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25/10/2018

Brasile - Le incomprensibili neutralità nel prossimo ballottaggio

di Attilio Boron

Scrivo queste poche righe con il cuore. Sopraffatto dallo stupore non riesco a comprendere come chi è stato il maestro di tutta una generazione di sociologi, politologi ed economisti dell’America Latina e dei Caraibi (Fernando Henrique Cardoso, ndt) oggi preferisca mantenersi “neutrale” di fronte alla tragica opzione che i brasiliani avranno di fronte il prossimo 28 ottobre: restaurare la dittatura, sotto nuove spoglie, o riprendere la lunga e difficile marcia verso la democrazia. Per giustificare il suo atteggiamento l’ex presidente ha dichiarato alla stampa che “da Bolsonaro mi separa un muro e da Haddad una porta”.

Sorpresa, stupore, meraviglia. Perché? Come è possibile che una delle più brillanti menti delle scienze sociali dell’inizio degli anni sessanta del secolo scorso possa esibire tale indifferenza quando quello che c’è in gioco è: o il ritorno mascherato e peggiorato della dittatura militare (la stessa che dopo il golpe del 1964 lo obbligò ad esiliarsi in Cile) o l’elezione di un politico progressista, erede di un governo che, con tutti i suoi difetti, è stato quello che più ha combattuto la povertà in Brasile e lo ha fatto in un contesto di libertà civili e politiche senza restrizioni?

Noi che siamo stati allievi nella FLACSO del Cile, nella seconda metà degli anni sessanta, siamo stati illuminati dalle sue brillanti lezioni sul metodo dialettico di Marx e sugli insegnamenti di colui che a sua volta fu suo maestro, Florestán Fernándes; o quando dissertava sulla teoria della dipendenza mentre scriveva il suo testo fondamentale con Enzo Faletto; o quando dissezionava con la sottigliezza di un eminente chirurgo la natura delle dittature in America Latina. Per questo, noi che abbiamo fatto tesoro di quei ricordi siamo sprofondati nel più grande sconcerto di fronte al tuo tonante silenzio rispetto a quella che, senza alcun dubbio, è una delle congiunture più critiche della storia recente del Brasile. Noi, che abbiamo avuto la fortuna di arricchirci intellettualmente con le sue lezioni, non riusciamo a credere alle notizie che ci arrivano oggi dal Brasile e che informano della sua scandalosa astensione. E quando quelle notizie sono confermate, come è successo in questi giorni, le recepiamo con il cuore sanguinante e la mente sconvolta.

Come dimenticare che alla fine degli anni sessanta è stato lei ad aiutarci a schivare le sterili trappole della sociologia accademica nordamericana e il pantano dello strutturalismo althusseriano, moda che stava facendo strage nella gioventù radicale del Cile? Dopo, da metà anni settanta e per tutti gli anni ottanta, la sua è stata la voce del buon senso e della sensibilità storica che dibatteva con alcuni “transitologi” illuminati dalla scienza politica dell’accademia statunitense e, a forza di argomentazioni ed esempi concreti, li ha costretti a rivedere le loro ingenue prospettive sulle nascenti democrazie latinoamericane.

Ricordiamo, come fosse oggi, i suoi ammonimenti ai colleghi di Nuestra América circa il “modello de La Moncloa” – eretto ad archetipo non solo unico ma anche virtuoso della nostra ancora non conclusa “transizione alla democrazia” – che avrebbe affrontato enormi difficoltà per riprodursi nel continente più ingiusto del pianeta. Le sue previsioni furono confermate dall’inappellabile verdetto della storia: eccole le nostre languenti democrazie, non hanno mantenuto le loro promesse di emancipazione, impotenti a instaurare la giustizia distributiva e sempre più vulnerabili di fronte all’azione distruttiva dell’impero e dei suoi luogotenenti locali. Democrazie, insomma, in rapida transizione involutiva verso la plutocrazia e la sottomissione neocoloniale. Cardoso è stato uno dei principali animatori del Gruppo di Lavoro sullo Stato del CLACSO che è nato all’inizio degli anni settanta. Il suo spirito critico combinato con la sua fine ironia ha orientato buona parte dei lavori di quel piccolo gruppo di colleghi. Nelle discussioni sulla transizione alla democrazia e sulla natura delle dittature che hanno devastato la regione Lei diceva che “senza riforme effettive del sistema produttivo e delle forme di distribuzione e appropriazione delle ricchezze non ci sarà Costituzione né stato di diritto capace di eliminare l’odore di farsa della politica democratica.” [1] E la storia ancora una volta Le ha dato ragione.

