“Siamo molto vicini ad un altro tipo di azione che comprenderà colpi
molti duri. Se Hamas è intelligente, porrà fine alla violenza
immediatamente”. A dirlo è stato ieri il premier israeliano Benjamin Netanyahu
durante la riunione settimanale del suo governo. Commentando le
proteste di venerdì nella Striscia di Gaza durante le quali sono stati
uccisi altri 7 palestinesi, il premier ha dichiarato che
“apparentemente Hamas non comprende il messaggio: se non ferma gli
attacchi, finiranno [con il ricevere] attacchi dolorosi, molto
dolorosi”. Ma Hamas non è stato l’unico obiettivo del premier.
Più tardi infatti, di fronte ad una platea di 140 giornalisti di 40
paesi stranieri, Netanyahu anche criticato il presidente dell’Autorità palestinese Mahmoud Abbas: “Guardate cosa fa: ricompensa i terroristi.
Paga per uccidere: più uccidono, più sono pagati. Ha nei libri di legge
una regola che dice che se tu vendi terra agli ebrei, verrai
giustiziato”.
Dopo aver lodato gli Usa per la recente decisione di spostare
l’ambasciata da Tel Aviv a Gerusalemme, Netanyahu ha poi strizzato
l’occhio agli islamofobi occidentali: “Israele è l’unico paese
nel Medio Oriente dove la comunità cristiana prospera e cresce. Senza
Israele, l’Islam radicale avrebbe invaso facilmente il Medio Oriente.
Israele non solo protegge sé stessa, ma protegge anche i [suoi]
dintorni”. Scontato è stato poi l’attacco a Teheran:
“L’Iran vuole distruggere Israele, lo dicono apertamente, ma noi non lo
permetteremo. Sosterremo queste parole con le azioni. Continueremo a
fare quello di cui abbiamo bisogno per proteggere e difenderci contro
coloro che ci vogliono distruggere”.
Le nuove minacce di Netanyahu su Gaza giungono nelle ore in
cui Tel Aviv ha già di fatto aumentato le pressioni sul lembo di terra
palestinese che assedia da 11 anni: venerdì, infatti, il
ministro della difesa Lieberman ha annunciato “l’immediato” stop ai
rifornimenti di carburante per l’unica centrale elettrica presente nella
Striscia. Una decisione che, avvertono gli ufficiali
israeliani, se dovesse durare per giorni, non farà altro che aumentare
le tensioni e peggiorare la situazione umanitaria dei gazawi, già
definita dall’Onu “catastrofica”. Sabato Lieberman aveva
spiegato che la consegna di gas e carburante riprenderà solo “quando
finiranno le violenze e il lancio di palloncini incendiari [da Gaza a
Israele] e si smetterà di bruciare i pneumatici di fronte alle località
israeliane [al confine]”. Ieri il ministro si è rivolto direttamente ai
cittadini di Gaza esortandoli ad “agire contro la leadership estremista
[Hamas, ndr] che vi tiene in ostaggio al servizio degli ayatollah
[iraniani]”.
Le ultime decisioni di Lieberman peggiorano una situazione già di per sé insostenibile: da mesi ormai gli abitanti di Gaza ricevono solo 4 ore di elettricità al giorno. Sostenuto
dalle Nazioni Unite e dagli Usa e pagato (60 milioni per sei mesi) dal
Qatar, l’implementazione dell’accordo sul carburante era iniziato lo
scorso martedì, ma è stato subito interrotto da Israele venerdì dopo le
proteste. Secondo l’esercito israeliano, infatti, tre giorni fa
almeno 20 gazawi hanno attraverso il confine in un “attacco
organizzato” dopo che un esplosivo aveva distrutto una parte della
“barriera di sicurezza”. Il portavoce militare Jonathan Conricus ha
spiegato che almeno cinque palestinesi che erano riusciti a oltrepassare
la frontiera e che hanno assaltato una postazione militare israeliana
sono stati “respinti”.
Se il premier e il titolare del dicastero della difesa minacciano
nuovi attacchi sulla Striscia, il Gabinetto di sicurezza israeliano
prova a mantenere un profilo più basso: dopo 4 ore di riunione ha ieri
stabilito di continuare i suoi sforzi per raggiungere un accordo con
Hamas mediato dal capo dell’Intelligence egiziana Abbas Kamel e
dall’inviato dell’Onu Nikolay Mladenov. Ufficiali del governo, riporta
il portale israeliano Ynet, hanno detto che “le possibilità di
raggiungere la calma sono più alte di quelle di arrivare ad una
escalation”. “Ma molto dipende da Hamas” hanno poi precisato.
Ma “calma” è una parola sconosciuta a Gaza. Ieri l’aviazione
israeliana ha compiuto un raid nel nord della Striscia contro un gruppo
di palestinesi che stavano lanciando palloni incendiari verso Israele.
Nell’attacco, scrivono i media palestinesi, sarebbe rimasta ferita
almeno una persona a Beit Hanoun. Quattro incendi, riferisce dal canto
suo la stampa israeliana, sono divampati invece nel sud d’Israele a
causa del lancio di materiale incendiario da parte palestinese.
Ieri, intanto, il ministro al turismo israeliano Yariv Levin è
tornato sul caso della 48enne palestinese Aisha Mohammad Talal al-Rabi uccisa venerdì sera a colpi di pietre dai coloni in Cisgiordania. Invece
di accusare gli assassini della donna, però, Levin si è preoccupato di
attaccare gli attivisti di sinistra che hanno osato criticare i settler “per un incidente”.
I gruppi di sinistra sono “ipocriti”, ha spiegato il ministro alla
radio militare, perché stanno sfruttando quanto accaduto per condannare
tout court i coloni ebrei, ignorando però i “frequenti attacchi con
pietre compiuti dai palestinesi che hanno provocato in passato morti e
feriti”. “Gli incidenti terroristici con il lancio di pietre avvengono
tutti i giorni, ma non solo [le organizzazioni di sinistra] non li
condannano, ma danno anche la sensazione che vanno bene perché sono
[fatti contro] ‘occupanti’”. Ma per un ministro che sminuisce, c’è un
intero governo che tace. Eppure non è lo stesso esecutivo che ha imposto
pene durissime in carcere per chi (si legga palestinese) è stato
trovato a lanciare pietre?
Continua, intanto, l’odissea di Lara al-Qasem, la
studentessa americana di origini palestinesi bloccata dal 2 ottobre
all’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv per via della legge israeliana
anti-boicottaggio. Ieri la 22enne ha fatto appello alla Corte
Suprema israeliana per ottenere l’ok ad entrare in Israele per studiare
alla Università ebraica di Gerusalemme. In attesa di una sentenza sul suo caso, il massimo tribunale israeliano ha sospeso per il momento la sua deportazione.
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