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12/11/2018

Savona - La situazione di Bombardier

L’esito della riunione di ieri, 9 novembre, svoltasi nella sede di quello che un tempo era indicato “Ministero dell’Industria”, sembra aver segnato quasi una china senza ritorno per lo stabilimento Bombardier di Vado Ligure: quello nel quale un tempo aveva sede il Tecnomasio Italiano Brown Boveri, una delle fabbriche più avanzate d’Italia nel campo della trazione ferroviaria.

L’augurio naturalmente è quello di recuperare, magari in extremis, una soluzione di sopravvivenza per l’intero ciclo dell’unita produttiva.

Non si possono però nascondere i fondati timori circa la sparizione di una delle ultime presenze realmente industriali nella provincia di Savona.

Tocca ripetere litanie e giaculatorie tante volte biascicate nel corso degli anni.

Il punto di caduta, nel tempo, probabilmente va fatto risalire già alla “fuga dei cervelli” alla Scarpa & Magnano nel 1960 in conclusione del processo d’ingresso di Magrini in conseguenza alla dismissione oppure alla cessione di Ferrania alla 3M.

Iniziò in allora il decadimento di punti fondamentali dell’industria savonese sul terreno decisivo dell’accumulo di know–how.

Irruppe a quel punto l’idea dello scambio tra industria e speculazione edilizia: ciò avvenne prima nel corpo vivo del tessuto urbanistico della Città, aggredendo in precedenza il Porto e successivamente il Quartiere Operaio e ancora in seguito la Valle di Vado dove tutto è stato sacrificato al demone del consumismo.

Chiudeva così la sua storia non soltanto la presenza operaia in quanto tale, ma la stessa possibilità per la nostra area geografica di viverne, prima di tutto l’etica, e in secondo luogo di stare al passo del nostro territorio con il processo dirompente dell’innovazione tecnologica.

In aggiunta il drammatico conflitto lavoro/ambiente, sviluppatosi prima di tutto in Val Bormida con la vicenda ACNA, assurta addirittura a dimensione europea della vitale questione dell’ambiente assieme ad altri stabilimenti dal richiamo emblematico: dall’ICMESA alla Farmoplant.

Responsabilità enormi gravano sulla memoria delle istituzioni e del mondo politico savonese: non solo ritardo nel comprendere, sottovalutazioni, negligenza ma anche e soprattutto il fantasma della “questione morale” anni’80 il cui sviluppo concreto fu quello di definire proprio una “svolta” sul terreno della presenza industriale.

Nacque lì, nella logica perversa dello “scambio politico” e nel cuore del nesso tra “questione morale” e “questione politica” l’idea dello smantellamento dell’industria, dell’assunzione della logica trasportistico – turistica della quale scaturì la vicenda, triste, delle Crociere che rimane emblematica come segno del degrado della Città e di conseguenza delle sue aree circostanti.

Il sindacato ha per così dire “assistito” non trovando, dopo la grande stagione giocata in difesa negli anni’50, la capacità propositiva necessaria per imporsi fino in fondo: quanti incontri, quanti convegni, quante proposte mai arrivate a diventare programma politico fin dalla perdita della possibilità di disporre di un’area industriale (Corso Ricci /Albisola Superiore?) e dello scambio clientelare per lo stabilimento FIAT di Vado durato in attività quindici anni perché legato soltanto a una monoproduzione: 15 anni tanto quanto può durare un negozietto di frutta e verdura.

Sono storie antiche: ripenso alle occasioni nelle quali si discusse, anche in convegni ufficiali alla presenza delle istituzioni che pareva “contassero”, della riconversione dell’ILVA nel campo della componentistica; fino ad arrivare poi alla finta privatizzazione propedeutica a quello che è stato definito “ll fallimento perfetto”. Aperta così la strada a Bofill, Crescent e quant’altro fino al “mostro” del Molo 844 sorto dove sorgevano Fornicoke (sacrificata in nome della geopolitica) e dell’APE, per difendere la quale scese persino a Vado Dario Fo in un memorabile spettacolo in quello che era allora il cinema Ambra. Non fu quello, del resto, il solo intervento di Dario Fo in sostegno delle lotte operaie a Savona e dintorni.

Ho rievocato tutto questo soltanto per ricordare come la storia sia stata costruita nel tempo e che oggi vediamo arrivare al pettine gli ultimi nodi residui.

Attenzione: è proprio esponendo questa carrellata all’indietro che non si deve proporre soltanto un richiamo alla nostalgia, ma di guardare comunque avanti: a quel futuro che deve esserci anche nell’industria e che ci è stato, per un lungo periodo, colpevolmente sottratto.

Bombardier paga un ritardo antico, mai colmato: il tema della qualità della tecnologia è sempre stato via via sempre più determinante nella lotta con un capitalismo vieppiù multinazionale, finanziarizzato e rispondente a logiche spesso poco comprensibili in un territorio diventato periferico come il nostro.

Il richiamo di oggi è ovviamente al massimo di mobilitazione possibile, cercando però di comprendere dove stanno i praticabili punti di attacco, dove impostare prima di tutto un discorso di riqualificazione restando attaccati alla destinazione d’uso delle aree come fattore essenziale: certo che se guardiamo a iter ed esiti della tanto reclamizzata “area di crisi industriale complessa” c’è da rimanere sgomenti.

Per chi lotta comunque, vale ancora una volta citare il Gramsci dell’ottimismo della volontà.

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