Il governo di Mauricio Macri, campione del neoliberismo più estremo, terminerà il suo mandato a dicembre 2019 con poche possibilità di essere rieletto. Macri, il delfino dei poteri forti internazionali, aveva impostato la propaganda pre e post-elettorale prima della propria legislatura su tre promesse ‘slogan’ finalizzate ad infarcire un programma di puro attacco agli interessi delle classi popolari:
1. lotta contro il traffico di droga;
2. azzeramento della povertà;
3. riunire gli argentini in una società profondamente divisa.
Si è trattato, ovviamente, di tre slogan del tutto vuoti. Il primo, quello della lotta al traffico di droga, è una consueta parola d’ordine usata ad arte in numerosi paesi sudamericani come grimaldello ideologico per favorire le ingerenze statunitensi. Con la scusa della lotta al narcotraffico gli Stati Uniti hanno al contrario favorito i grandi traffici di droga che dilaniano le società sud-americane e influito pesantemente, anche tramite questa via, sulla vita socio-politica dei paesi. Emblematico il caso della Colombia.
Il secondo e il terzo slogan risuonano come mere bugie utili a nascondere quel programma neoliberista interamente basato sull’esplicito obiettivo di accrescere la povertà e le disuguaglianze sociali. Dietro lo slogan di “unire gli argentini”, in sintonia con quanto storicamente accaduto con tutti i governi dittatoriali o democratici di destra, si è cercato di colpire il peronismo come movimento popolare. Vale la pena ricordare che la storia del movimento peronista, ispirato alla figura del presidente argentino Juan Domingo Peron, è il risultato di un connubio di ideologie ed anime estremamente differenziate, che tuttavia, in estrema approssimazione, al di là degli esiti storici contraddittori e della involuzione conservatrice del secondo Peron nella storia argentina, può dirsi ispirato idealmente ad una visione sociale dell’economia, una promozione degli interessi del lavoro e una difesa della sovranità nazionale dalle ingerenze imperialiste. Elementi, almeno sulla carta, in parte ripresi in modo sfumato anche dal neo-peronismo di oggi.
La lotta ideologica e politica di Macri contro il peronismo è passata per una martellante propaganda mediatica sulle presunte condizioni di decadenza economica del paese attribuite al governo precedente (2003-2015) di Christina Kirchner. Il ritornello usato dal neoliberista Macri è stato quello di una “bomba” sociale in procinto di esplodere lasciata in eredità dai peronisti accusati di spendere e spandere in barba alla disciplina finanziaria (una storiella non troppo diversa da quella raccontata per i paesi mediterranei...).
Oltre agli aspetti propagandistici, nei fatti, il governo Macri ha deciso di applicare praticamente lo stesso piano economico dell’ultima dittatura civile-militare, il cui principale protagonista economico fu José Martínez de Hoz. Un programma tragicamente seguito alla lettera da diversi paesi dell’America Latina negli anni ’70, fedelmente tracciato dalle scuole neoliberiste facenti capo ai cosiddetti Chicago boys, riprodotto meticolosamente dal presidente argentino: svalutazione della divisa nazionale per favorire le imprese esportatrici; riduzione delle imposte sulle esportazioni (aventi il merito storico di tenere bassi i prezzi interni in particolare dei prodotti agricoli), con un immediato effetto di aumento dei prezzi dei prodotti alimentari; liberalizzazione delle tariffe dei servizi pubblici con susseguente aumento dei prezzi; incentivo alle importazioni, che ha generato un drammatico aumento del debito estero (contratto in valuta estera). Come conseguenza di questa politica si è avuto un rapido aumento della disoccupazione. Allo stesso tempo è stata adottata una politica monetaria di aumenti continui dei tassi di interesse. La conseguenza, voluta, di questa politica è stata una riduzione dei salari reali e un aumento dei profitti delle imprese, in particolare, del settore agricolo, bancario e finanziario. Per afferrare in modo immediato i risultati deleteri conseguiti dall’agenda neoliberista del governo Macri può essere utile osservare la tabella sottostante, che riporta degli indicatori economici relativi al 2015 (alla fine del governo Fernandez) e nel 2019. Si nota come nell’era Macri vi sia stato contestualmente un aumento della disoccupazione, del debito estero, dell’inflazione e del tasso di interesse a tutto vantaggio dei profitti d’impresa.
Indicatore economico-sociale | Governo Cristina Fernández de Kirchner (dati 2015) | Governo Mauricio Macri (dati 2019) |
Tasso di disoccupazione | 5,6% | 10,1% |
Incidenza della povertà (% della popolazione totale) | 29,2% | 35% |
Debito estero netto (espresso in % del PIL) | 18,1% (dato 2013) | 48% |
Tasso di inflazione medio annuo | 30% | 60% |
Tasso di cambio (quanti Pesos argentino per un Dollaro americano) | 9,84 | 57 |
Tasso di interesse medio annuo | 30% | 75% |
‘La migliore squadra degli ultimi 50 anni’, così come ama definirsi l’attuale governo argentino, ha peggiorato dunque tutti gli indicatori economici e sociali esistenti.
