Erano
in molti a domandarsi che fine avesse fatto il Berlusconi che faceva il
cucù alla Merkel e concionava contro gli altri leader europei. Al
contrario, negli ultimi anni, e soprattutto nei quindici mesi del
governo M5S/Lega, Berlusconi ha svelato uno spirito “europeista” che non
gli era consono. L’adesione di Forza Italia al Partito Popolare
Europeo, che gli assicurò la nomina di Tajani a presidente del
parlamento di Strasburgo, ha visto via via attenuare ogni critica ai
rigidi vincoli politici ed economici che, in passato, lo vedevano
tuonare contro chi gli impediva di agire per aumentare il “benessere”
del paese.
Difficile
immaginare una fulminazione sulla via di Damasco. Laggiù fischiano
pallottole vere e non pare luogo idoneo per riconversioni. Semmai la
fulminazione è avvenuta leggendo i bilanci della sua azienda di famiglia
– Mediaset – e di come per aumentare capitale, fatturato e profitti
occorresse integrarla nel contesto delle aziende europee. Insomma
l’orizzonte della Brianza non era più adatto alle esigenze del business.
La
dimostrazione è venuta ieri dall’assemblea degli azionisti dove è
passata, sia in Italia che in Spagna il maxi riassetto di
Mediaset per creare una holding di diritto olandese: la Mfe.
Senza grandi colpi di scena, a Cologno Monzese si è espresso a favore il
78% del capitale azionario presente, contro il 21%, in gran parte
rappresentato dalla quota di azioni di Vivendi, la multinazionale
francese per la prima volta ammessa a votare sulle scelte di Mediaset.
Ma con qualche scortesia che ha creato tensioni tra i “partner”.
Il
Consiglio di Amministrazione di Mediaset, non consente infatti al 19,1%
di Simon Fiduciaria di partecipare al voto, ed ha invece spianato la
strada a Fininvest, che con il 62,5% del capitale presente, ha avuto
gioco facile nel far passare la delibera, pesando per il 73% degli
azionisti presenti, oltre i due terzi degli aventi diritto.
Il
voto ha dato così il via alla fusione tra Mediaset e Mediaset Espana
che culminerà nel progetto di un gruppo radiotelevisivo paneuropeo per
assumere una posizione di leadership nei mercati di riferimento e fare
nuove alleanze.
Se
Mediaset avesse permesso a Simon Fiduciaria di votare, la fusione
transfrontaliera non sarebbe stata approvata. Vivendi si era rivolta al
tribunale contestando l’esclusione della sua longa manu dentro
Mediaset ed ha dichiarato che “L’assemblea è illegale”, annunciando
ricorsi “in tutte le giurisdizioni e i paesi per contestare la proposta,
sia in base alle leggi nazionali che europee”. Ma il presidente di
Mediaset, Fedele Confalonieri ha ribattuto che “L’assemblea è
perfettamente legale e allineata alle disposizioni del Tribunale”,
affermando che le mire di Vivendi erano proprio quelle di dare vita – in
proprio – alla holding Mfe. Per questo, sostiene Confalonieri, Vivendi
si è opposta con tanta veemenza alla fusione, sottolineando che nel
farlo si è venuta a trovare in una tipica situazione di conflitto di
interessi (do you remenber? Ndr), cioè “quella del socio che giudica una
proposta non in base all’interesse sociale ma al proprio diverso
interesse personale”.
Da
parte loro, i rappresentanti di Vivendi nell’assemblea degli
azionisti Mediaset hanno denunciato la fusione sostenendo che “avrà come
effetto quello di annichilire le partecipazioni di minoranza” e che il
suo obiettivo “è essenzialmente quello di consentire a Fininvest di
determinare i consiglieri per l’Europa intera e controllare tutte le
delibere”.
Problemi
interni agli equilibri tra gli azionisti di una azienda che, al di là
delle antiche pruderie del suo padrone, ha compreso che il processo di
concentrazione capitalistico in Europa è il terreno sul quale si farà e
si vedrà la differenza con il passato. L’europeismo degli azionisti è
più solido di quello degli allocchi.
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