Non poteva più negare ciò che era evidente a tutti. E poi
Donald Trump voleva una “soluzione” che gli consentisse di salvare la
faccia e le strette relazioni tra Usa e Arabia Saudita. Così
Riyadh ora fa sapere: Jamal Khashoggi è morto lo scorso 2 ottobre nel
consolato saudita di Istanbul, in seguito a “una colluttazione”. Per
quale motivo sia cominciata questa “colluttazione” e come sia “morto”
il giornalista dissidente, i sauditi non lo spiegano, almeno per ora.
Al momento è evidente solo
l’intento di soddisfare la pressione dell’Amministrazione Trump e di
salvare l’erede al trono Mohammed bin Salman, indicato da più parti come
il mandante dell’omicidio di Khashoggi, sacrificando i suoi assistenti e
consiglieri. Riyadh infatti ha annunciato gli arresti di 18 sauditi e rimosso dall’incarico il generale Asiri, numero due dei servizi segreti, e Saud al-Qahtani,
esponente di spicco della corte e stretto consigliere del principe
ereditario, considerato da molti lo “Steve Bannon saudita”.
Trump ha immediatamente definito “credibile” la versione saudita.
Non è escluso a questo punto che anche la Turchia renda pubblica solo
una mezza verità e non i risultati completi delle sue indagini
sull’assassinio di Khashoggi, nel rispetto di un possibile compromesso
con Washington e Riyadh che metta fine alla crisi aperta dalla terribile
sorte toccata al giornalista dissidente.
A completamento delle informazioni Nena News vi suggerisce la
lettura dell’articolo che pubblica oggi il quotidiano Il Manifesto sul
caso-Khashoggi.
di Michele Giorgio - Il Manifesto
Messo di fronte
all’evidenza Donald Trump riconosce a mezza bocca che il giornalista
saudita Jamal Khashoggi è stato assassinato in Turchia e che tutti gli
indizi sui responsabili della sua morte portano a un unico indirizzo,
quello di Mohammed bin Salman, il potente giovane erede al trono saudita
che il presidente americano tratta quasi come un amico di famiglia.
D’altronde con quello che sta venendo fuori dalle indagini è impossibile
per Trump fare il garantista e ad assicurare la “presunzione di
innocenza” agli alleati sauditi. Ora il tycoon, sotto pressione negli
Usa dove il brutale omicidio del giornalista dissidente, editorialista
del Washington Post, è sempre sulle prime pagine e se ne
discute nelle stanze del Congresso, minaccia «conseguenze molto gravi» se sarà
provato il coinvolgimento della casa reale saudita. Il caso inoltre
pesa sulle imminenti elezioni di mid-term.
Sulla gravità delle «conseguenze» i dubbi restano sono forti. Sul
tavolo ci sono contratti per molte decine di miliardi di dollari per
l’acquisto di armi americane da parte di Riyadh. E i Saud con l’annuncio
anche solo di una leggera riduzione delle loro esportazioni petrolifere
in un attimo farebbero salire alle stelle il prezzo del greggio. Più di
un analista prevede che le eventuali sanzioni Usa andranno poco oltre
la rinuncia del Segretario al Tesoro Steven Mnuchin a partecipare
martedì alla “Davos del Deserto”, la mega conferenza per gli
investimenti in Arabia Saudita voluta da Mohammed bin Salman, decimata
dalle defezioni. Secondo il New York Times su richiesta americana Riyadh
sarebbe pronta a sacrificare un alto ufficiale di intelligente, il
generale Ahmed al-Assiri, uomo di punta dei servizi e consigliere della
Corona. Butta acqua sul fuoco il Segretario di stato Mike Pompeo: da un
lato sostiene che l’erede al trono saudita sta mettendo a rischio la sua
credibilità come futuro leader e dall’altro afferma che i sauditi fanno
ancora in tempo a presentare i risultati di una indagine seria sulla
morte di Khashoggi. In poche parole esistono i margini per trovare una
soluzione “accettabile” per tutti.
Attutire i colpi che arriveranno dalla Turchia in ogni caso non sarà
facile per sauditi e americani. Spinta dalla rivalità con Riyadh, Ankara
si prepara a confermare, nero su bianco, i sospetti di tutti. «Abbiamo
alcune informazioni e prove. Condivideremo con tutto il mondo i
risultati dell’indagine», annunciava ieri il ministro degli esteri
turco, Mevlut Cavusoglu, senza fornire alcuna tempistica sulla fine
dell’inchiesta. Ma la conclusione è prossima. Cavusoglu ha precisato che
né il segretario di Stato Pompeo, durante la sua visita, né nessun
altro funzionario americano ha ricevuto dalla Turchia registrazioni
audio dell’omicidio di Khashoggi nel consolato saudita a Istanbul. Gli
americani comunque sanno già tutto, grazie al lavoro della Cia. Ieri i
tecnici della polizia scientifica turca hanno ispezionato, alla ricerca
di tracce di sangue e dna, per circa tre ore il minivan nero in
dotazione al consolato saudita in cui il corpo del giornalista saudita
sarebbe stato trasportato alla vicina residenza del console dopo la
probabile uccisione in consolato. Il mezzo sarebbe giunto dal console
alle 15:09 del 2 ottobre, cioè poco meno di due ore dopo l’ingresso del
reporter in consolato, con a bordo Khashoggi. Con ogni probabilità già
morto a causa di un pesante interrogatorio «andato storto» condotto da
uomini dei servizi sauditi, tra i quali personaggi molto vicini a
Mohammed bin Salman, come mostrano i filmati delle telecamere di
sorveglianza intorno al consolato saudita
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