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14/09/2019

Il “Grande Nord” cala la maschera: qui comandiamo noi

“Cambiare l’Unione Europea” è impossibile, parola di Jens Weidmann e di tutti i paesi del Grande Nord...

Di solito, i contrasti di vedute tra i vari governatori delle banche centrali sono sapientemente occultati sotto una melassa di considerazioni prudenziali svolte in linguaggio “tecnico”. Di modo che gli addetti ai lavori capiscano l’antifona, ma non abbiano appigli per trasformare una “considerazione tecnica” in un “attacco politico”.

Questa consuetudine è morta ieri, all’indomani della scontata decisione di Mario Draghi, presidente della Bce in uscita, di riaprire i rubinetti del denaro, nel disperato tentativo di usare ancora una volta la politica monetaria in sostituzione di quelle fiscali, economiche ed industriali (bloccate dalle “regole europee”, ovvero dagli interessi dei gruppi industriali multinazionali di matrice tedesca, olandese e in parte anche francese).

Si sapeva ad esempio che Jens Weidmann, governatore di Bundesbank, non avesse mai apprezzato l’azzeramento dei tassi di interesse, gli acquisti di titoli di Stato e i tassi negativi sui depositi, in atto da anni per volere della Bce “draghiana”. Ma le parole usate stavolta sono veramente off topic per un consumato diplomatico del denaro: “Draghi ha oltrepassato il limite, un pacchetto di tale portata non era necessario”. Di più, ha ritenuto indispensabile “scomunicare” tutta la lunga gestione “accomodante” dell’italiano ex vicepresidente di Goldman Sachs ed ex Governatore della Banca d’Italia: “la decisione di acquistare ancora più titoli di Stato renderà sempre più difficile per la Bce uscire da questa politica. E più a lungo dura, più aumentano gli effetti collaterali e i rischi per la stabilità finanziaria“.

Abbiamo parlato di “Europa schizofrenica”, che da un lato persegue l’austerità (con le decisioni della Commissione e dei vari organismi politici comunitari) e dall’altro “regala denaro a costo zero” (con quelle della Bce). Ed anche la sortita di Weidmann – subito spalleggiato dal suo collega-cagnolino olandese, Klaas Knot, e dalla “stampa popolare" di Berlino – apparentemente è da bipolarismo psichiatrico. I tassi zero della Bce, oltre che il quantitative easing (acquisto di titoli di Stato, soprattutto di quelli “sicuri” come i Bund tedeschi e olandesi) permettono ormai da anni ad alcuni paesi – Berlino e Amsterdam in prima fila – di rifinanziare a costo zero il proprio debito pubblico. Anzi, visto che i tassi sono diventati negativi, addirittura guadagnandoci qualcosina.

Di che si lamenta, insomma, mister Weidmann?

Quello che va bene agli Stati, però, non va bene per le banche private (tutte con solida base nazionale, o addirittura regionale come il sistema delle Landesbanken tedesche). Se il rifinanziamento del debito pubblico avviene con vantaggio del debitore (lo Stato), ci rimette il creditore (le banche private, che sono i primi acquirenti dei titoli di Stato). Ed è di queste che Weidmann si preoccupa. A partire da quella Deutsche Bank che ormai è un cadavere che cammina e di cui nessuno osa dichiarare la morte perché “troppo grande per fallire”.

Eppure anche Weidmann sa, certamente meglio di noi, che banche come DB sono in quelle condizioni per aver speculato troppo sui “prodotti derivati” e altri “titoli tossici”, ritrovandosi con la cassaforte piena di carta straccia invendibile, i bilanci in profondo rosso e il valore azionario sceso da 100 a 1.

Lo sa, ma vorrebbe aiutarle a risollevare quei bilanci (privati tedeschi) a scapito degli altri Stati (tenendo alto lo spread, che invece ora è precipitato), ma anche risucchiando il risparmio privato depositato presso altre banche di altri paesi, magari allungando le mani anche su un vasto patrimonio immobiliare opportunamente svalorizzato e reso perciò appetibile a prezzi bassi, se non proprio stracciati.

Non che Weidmann e Knot abbiano del tutto torto, però (sul piano delle teorie macroeconomiche neoliberiste, almeno). Quando il secondo critica le scelte di Draghi (“Questo ampio pacchetto di misure, e in particolare il riavvio del programma di acquisti è sproporzionato in relazione alla situazione economica attuale e ci sono buone ragioni per dubitare della sua efficacia“) mette il dito nella piaga di un fatto reale: anni di politiche monetarie accomodanti non hanno comunque fatto ripartire l’economia reale del Vecchio Continente. Dunque insistere su questa strada è inutile, nel migliore dei casi; dannoso, se – come avviene da tempo – i tassi negativi rendono il denaro “qualcosa che non rende” e che anzi si svaluta nel tempo.

Schizofrenia, o meglio contraddizione tra affermazioni egualmente vere (le politiche accomodanti hanno evitato l’esplosione del sistema finanziario, dunque anche dell’economia reale; ma non servono a far ripartire l’accumulazione e creano problemi altrettanto gravi sul lungo periodo).

Il punto di possibile “soluzione” viene indicato ovviamente fuori dalle politiche monetarie, e precisamente negli investimenti, da tempo fermi a livelli da depressione. Ma chi è che può fare investimenti se il principale soggetto – le imprese private – non sono disposte a farli?

Non è una situazione nuova, anzi sfiora il secolo: se “il cavallo non beve” (se le imprese non investono, pur avendo a disposizione liquidità in eccesso e ampia offerta di denaro a costo zero) è inutile offrirgli ancora acqua. Deve intervenire qualcun altro, ossia la spesa pubblica (è lo schema classicamente keynesiano, non marxista!).

Ma è proprio questo intervento che viene da almeno tre decenni vietato dalle “regole europee”. O meglio: che viene vietato ai paesi con debito e deficit pubblico “eccessivo”, secondo i parametri di Maastricht che persino Prodi definì “stupidi” (perché stabiliti senza alcuna base seria scientifica o almeno empirica).

Ci sono paesi, nell’Unione Europea, che invece hanno basso debito e deficit pubblico e quindi potrebbe investire? Certamente: ce ne sono che hanno stabilmente da oltre venti anni un surplus, anziché un deficit. Come è ovvio che sia in un mercato comune: se qualcuno perde, qualcun altro guadagna.

Sono proprio Germania e Olanda, oltre a Finlandia e qualche micro-area baltica (come la Lituania del super-falco nonché vicepresidente della Commissione con delega all’economia, Valdis Dombrovskis).

Il cerchio si chiude e la “schizofrenia” si rivela per quel che è: conflitto di interessi tra paesi e aree economiche differenti, alcune depresse dai trattati europei ed altre invece avvantaggiate. Le sparate contro Draghi preparano l'”ambiente” in cui agirà la successora, Christine Lagarde, di cui è ampiamente nota la “sensibilità” se non addirittura il servilismo verso chi è più forte (celebre una sua lettera in cui si dichiarava “a disposizione” di Nocolas Sarkozy), e quindi la fine delle “politiche monetarie non convenzionali”, ristabilendo l’ordine teutonico e l’austerità integralista. In cui, ma solo per contrastare la propria recessione, soltanto “chi ha margini di bilancio” potrà “fare investimenti pubblici”.

Si possono “cambiare le regole” con reciproco vantaggio, stando così le cose?

Fatevi una domanda e datevi una risposta. Ma prima, se proprio non vi va di fare ragionamenti economici e ravvisare gli interessi di classe nascosti sotto quelli “nazionali” o “razionali”, almeno guardate in faccia mr. Jens Weidmann…

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