La provocazione politica ordita ieri contro Jean Luc Mélenchon e la France Insoumise, ma con ogni probabilità preparata da tempo, rischia di divenire un gigantesco boomerang per Macron.
Ad un anno e mezzo dall’inizio della sua presidenza e dell’affermazione di En Marche! si trova ai suoi minimi storici di consenso secondo i sondaggi, avendo fallito tra l’altro nei suoi obiettivi dichiarati di “moralizzare” la vita politica e di nominare un governo “che duri”.
Il presidente dei ricchi ha visto scoppiare numerosi scandali che hanno coinvolto il suo più stretto entourage, ha conosciuto numerose defezioni tra i suoi fedelissimi e le persone “più popolari” del suo staff governativo, ha dovuto procedere a numerosi “rimpasti” di cui l’ultimo realizzato proprio ieri, ormai avendo palesemente esaurito le risorse umane che aveva a disposizione.
Oltre a questo, si ritrova di nuovo le piazze piene per contrastare le scelte da lui operate, come è avvenuto il 9 ottobre o a più riprese di recente sulla questione ambientale, dopo le dimissioni del suo ministro per la transizione ecologica.
Sul piano internazionale, il rilancio dell’asse franco-tedesco si era già arenato lo scorso anno a causa delle difficoltà incontrate dalla “GroKo” in Germania (Grosse Koalition tra Cdu e Spd); problemi tutt’altro che risolti come dimostrano le recenti elezioni in Baviera che hanno fortemente penalizzato due tra le formazioni principali che la compongono.
Allo stesso tempo il tentativo di Macron d'esportare il modello En Marche! per le prossime elezioni europee, cambiando le geografie degli schieramenti così come era riuscito a fare nell’Esagono, è fallito anche a causa della mancanza di una solida base impiantata a Bruxelles.
Di fronte a questo isolamento all’interno e all’esterno, il movimento guidato da Jean-Luc Mélenchon aveva apertamente lanciato la sfida, questa fine estate, al proprio meeting di Marsiglia, in cui veniva specificata la strategia di trasformare le prossime elezioni europee in un referendum contro Macron e contro le sue “politiche fotocopia” imposte dall’Unione Europea.
E proprio lunedì Mélenchon ribadiva che era “pronto” a governare, sicuro della scossa tellurica che verrà data dalle urne a Macron il maggio prossimo...
In questo contesto proprio la France Insoumise si stava affermando come polo in grado di coagulare all’interno di un rinnovato “Fronte Popolare” un arco di forze abbastanza trasversale e soprattutto di catalizzare l’interesse di quel blocco sociale tradizionalmente “escluso” dai meccanismi della rappresentanza, come gli abitanti dei quartieri popolari oggetto di una campagna mirata; la proposta di un “contre-budget” per l’anno prossimo raccoglieva le istanze di questo blocco trasformandole in programma di governo insieme alla questione ecologica, divenuta sempre più perno della proposta degli insoumis.
Quindi la scelta dei tempi per questo colpo di teatro – da parte di Macron – era stata perfetta, tesa a screditare ed intimidire prima che FI preparasse al meglio la “spallata” per le europee.
Un giorno dopo l’esposizione al pubblico del documento di programmazione economica alternativo proposto dalla France Insoumise, in contrapposizione a quello della maggioranza del leader di LREM – il “contre-budget” appunto – pochi giorni dopo l’uscita dell’eurodeputato Maurel e della senatrice Lienemandal dal Partito Socialista per convergere su France Insoumise; e dopo la decisione di Jean-Luc Laurent del Mouvement Républicain et citoyen di partecipare alla ricerca di una lista comune con la FI (una scelta che Maurel, in una intervista a “Le Monde” di sabato 13 ottobre, dichiara sarà seguita da centinaia di quadri e di eletti locali nelle fila del PS) scatta la “rappresaglia” per i successi politici ottenuti.
Successi ormai in grado di proiettare una alternativa come possibilità concreta, mentre il PCF appare ormai ripiegato su sé stesso dentro una cornice identitaria senza sbocchi, il movimento Génération.s di Benoit Hamon non è decollato e il Partito Socialista resta in crisi cronica, amputato della sua ala sinistra.
Ma la determinazione di Mélenchon e degli altri dirigenti nel saper respingere questa provocazione, denunciandone i connotati politici sotto il pretesto di due inchieste giudiziarie (i Pm, in Francia, dipendono dal governo, non sono “indipendenti”), rischiano di mandare in tilt la strategia macroniana, rendendo evidente ai più questo maldestro tentativo di liberarsi del suo più temibile avversario e ridurre il consenso di cui gode.
Il leader di France Insoumise è un avversario che peraltro ha ispirato un arco di forze europee non proprio gradite alle oligarchie continentali, il cui interesse per le politiche ha travalicato la Manica durante il festival politico collaterale all’ultimo congresso dei neo-laburisti di Corbyn.
C’è da chiedersi: una rappresentanza politica che ha guidato il processo d’integrazione europea, ora in forte crisi, e che sembrava aver trovato in Macron il suo enfant prodige per dare nuova linfa al progetto, quando può sopportare di vedersi tra i piedi un Mélenchon?
La FI di fronte alle intimidazioni ha saputo reagire e chiamare all’appello i propri militanti, per difendere e “riprendersi” le sedi perquisite sia di FI che del Partie de Gauche (in Francia, a quanto pare, i partiti di sinistra sanno come stare in un movimento più ampio...), mostrando lo stato dell’arte della democrazia in mano a Macron.
Di fronte alla pressante richiesta di spiegazioni rispetto al ruolo del suo pretoriano Benalla, coinvolto nel pestaggio di alcuni manifestanti durante la mobilitazione del Primo Maggio, insieme ad uno stipendiato di LREM, Macron aveva detto con spocchia: “che mi vengano a cercare”.
“Lo Stato sono io”, in pratica.
Non c’è migliore rappresentazione plastica delle immagini che sono apparse durante tutta la giornata di “contrapposizione” tra deputati con la fascia tricolore che gridavano “Resistenza, Resistenza” e che più volte hanno sfiorato la bagarre con le forze dell’ordine che occupavano le sedi, per simboleggiare non solo la fine definitiva della narrazione macroniana, ma la crisi definitiva del presidenzialismo della Quinta Repubblica, che è ormai una monarchia repubblicana in cui un autocrate risponde solo a se stesso e coltiva spudoratamente i propri affari.
Lo stato d’eccezione permanente da ieri è attuato non solo per gli abitanti delle periferie, per i contesti di resistenza territoriale o di combattività operaia, o le “ex” colonie, ma per l’opposizione istituzionale tout court.
Vi ricordate le parole dell’Odio di Kassovitz girato a metà anni Novanta?
Il problema non è la caduta, ma l’atterraggio...
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