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30/10/2018

San Lorenzo mon amour

Quelle appena passate sono state giornate tese, è inutile nasconderselo. Prendendo a pretesto la tragedia della sedicenne Desirée Mariottini attori diversi, a livelli diversi, hanno provato a giocarsi la propria partita politica o economica, tentando di ridefinire la geopolitica romana che da più di 70 anni ha fatto del quartiere di San Lorenzo un simbolo della sinistra di classe. Non ci interessa, in questa occasione, ritornare sulla vicenda di cronaca in sé. Appare evidente, con il passare dei giorni, che il “degrado” e “l’abbandono” in cui è maturato l’omicidio non riguardano solo le baracche di via dei Lucani, ma anche l’ambiente umano che ha portato una ragazzina a perdersi in quel modo. Dev’essere altrettanto chiaro, però, che niente e nessuno può giustificare, e nemmeno attenuare, le colpe di chi si è approfittato ed ha abusato della fragilità di un’adolescente. Mai. Esiste un confine, nemmeno troppo sottile, che separa la bestialità dalla capacità di rimanere umani. Una linea di demarcazione che rimane ben visibile in ogni frangente. E chi la oltrepassa ci è comunque nemico, al di là del suo vissuto, del colore della sua pelle, del passaporto che ha in tasca o della lingua che parla.

Ma come scrivevamo non è su questo, però, che vorremmo concentrare il nostro ragionamento, quanto sulla risposta quasi inaspettata che il nostro “popolo”, la nostra “gente”, ha saputo dare con intelligenza e determinazione in questi giorni disinnescando la trappola in cui avrebbero voluto farci infilare.

San Lorenzo, come abbiamo detto, è molto più di un quartiere, è un simbolo che generazioni di militanti si tramandano come fosse il testimone di un’ideale staffetta. Un simbolo che inevitabilmente ogni volta cambia, muta, evolve, riflettendo le trasformazioni sociali in cui siamo perennemente immersi. Il quartiere dei ferrovieri che impedì ai fascisti di entrare durante la marcia su Roma non c’è più, così come non ci sono più il feudo popolare del Pci del dopoguerra, la base rossa dell’Autonomia degli anni Settanta o la trincea del movimento degli anni Ottanta e Novanta. Frammenti della lotta di classe di questo Paese che nel corso del tempo, però, non sono andati dispersi, ma si sono stratificati in una storia collettiva che va difesa con le unghie e con i denti.

Perché anche se oggi questo simbolo è un po’ sbiadito, un po’ ammaccato e sicuramente afflitto da enormi contraddizioni, mantiene comunque un valore per noi irrinunciabile. E a ricordarcene l’importanza, paradossalmente, sono stati proprio quelli che in questi giorni hanno provato ad appropriarsene e le migliaia di compagni che, quasi spontaneamente, sono invece scesi in piazza a difenderlo.

Il ministro Salvini, quando ha provato a risalire per Via dei Lucani, era ben consapevole del significato di quel gesto, ma al posto della solita claque si è ritrovato, per la prima volta dal 4 marzo, la contestazione di chi ha ritenuto intollerabile che si potesse speculare politicamente su una tragedia come quella di Desirée. Un’ipocrisia davvero insopportabile in un Paese in cui quasi quotidianamente “mogli e figlie” vengono assassinate o brutalizzate, quasi sempre in famiglia, senza che nessuna autorità dello Stato senta nemmeno lontanamente il bisogno di rendere loro omaggio.

Così come deve essere stata altrettanto intollerabile, immaginiamo, l’equiparazione strumentale fatta dai media mainstream fra gli spazi abbandonati dalla speculazione edilizia e quelli liberati grazie alle occupazioni. Anche in questo caso con l’ipocrisia di chi finge di ignorare che senza la Palestra Popolare, ad esempio, oggi al posto dei ragazzini che fanno sport a prezzi accessibili avremmo l’ennesima serranda abbassata o l’ennesimo pub. Oppure, che se qualcuno non avesse deciso di occupare il Cinema Palazzo, ci ritroveremmo con una delle tante Sale Slot intente a spellare qualche ludopatico, invece che con uno spazio di socialità e cultura accessibili per il quartiere e per tutta la città.

Per questo motivo venerdì in piazza e poi in corteo per le vie del quartiere c’erano migliaia di donne e di uomini. Per salutare idealmente Desirée, ma anche per ribadire che il quartiere non può essere rappresentato dalla penna morbosa di un giornalista o dalla voce sguaiata di qualche personaggio in cerca di autore e di cinque minuti di celebrità. Lo stesso motivo per cui il giorno dopo, di fronte alla provocazione di Forza Nuova, altre diverse centinaia di compagni hanno presidiato e affollato il quartiere fin dal mattino sbarrando l’accesso ai fascisti. Perché una cosa dev’essere chiara: San Lorenzo è di chi ci vive quanto di chi la fa vivere ogni giorno costruendo iniziativa politica o sociale. San Lorenzo è un bene collettivo che non ci faremo portare via senza combattere, e queste giornate lo hanno dimostrato.

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