Tutta un’impostura. La Banca Mondiale, esperta e complice dell’impoverimento globale, stila rapporti fingendosi un organismo di beneficenza a cui stanno a cuore i poveri. L’ultimo suo rapporto sulla povertà non lascia alcun dubbio in proposito. Sui 27 Paesi che presentano il tasso di povertà più elevato nel mondo, 26 si trovano in Africa. L’Africa sub-sahariana, secondo il rapporto citato, concentra sul suo suolo, più della metà delle persone che vivono con meno di 1,90 dollari al giorno. Ciò significa, secondo la stessa fonte, che 413 milioni di persone su un totale di 736 milioni di poveri nel mondo, nel 2015, si trovano dalle nostre parti.
Il Sahel, da par suo, contribuisce in modo ragguardevole al consolidamento della statistica citata. L’impostura e dunque la menzogna è duplice: nelle statistiche e nei politici di questa parte del mondo. Non si vive di moneta, i dollari come parametro assoluto del governo del mondo sono un’impostura. La monetizzazione della povertà è funzionale alle statistiche e ai piani di distruzione strutturale e sistematica delle economie locali. Non entra nel calcolo la solidarietà, la produzione e il consumo locale, la sobrietà di vita e la povertà, che un tempo era ‘conviviale’ come ben ricordava Ivan Illic, prima di diventare monetaria.
L’altra impostura è quella dei politici locali che delle apparenze fanno la politica e della politica un’apparenza. Somigliano a degli impostori che sulla menzogna fondano e perpetuano il loro potere. Si pavoneggiano in opere costose, destinate a infime minoranze di una classe abbiente. Vani concentrati di futilità ad uso e consumo di effimero prestigio. Nello sfondo si evidenzia il reato più grave che un politico possa perpetrare: il tradimento del popolo e cioè dei poveri che del popolo sono il volto. Coltivano i poveri per trarne argomenti utili per i Fondi di Sviluppo che della povertà hanno fatto la loro ragione d’essere e d’operare.
Peraltro non sono gli unici ad ambire a questo nome. L’impostura prende pure le strade del terrorismo permanente che, gemellato col banditismo, ha trovato proprio nel Sahel un terreno fecondo per radicarsi e prosperare. Decine di gruppi armati, frazionati, suddivisi e orchestrati per occupare territori, risorse, giovani e futuro ai quali la politica l’ha confiscato. Appaiono labili i confini tra rapimenti, commerci di droghe, armi, persone e frontiere. E allora si cerca di frenare l’esodo verso questi gruppi di affermazione sociale violenta con progetti di aiuto che evidenziano solo l’impotenza. Formazione professionale creazione di posti di lavoro per migliorare le prospettive di vita dei giovani. Dieci milioni di euro per i giovani di Diffa, nel Niger.
Quanto alla complicità e dunque ai complici, essa è trasversale. Da parte degli intellettuali che, ormai da tempo, hanno scelto di insabbiare la verità sotto una coltre di pavidità. Da parte di insegnanti, cercatori, giornalisti e attivisti, silenti per troppo tempo rispetto al tipo di visione sociale che si stava disegnando nel Sahel coi gruppi mal definiti ‘jihadisti’. Prediche nelle moschee, cassette, messaggi alle radio e televisioni locali e, prima di tutto interessi economico-religiosi delle correnti salafite che l’Arabia Saudita ha foraggiato in tutti questi anni. Da parte dei politici, che hanno trescato per anni coi benefici economici delle monarchie del Golfo e i pellegrinaggi alla Mecca. La recente ed efferata uccisione del giornalista dissidente Jamal Khashoggi non è che un epifenomeno della strategia saudita. Il terrorismo, nel Sahel come altrove, porta anche il suo marchio. C’è un padre della violenza, neppure troppo nascosto, che ha generato un mostro in una spirale di sangue senza fine. Quante alle reazioni al delitto da parte di Paesi arabi, occidentali, africani e asiatici, sono inconsistenti perché il dio-denaro non esige giustificazioni ma solo sottomissioni.
I passanti sono, infine, quelli che guardano, osservano, transitano, fanno progetti e spariscono dopo qualche tempo. Ma soprattutto tacciono per non disturbare il conducente della nave di sabbia. Sono spettatori degli avvenimenti e cercano in fretta di passare ad altro più attraente dall’oblò dove si sono installati previa prenotazione. Rifuggono dalle domande impegnative e preferiscono le piccole certezze quotidiane della sopravvivenza di cui parla la Banca Mondiale nel suo rapporto. Un dollaro e 90 al giorno per uscire infine dalla povertà.
Niamey, ottobre 2018
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