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16/11/2018

“L’Italia sta finendo”? Previsioni su un terremoto politico

“L’Italia è finita”? La domanda non è affatto paradossale, almeno non lo è per Pino Aprile saggista e meridionalista, giù autore di diversi libri tra cui “Terroni” del 2010. Il nuovo libro ha un titolo che contiene appunto una domanda pesante, se cioè l’Italia come l’abbiamo conosciuta stia ormai “finendo”, cambiando fisiologia, struttura istituzionale e geografia sociale ed economica.

Come i lettori di Contropiano sanno, o dovrebbero sapere perché abbiamo suonato l’allarme ripetutamente, in questi giorni il governo sta decidendo, sul “regionalismo differenziato”, un processo di disgregazione e secessione reale che può distruggere lo Stato fino a ieri chiamato Italia.

Si è ormai consolidato un “blocco del nord” che non vede coinvolta solo la Lega ma trova d’accordo tutti i partiti nel settentrione. I governi regionali a trazione leghista ma anche i gruppi consiliari Pd di Lombardia, Veneto, Emilia Romagna hanno appoggiato le richieste leghiste di autonomia regionale delle tre regioni dove si concentrano l’80% dell’export e del valore aggiunto prodotto nel paese.

L’autore de “L’Italia è finita”, ha coniato la categoria di “Piddini per Salvini”. Ma sottolinea come anche al Sud, ci sia un succube silenzio. Anche il M5S sottovaluta il pericolo, e viene sempre l’angoscia a cercare di capire se lo fa per disattenzione, incapacità o peggio ancora complicità.

Nei prossimi giorni, il governo dovrebbe ratificare l’accordo per lasciare al Veneto, il 90% delle tasse nei prossimi cinque anni. E dopo il Veneto toccherà a Lombardia ed Emilia Romagna. C’è da aspettarsi che anche qualche notabile del Sud sia tentato da questa ipotesi. Del resto, la prima Forza Italia aveva ipotizzato nel 1994 di fare della Sicilia una “zona franca” per attrarre capitali con un regime fiscale e doganale sganciato da quello statale (su quali capitali dovessero arrivare vengono i brividi solo a pensarci).

Secondo l’autore, lo Stato dovrebbe quindi arrangiarsi con il residuo delle tasse rimaste per gestire il paese, dalle Forze armate all’economia. E sarebbe la fine dell’Italia. Dopo la Brexit, con l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea che avvia il declino dell’Europa, la disgregazione dell’Italia avvierebbe quella degli Stati nazionali.

Quindi l’Italia è diventato un laboratorio, o meglio una cavia per tendenze disgregatrici che agiscono sul piano europeo e sul piano interno. Pino Aprile cita quello che viene definito come il Rasputin di Salvini, il quale afferma che “Roma è attualmente il centro della politica mondiale”; sono parole di Steve Bannon, consulente di Trump e ora di Matteo Salvini. “Ci sarà un vero terremoto: l’Italia fa paura”.

L’autore, da coerente meridionalista, ricorda che “per dare uno Stato a una nazione, l’Italia agli italiani, ci volle un genocidio (centinaia di migliaia di morti, deportati, incarcerati, che la nostra storia ufficiale ancora tace), figurarsi dare una nazione a uno Stato, vedi la Turchia (quelle “superflue” espulse o eliminate, dai greci d’Asia minore al genocidio armeno, che lì la storia ufficiale ancora tace)”.

L’autore cita poi un documento del 2013 sul sito della London School of Economics che prevedeva la fine dell’Italia entro 10 anni. A fine 2017, la MacroGeo, agenzia di consulenze su rapporti fra politica e finanza, spiegò in un dossier, che fra Stati nazionali ed euro, la Germania salverà l’euro, costruendo un’area “forte” in cui, dell’Italia, entreranno solo le regioni del Nord. Il resto si può buttare via, si può “meridionalizzare” rendere simile alla Grecia devastata dagli effetti dei memorandum europei.

Uno scenario questo niente affatto inverosimile, visto che nelle statistiche internazionali, quando si usano dei parametri per i raffronti con altre economie avanzate (Usa, Giappone, Cina etc,), si usa quello dell’”Europa a 4”, dove per Europa si intende le regioni del Rhone Alpes, Catalogna, Baden Wuttemberg... e Lombardia.

Con il riconoscimento dell’Autonomia veneta si assiste ad una velocizzazione: ben 23 competenze dello Stato (tra cui scuola, trasporti, sanità, eccetera) e le relative risorse, saranno trasferite dallo Stato centrale alla regione. Se per ogni studente, malato, pendolare italiani si spende x, invece di farlo Roma, lo farà Venezia. Il trucco? Il Veneto lega l’entità delle risorse non ai bisogni “uguali per tutti”, ma al “gettito fiscale”. “Ovvero più diritti ai ricchi, una ceppa ai poveri” chiosa l’autore in giorni in cui la “ceppa” sembra essere entrata nel linguaggio politico (vedi Di Maio versus Salvini sugli inceneritori in Campania).

Non solo. Ci saranno i concorsi regionali per gli insegnanti: per passare dal Veneto alla Sicilia ci si dovrà dimettere e fare uno nuovo concorso “in Italia”. Sulla sanità, il giudizio del presidente dell’Ordine dei medici è lapidario: “così muore il sistema sanitario nazionale”. Da 17 anni (2001), si evita di definire il valore dei Lep, livelli essenziali delle prestazioni uguali per tutti. Se non sai il loro costo, come stabilisci quanto dare a ogni Regione per quei servizi?

Fino ad oggi, l’unica reazione è stata un appello di decine di docenti universitari ai presidenti della Repubblica e delle Camere (“No alla secessione dei ricchi”) sottoscritto da 13mila persone, soprattutto nel Meridione. A rendere questo appello meno convincente del necessario è la storia di alcuni suoi promotori come il prof. Viesti (uno di quelli che con l’Ulivo voleva fare del Meridione una nuova Florida e invece ne hanno fatto un Messico, ndr).

Ma il problema c’è e c’è anche il pericolo. L’autore aggiunge alla sua inquietante domanda – L’Italia è finita? – anche un inquietante sottotitolo: “E forse è meglio così”. Una considerazione perentoria ma che tutto si può fare tranne che sottovalutarla, e magari organizzarsi per impedire una deriva pericolosa.

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