, Francia ed Arabia Saudita in particolare) su un’attribuzione ad
esponenti sciiti di alcuni tra i ministeri di maggior peso (esteri,
interni, difesa e sanità) a causa delle sanzioni
internazionali, confermate anche in questi giorni da Washington, nei
confronti di Hezbollah. Penalità che potrebbero portare ad un rischio,
considerato da molti esponenti elevato, di una diminuzione degli aiuti
internazionali verso Beirut.
Divisioni alimentate anche dalla convinzione che il futuro
governo rimarrà fino alla fine del mandato presidenziale e da una
ricerca, soprattutto dalle correnti minoritarie, di ottenere il “massimo
risultato possibile”.
Pressioni internazionali che, secondo il quotidiano libanese Al Akhbar, sono diminuite in questo periodo anche a “causa delle difficoltà saudite dopo l’omicidio del giornalista Khashoggi”
visto che Riyadh viene considerata il vero ostacolo alla formazione di
un governo stabile per il Libano, con l’obiettivo dichiarato di
contrastare l’egemonia del partito sciita Hezbollah, anche a costo di
compromettere la stabilità del paese.
L’economia ha subito, inoltre, in questi anni le conseguenze della vicina guerra siriana
che hanno portato ad un netto calo degli investimenti, ad un aumento
progressivo della disoccupazione ed alla gestione di oltre un milione di
profughi in un paese con 4 milioni di abitanti.
Numerose devono essere, infatti, le riforme da mettere in
atto per risollevare le sorti del paese visto che gli aiuti economici
internazionali – 11 miliardi negli ultimi sei mesi – sono
servite a tamponare solamente alcune criticità e che il debito pubblico
libanese raggiunge gli 80 miliardi di dollari, che rappresentano il 150%
del prodotto interno lordo (PIL).
Proprio la difficile situazione economica rischia di portare il paese dei cedri verso il default.
“Non abbiamo più scelta o tempo” – ha ribadito Aoun alla stampa
libanese – “dobbiamo intraprendere delle riforme prioritarie per
migliorare la situazione economica, per contrastare la corruzione e per
risanare le finanze nazionali”.
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