Malgrado l’evidente fallimento sociale ed economico di Macri, l’esito delle elezioni dell’11 agosto deve essere considerato una sorpresa. Il governo Macri, infatti, ha beneficiato del supporto assoluto dei grandi gruppi di comunicazione, in particolare il gruppo Clarín (TV, giornali, Internet, telefonia cellulare). Il governo godeva pertanto di una sorta di “protezione mediatica” che rendeva le critiche pressoché inesistenti o relegate a canali di informazione secondari. Tutti i media in effetti pronosticavano con grandi probabilità una rielezione di Macri e incolpavano il precedente governo della situazione economica del paese. Alla fine, la realtà del disagio popolare ha prevalso e il duo Fernández-Fernández ha ottenuto il 49,49% (12 milioni di voti circa) mentre il duo Macri-Pichetto si è fermato al 32,9% (8 milioni di voti circa), ribaltando radicalmente i risultati delle precedenti elezioni.
Dopo le elezioni primarie, la compagine governativa è entrata nel caos. In primo luogo, il risultato ha determinato una reazione immediata del settore finanziario che aveva entusiasticamente appoggiato Macri sin dall’inizio della sua ascesa, con il crollo degli indici borsistici nel giorno di apertura dei mercati. Ciò ha generato una corsa alla vendita del Peso argentino che il governo non ha potuto fermare. Inoltre, i risparmiatori hanno cercato di ritirare quanto più possibile i loro risparmi in dollari, facendo così cadere le riserve estere di dollari (detenute dalla banca centrale argentina). Ciò ha contribuito ad un’ulteriore svalutazione del Peso, al fronte di rinnovati timori circa la capacità dell’Argentina di far fronte agli obblighi in valuta estera. Il governo, quindi, è entrato nel panico e ha stabilito di posticipare il pagamento dei titoli del debito pubblico in scadenza per frenare in qualche modo la picchiata del Peso argentino, temendo che la maggiore liquidità in Pesos in circolo derivante dal rimborso a scadenza dei bond venisse convertita in dollari. Si è trattato, di fatto, di un ‘default selettivo’ così come lo hanno definito le agenzie di rating. Ciò ha dato luogo ad un avvitamento della situazione sfociata infine nella decisione del Fondo monetario internazionale di non erogare una parte dei prestiti concordati prima con il paese. Il governo, dopo un paio di giorni di stallo, ha infine applicato un controllo diretto sulla valuta. Una delle misure che era stata tra le più criticate nei confronti del precedente governo perché giudicata “limitativa delle libertà individuali” (il governo Kirchner aveva stabilito il controllo dei cambi dal 2011 al 2015), è stata puntualmente attuata in condizioni emergenziali dal governo Macri.
In questo scenario si inseriscono anche le relazioni con il Fondo Monetario Internazionale (FMI). Durante l’ultimo anno di governo Macri (nello specifico, dal giugno 2018), l’FMI ha concesso all’Argentina 45 miliardi di dollari: si tratta di una cifra record per l’FMI, mai prestata prima in un solo anno ad un paese. Anche per questo motivo l’Argentina è diventato il primo paese debitore del Fondo, i cui vertici hanno recentemente dichiarato che, tuttavia, per la prossima tranche di aiuti occorrerà attendere l’esito delle elezioni di ottobre. Un ulteriore capitolo di una triste storia di ingerenza da parte delle istituzioni finanziarie internazionali, capitanate proprio dal FMI, che da molto tempo considerano l’Argentina un vero e proprio laboratorio preferenziale per l’attuazione di riforme neoliberiste.
Questa fase caotica precede e prepara il momento fatidico delle elezioni del 27 ottobre quando i due poli si affronteranno nuovamente e verrà determinato l’esito delle elezioni generali.
Da un lato Mauricio Macri e Miguel Angel Pichetto, i campioni del neoliberismo, fedeli servitori degli interessi stranieri e dell’imperialismo economico statunitense, sostenitori di un programma politico-economico che ripropone le ricette devastanti già sperimentate sino ad oggi: indebitamento estero, aumento della dipendenza del paese dal commercio internazionale, ulteriore riduzione dei salari e dello Stato sociale, riduzione delle imposte sul capitale, in particolare sui grandi gruppi agrari e il settore finanziario. Una piattaforma esplicitamente orientata a colpire gli interessi delle classi popolari.
Dall’altro lato Anibal Fernandez accompagnato da Chirstina Fernandenz de Kirchner si presentano come il volto moderato del peronismo alternando in un equilibrismo precario propositi di progresso sociale e un moderatismo di politica economica non esplicitamente dirompente rispetto agli equilibri attuali. Del resto il grado di libertà della politica economica del paese è strettamente legato ai problemi della bilancia dei pagamenti dovuti ad una forte limitazione di valutazione estera in dollari ed ai problemi di indebitamento con il Fondo monetario internazionale vero cavallo di Troia usato dagli USA come strumento di ingerenza nello sviluppo del paese.
La possibilità, nel caso di vittoria elettorale, dei neo-peronisti di portare avanti una significativa politica di progresso sociale ed economico delle classi subalterne dipenderà dalla volontà e capacità di far uscire il paese dalla propria posizione di subalternità e dipendenza dagli USA e dal commercio internazionale, che nel quinquennio del governo Macri si è gravemente approfondita facendo tornare l’Argentina agli anni bui della crisi del 2001.
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