Al di là dei loro errori e limiti, l’esperienza dei governi di Lula e Dilma sono avanzati, sebbene con troppa cautela, nel cercare di eliminare quell’insopportabile “odore di farsa” delle democrazie latinoamericane. In quei governi ci fu corruzione? È aumentata l'insicurezza dei cittadini? Alcuni problemi non sono stati affrontati correttamente o addirittura si sono aggravati? Certo che sì. Però niente di tutto questo costituisce una novità nella storia brasiliana né è un prodotto esclusivo dei governi del PT, e Lei come analista e ancor più nella sua qualità di ex senatore, ex ministro ed ex presidente lo sa molto bene. Usare come “capro espiatorio” della tradizionale e secolare corruzione della politica brasiliana Lula e il PT è un insulto all’intelligenza dei suoi concittadini oltre che una maliziosa bugia. Però, anche se queste critiche fossero vere – cosa sulla quale non è il caso di soffermarsi in queste righe – sono “peccati veniali” di fronte al pericolo che minaccia il Brasile e tutta l’America Latina. E Lei, con la sua intelligenza, alla sua età non può gettare alle ortiche tutto ciò che ha insegnato in tutti questi anni. Lei ha scritto pagine incancellabili sulle dittature latinoamericane e in uno dei suoi libri ha denunciato con coraggio la pretesa di “sottrarsi alla responsabilità politica e di caratterizzarsi come dittatoriale il regime che si instaura sulla violenza senza limiti e il calpestare sistematico dei diritti umani”. [2]

Cosa crede che farà Bolsonaro visto che esalta i torturatori e tesse le lodi della dittatura del '64? Per questo sono convinto che, se continuasse nel suo atteggiamento di neutralità, commetterebbe il maggiore e più imperdonabile errore della sua vita, che stenderebbe uno sciagurato mantello di ombra non solo sul suo percorso di intellettuale di Nuestra America ma anche sulla sua gestione come presidente del Brasile.

C’è una porta che lo separa da Fernando Haddad? Certo che sì, ma il candidato del PT l’ha già invitato a passare. Apra quella porta ed entri, perché quel muro che la separa da Bolsonaro non solo cadrà con tutti i suoi orrori addosso alle classi e strati popolari del Brasile ma anche sulla Sua testa e sul Suo buon nome. Nessuno le chiede di appoggiare incondizionatamente ciò che oggi, ci piaccia o no, rappresenta l’unica opzione democratica che ci sia in Brasile di fronte al mostruoso re-istallarsi della dittatura militare attraverso la via di un elettorato manipolato come mai prima nella storia del Brasile. Che la formula del PT sia l’unica opzione democratica nelle prossime elezioni non solo è il prodotto della cocciutaggine dei governi e dei leader del PT. Lei è stato presidente, per otto anni, e una certa responsabilità ce l’ha anche lei per questa impossibilità di costruire alternative politiche più di suo gradimento. Il suo delfino, Geraldo Alckmin, se l’è cavata malissimo nella prima tornata elettorale. Per questo un uomo come Lei non può e non deve restare neutrale in questo frangente. Le sue passioni e la sua visibile animosità verso Lula e tutto quello che lui rappresenta non possono giocarle questo pessimo scherzo e obnubilarle la ragione. Lei sa che la vittoria di Bolsonaro darà semaforo verde alle sue truppe d’assalto alla democrazia, alla giustizia, ai diritti umani, alla libertà. Soprusi e aberrazioni che, per terrorizzare la popolazione, già promettono e annunciano senza usare sotterfugi per mezzo di stampa e social network in Brasile. In questo caso la sua neutralità si trasforma in complicità.

