28/09/2019
Messico - Ayotzinapa, 5 anni dopo: la lotta per la verità e la giustizia continua
Sono passati cinque anni dal massacro dei 43 studenti di Ayotzinapa fatti sparire la notte del 26 settembre del 2014. Secondo la versione ufficiale del governo dell’ex presidente messicano, Enrique Peña Nieto, gli studenti sarebbero stati arrestati prima dalla polizia municipale di Iguala e poi consegnati da questi ai membri di un noto gruppo criminale della zona, i Guerreros Unidos, che li assassinò e ne bruciò i cadaveri, gettando i resti in una discarica di Cocula.
Ma il Gruppo interdisciplinare di esperti indipendenti (GIEI), designato dalla Commissione Interamericana dei diritti umani e dai familiari degli studenti desaparecidos, rigettò questa versione, già nel 2015, mentre il nuovo presidente Andres Manuel Lopez Obradòr, appena insediato, ha emanato un decreto urgente che ha finalmente consentito di costituire una “Commissione per la verità sul caso Ayotzinapa“.
Quest’anno, il 14 agosto, cioè 43 giorni prima della sparizione, è partita una campagna sui social con l’hashtag #YoConLaVerdad e #Ayotzinapa5años ed ogni giorno, fino ad oggi, è stato dedicato ad uno dei 43 ragazzi desaparecidos.
Nonostante gli importanti impegni assunti dal presidente Obradòr, 24 accusati della scomparsa dei giovani sono stati recentemente scarcerati aggiungendosi agli altri 53 che erano già stati rimessi in libertà qualche tempo prima. Pertanto, ad oggi, sono 65 gli imputati detenuti per i fatti di Ayotzinapa. I 24 scarcerati sono poliziotti di Iguala, Cocula e Huitzuco, municipio dello stato di Guerrero, all’epoca in cui furono prelevati i 43 studenti. Il rilascio dei 24 imputati ha provocato un moto di indignazione nell’opinione pubblica messicana.
Il presidente della Commissione per la verità sul caso Ayotzinapa, Alejandro Encinas (sottosegretario di governo) ha detto senza mezzi termini che si è trattato di un “affronto alle indagini della Commissione”, perché “coinvolge la corruzione, l’incapacità e la parzialità del regime precedente, lasciando in libertà coloro che hanno depistato le indagini o commesso dei crimini”.
La Procura generale della Repubblica ha deciso di presentare ricorso contro l’ex procuratore generale, Jesús Murillo Karam, l’ex titolare dell’Agencia di Investigazione criminale, Tomás Zerón, e l’ex titolare titolare speciale del caso, José Aarón Carro.
Dal canto loro, i familiari dei 43 studenti hanno espresso forti critiche nei confronti della Procura generale per la eccessiva lentezza nelle indagini e per le scarcerazioni massicce degli imputati. Ma, soprattutto, hanno ribadito la richiesta di verità circa la responsabilità del comando militare durante il precedente governo Peña Nieto.
Hilda Legideño, una delle madri, ha dichiarato “È necessario indagare su chi ha fabbricato questa enorme bugia. Dobbiamo sapere cosa è successo veramente quel giorno. Perché fabbricare questa grande bugia che ha fatto così tanti danni?”
Santiago Aguirre, il legale dei familiari, ha precisato “Se non si procederà penalmente contro chi ha ostacolato le indagini e contro chi ha violato i diritti umani, non si romperà il muro di impunità che oggi impedisce di conoscere la verità”.
Il presidente, Lopez Obrador, ha ribadito il suo deciso impegno a fare piena luce sul massacro ed ha chiesto ufficialmente all’Esercito messicano di fornire alla Procura Generale tutte le informazioni del caso. Per Emiliano Navarrete, padre di uno dei 43 studenti desaparecidos di Aytozinapa “A quasi cinque anni dalla scomparsa dei nostri figli la ferita è ancora aperta. Non c’è pace nei nostri cuori, né nelle nostre famiglie”.
I 43 studenti desaparecidos di Ayotzinapa sono diventati, loro malgrado, il simbolo della violenza di Stato in Messico e sono ormai di evidenza pubblica la responsabilità del governo guidato dall’ex presidente Enrique Peña Nieto nello sviamento delle indagini, come messo nero su bianco della Commissione Nazionale dei Diritti Umani.
Non sono bastati quattro anni di ostacoli, lentezze e depistaggi, a tenere in piedi quella traballante verità ufficiale che attribuiva il massacro di Ayotzinapa ai cartelli della droga. Dai fatti di Iguala in poi, nelle piazze e nelle strade del Messico, è risuonato sempre più forte lo slogan “Fue El Estado!“ (È stato lo Stato!).
Ed è cresciuta la consapevolezza generale che i sistemi di potere locali e nazionali collegati al Partito Rivoluzionario Istituzionale hanno usato la così detta “guerra alla droga” per mantenere il potere in combutta con le principali organizzazioni criminali del paese. Una guerra sporca iniziata nel 2006 e che ha fatto, fino ad oggi, 200.000 morti e 40.000 desaparecidos.
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