La coincidenza potrebbe essere del tutto casuale ma il risultato non lo è affatto. Negli stessi giorni – sabato e domenica scorsi – il parlamentino di Rifondazione Comunista ha decretato il suo goodbye a Potere al Popolo, mentre Sinistra Italiana ha fatto lo stesso con Liberi e Uguali.
Due esperienze – assai diverse tra loro per composizione, radicamento, programma e finalità – nate entrambe in occasione delle elezioni del 4 marzo, hanno visto così sfilarsi due “azionisti” di relativo peso.
Con qualche interessante, si fa per dire, ricorso storico. Sia il Prc che Sinistra Italiana, frutto della scissione verificatasi al congresso di Rifondazione del 2008 a Chianciano, si ritrovano dieci anni dopo nuovamente in sincronia e in sintonia. Su un progetto strategico che rimetta al centro l’antagonismo di classe nel paese? No, ovviamente. L’orizzonte resta pur sempre una scadenza elettorale: quella delle europee di maggio 2019. E l’obbiettivo non cambia mai: “eleggere” qualcuno, non importa troppo chi, per continuare a sopravvivere.
Uno scenario dunque fin troppo prevedibile, sconsolante nella sua ritualità. Indifferente ai veloci mutamenti economico-politici dell’ultimo decennio – quello della più lunga recessione globale del dopoguerra – agli smottamenti geopolitici e al montare del “rancore sociale” nelle classi popolari.
Una confluenza di intenti che dentro Potere al Popolo era stata individuata e segnalata per tempo, che è stata a lungo negata con sdegno, ma che alla fine si è concretizzata nella separazione non consensuale – ma “naturale” – del Prc rispetto al movimento. Anche se parlare di Rifondazione come una organizzazione unitaria appare spesso del tutto improprio.
L’ultimo Cpn, che ha sancito la “dipartita”, ha nuovamente confermato l’esistenza di ben quattro documenti, corrispondenti ad altrettanti correnti o “sensibilità”. Una assenza di omogeneità interna, di un orientamento comune almeno sul piano della tattica, che per mesi è stata in qualche modo “scaricata” dentro Potere al Popolo, rallentandone in varia misura il processo di definizione, l’attuazione degli obiettivi, la discussione politica. Fino a quando la corda si è rotta.
Tutto questo non ci fa affatto piacere, così come non è mai gradevole arrivare alla rottura di un percorso comune. Gli strascichi – debordanti nei social, assai meno nella società reale e nelle mobilitazioni – sono lì a dimostrarlo.
Eppure, quello che ha diviso questo percorso non è stato tanto quanto avveniva dentro PaP, quanto il rapporto che c’è e deve esserci con quello che “c’è là fuori”, tra la nostra gente, il nostro “popolo”.
Il punto centrale della discussione e delle deliberazioni, sia del Prc (o meglio “dei” vari Prc) che di Sinistra Italiana, sembra essere il continuare a nascondersi che buona parte di questo popolo ha mandato a farsi friggere le varie sigle note della “sinistra” (arcipelago ormai sfuggente a ogni connotazione generalmente condivisa) e in alcuni casi a ritenerle forze ostili ai propri interessi. Come se non fosse problema che li/ci riguarda.
Emerge ancora con disperante evidenza quella coazione a ritrovarsi tra simili, sempre meno e spesso sempre meno simili. A dividersi sulle parole e a ritrovarsi con “contratti a termine” che durano al massimo una campagna elettorale, condotta intorno all’ennesimo “uomo della provvidenza” che magari faccia il miracolo di moltiplicare i consensi. Almeno per un giorno, quello del voto.
In tal senso Potere al Popolo, con la pretesa di fare “tutto al contrario”, è stato il vero miracolo, ma collettivo. Dopo il non entusiasmante risultato elettorale del 4 marzo scorso, per la prima volta dopo oltre dieci anni, è stata rigettata ogni tentazione di liquidazione dell’aggregazione “per passare ad altro”, ovvero per tornare indietro, alle mortifere movenze di un ceto politico espulso quasi ovunque dai palazzi istituzionali, ma incapace di pensare qualsiasi altro modo di “far politica”.
Non aver liquidato Potere al Popolo il 5 marzo è stata probabilmente la variabile che ha fatto saltare molti schemi interpretativi. Ma non per questo sono mancati i tentativi di rallentarne l’evoluzione, di renderlo – per così dire – “biodegradabile” in vista di confluenze più abituali alla “sinistra” fin qui esistente. Anche questa era una dinamica vista e rivista, tanto da farci scrivere fin dall’inizio impediamo che il morto afferri il vivo.
Adesso Prc e Sinistra Italiana sembrano aver ritrovato un terreno comune. Ma il corpo sociale e militante a cui parlano, in questi dieci anni, non solo si è assottigliato, ma si è disperso, spesso travolto da un scetticismo disperato. Pessimismo cosmico che va combattuto nell’unico modo possibile: costruendo un progetto che eviti di rimettere i piedi dove sono stati messi finora, riproducendo esattamente i discorsi di rito che abbiamo visto e sentito sabato e domenica.
Potere al Popolo, in questo contesto, ha funzionato anche da parafulmine. E ha retto alla grande. Si è rivelato un soggetto non biodegradabile, “alieno” proprio perché vuol tenere lontana questa vuota ritualità, per recuperare invece una funzione di rottura del quadro esistente. Di cui si sono perse le tracce da troppo tempo, lasciando che fossero la destra o il “grillismo” a conquistare temporaneamente l’immaginario – e il consenso – di una gran parte nostro blocco sociale.
Prc e Sinistra Italiana faranno probabilmente ancora una volta una lista elettorale per le europee, diramando i soliti appelli all’“unità” momentanea tra piccole organizzazioni gelose della propria diversità. Non è la prima, ma non siamo disposti a scommettere che sia l’ultima. Una lista che punta a strappare per il rotto della cuffia qualche europarlamentare, ma che entrerebbe subito in sollecitazione se nel Pd dovesse prevalere Zingaretti invece che un Renzi boy o Minniti. E quindi ricominciare un altro, solito, giro di giostra di scomposizioni/ricomposizioni senza progetto. Fino a quando i militanti, gli uomini e le donne più attive non resteranno di nuovo frastornati – e stomacati – da questo continuo ritorno al passato.
In Europa si vanno preparando tempi di ferro e di fuoco. Gli apparati dell’Unione Europea risultano incapaci di concepire un altro tipo di governance. Quella fin qui operante ha fatto dilagare un senso comune “rancoroso” anche tra la nostra gente. Una rabbia sorda e spesso cieca, incapace di riconoscere il proprio vero nemico, facile preda delle “distrazioni di massa” continuamente fornite da media servili e politici dal fiato corto. Un individualismo spaventato, rinchiuso tra quattro pareti, che indebolisce le istanze collettive di resistenza ed emancipazione. E su cui le destre riescono ad agire da pifferaio, specie dove “la sinistra” si è ridotta a un ceto politico estraneo.
Davanti a questo quadro occorre saper accettare sfide al di sopra e al di fuori delle liturgie. Potere al Popolo è nato per questo e sta iniziando a sperimentare il percorso per portare questa sfida fino in fondo. Molti compagni del Prc l’hanno capito, altri no.
Fonte
Nessun commento:
Posta un commento