Di fronte a tanto grave dilemma, come può Lei dichiararsi fuori da questa battaglia cruciale tra dittatura e democrazia? A volte la vita ci pone in questi scomodi crocevia, e non rimane altro rimedio che scegliere ed agire. Si ricordi che Dante, nella Divina Commedia, riservò il girone più ardente dell’Inferno a coloro che in tempi di crisi morale optarono per la neutralità. Lei, per la sua storia, per ciò che ha fatto, per il suo insegnamento, per la memoria dei suoi maestri deve opporsi con tutte le sue forze alla re-incarnazione della dittatura mascherata da politico mediocre, violento e reazionario che una volta istallato nel Palazzo di Planalto sarà facile preda degli attori più sinistri del Brasile. Il Suo nome, Fernando Henrique, non deve restare scritto tra i complici della tragedia che sta per compiersi nel Suo paese. Mi creda se le dico, fedele ai suoi insegnamenti, che a differenza di Fidel se Lei persiste in questo comportamento, in questa suicida neutralità, la storia non lo assolverà ma lo condannerà e lo tormenterà fino alla fine dei suoi giorni. Contribuisca con la sua parola a che il Brasile esca dal pericolo di iniziare un nuovo – e probabilmente più esteso – ciclo dittatoriale che soltanto aggraverà i problemi che oggi lo tormentano. E poi, allontanata quella minaccia, discuta senza concessioni come migliorare la democrazia nel suo paese; critichi le politiche che propongono Haddad e D’Avila, però prima si assicuri che il suo popolo non torni a cadere negli orrori che con tanta forza Lei ha condannato nel passato. Il suo silenzio, o la sua astensione, saranno implacabilmente giudicati dagli storici del futuro, come già lo sono oggi dai suoi meravigliati contemporanei che non possono capire le ragioni della sua posizione. Ha poco tempo per evitare tanto triste finale e evitare che la neutralità si trasformi in complicità. Ricordo quando, nel mezzo del furore causato dall’auge della teoria della dipendenza Lei esortava i suoi seguaci a non allontanarsi dall’insegnamento di Lenin quando diceva che, prima di chiacchierare superficialmente sul tema, bisognava produrre “una analisi concreta della realtà concreta”. E concludeva quell’osservazione mettendo in guardia dal pericolo che “l’esercizio delle parole serva ad occultare l’indolenza dello spirito”.[3]

Spero che la Sua brillante intelligenza non sia caduta vittima dell’indolenza e prevalga, in questo momento decisivo, sulla forza di alcune incontrollabili passioni che le impediscano di aprire la porta che la separa da Fernando Haddad e evitare che il Brasile sprofondi nell’immondezzaio del fascismo.

*Dr. Atilio A. Boron, direttore del Centro Cultural de la Cooperación Floreal Gorini (PLED), Buenos Aires, Argentina. Premio Libertador al Pensamiento Crítico 2013. www.atilioboron.com.ar Twitter: http://twitter.com/atilioboron Facebook: http://www.facebook.com/profile.php?id=596730002

Note:
[1] Cf. “La democracia en las sociedades contemporáneas”, en Crítica & Utopía, Buenos Aires, N°6, 1982, e anche in “La Democracia en América Latina”, Punto de Vista, Buenos Aires, Nº 12, Abril 1985.

[2] Vedi Autoritarismo e democratização, Río de Janeiro, Paz e Terra, 1975, p. 18.

[3] Fernando H. Cardoso, Ideologías de la burguesía industrial en sociedades dependientes. Argentina y Brasil, Buenos Aires, Siglo XXI, 1971, p. 60.

da https://www.alainet.org/es/articulo/196034

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