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20/10/2018

Caro amico ti scrivo...

L’ultimatum inviato ieri da Moscovici al governo italiano dovrebbe rappresentare un memorandum anche per gli euroingenui di casa nostra e per tutti quelli che, a sinistra, continuano a coltivare l’illusione che, se mai un giorno andranno al governo, potranno mettere in campo politiche espansive e redistributive rimanendo all’interno dell’Unione Europea. Che è un po’ come dire di voler allargare casa senza abbattere nessun muro.

E dire che da un punto di vista macroeconomico la cosiddetta “manovra del popolo” varata da Di Maio e Salvini è tutto fuorché rivoluzionaria o convintamente keynesiana. Infatti, com’era lecito attendersi, la montagna che era stata promessa agli italiani dopo il 4 marzo si è trasformata nel più classico dei topolini. Agli occhi di Bruxelles questo minuscolo roditore ha, però, il maledetto difetto di muoversi nella direzione opposta a quella indicata dal Fiscal Compact, e tanto basta.

Nel giro di poche settimane, pur di far alzare la pressione disciplinante dei mercati (leggasi speculatori), abbiamo assistito allo stravolgimento di ogni protocollo istituzionale e così ogni euroburocrate di stanza a Bruxelles si è sentito in dovere di preannunciare l’imminente catastrofe economica pronta ad abbattersi sull’Italia, fino ad arrivare alla missiva consegnata ieri in cui si denuncia la “deviazione senza precedenti nella storia del Patto di Stabilità”. Non osiamo immaginare cosa accadrebbe “nell’Europa benigna e culla dei diritti umani” se davvero qualcuno provasse ad alzare i salari o a ripubblicizzare i settori strategici dell’economia... apriti cielo!

Molti analisti concordano giustamente nel considerare le prossime elezioni europee come le prime in cui i cittadini proveranno ad esprimersi sull’architettura ordoliberale dell’Unione Europea. Fin da quando si è approdati all’elezione diretta dell’europarlamento le Europee sono state sempre considerate una sorta di elezioni di midterm attraverso cui pesare gli spostamenti negli equilibri interni della politica nazionale e/o ricollocare qualche politico trombato in patria regalandogli una poltrona a Strasburgo. Questa volta però, nonostante l’europarlamento continui a contare più o meno quanto un’assemblea condominiale, queste elezioni rischiano di trasformarsi in una sorta di referendum indiretto sul futuro della UE. Un referendum in cui, purtroppo per noi, a contendere la palla alla grande coalizione europeista (PPE/PSE) ci saranno quasi esclusivamente forze appartenenti all’eterogeneo campo del populismo. Nel nostro Paese questa è ormai quasi una certezza.

I diktat europei hanno infatti regalato alla coalizione giallo-blu la più classica delle situazioni win-win dal punto di vista elettorale. Se riusciranno a far passare la manovra così com’è, potranno dire di aver iniziato quantomeno a mantenere le promesse fatte in campagna elettorale. E, al di là delle analisi più o meno raffinate che possiamo fare noi della legge di bilancio, quando una platea tutta ancora da quantificare di pensionati al minimo e disoccupati inizierà a percepire i soldi promessi, il ritorno di consenso sarà inevitabile. Lo stesso vale per quei lavoratori che potranno andare in pensione prima guadagnando qualche anno di vita. Se invece dovesse prevalere Bruxelles, come con Berlusconi nel 2011, allora si tornerebbe nella comfort zone del populismo, con i poteri forti e le élite a cui addossare i propri fallimenti. Comunque vada non è dunque difficile prevedere un successo elettorale del blocco populista a fine maggio.

Per contro la sinistra (più o meno radicale) è immersa in una condizione lose-lose, e per la prima volta dal 1979 probabilmente non manderà nessuno al parlamento europeo. Dopo essersi autoconfinata in un’opposizione ideologica al “fascioleghismo” si ritrova adesso con l’antirazzismo etico come campo quasi esclusivo di mobilitazione. Una sinistra, ahinoi, capace di “parlare al cuore” del popolo delle ZTL, ma completamente afona se si tratta di interloquire con la pancia del popolo delle periferie e, perdipiù, rannicchiata a litigare con se stessa. L’unica speranza di superare la soglia di sbarramento (4%) sarebbe quella di dar vita ad un listone che tenesse dentro tutto, dagli europeisti entusiasti agli euroscettici, ma così tutti sarebbero costretti a mediare le loro posizioni mantenendo intatta quell’ambiguità sulla UE che è una delle cause del disastro in cui ci troviamo. Se invece dovesse procedere divisa nessuno, probabilmente, riuscirebbe a superare il quorum. Molti si fermerebbero prima ancora, naufragando sullo scoglio delle firme. E anche fuori dai “palazzi” non è che poi la situazione sia più rosea. La traversata del deserto è appena all’inizio.

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