Le elezioni presidenziali tunisine imprevedibili lo sono state davvero. Alla fine del primo turno, ieri, solo
un elemento ha rispettato le previsioni: la bassa affluenza, ferma al
45% degli aventi diritto, contro il 64% del 2014. L’altra previsione
azzeccata è stato il carattere di protesta di cui i tunisini hanno
investito questo voto anticipato dalla morte del presidente Essebsi, a fine luglio: è stato un voto anti-sistema, di protesta.
Così possono spiegarsi i primi dati in arrivo dai seggi. In
testa ai 26 candidati presidenti ci sono l’indipendente Kais Saied con
il 19,5% delle preferenze e il magnate delle telecomunicazioni in
prigione Nabil Karoui, con il 15,5%.
In attesa dei dati ufficiali, di certo si sa solo che si dovrà andare
al ballottaggio, previsto per fine ottobre-primi di novembre dopo le
parlamentari del mese prossimo, il 6 ottobre. E probabilmente a sfidarsi
saranno Saied e Karoui, con buona pace dei partiti “tradizionali”,
quelli che hanno governato il paese dopo la rivoluzione dei gelsomini
del 2011, i laici di Nidaa Tounes e gli islamisti moderati di Ennhada.
“Oggi i tunisini hanno detto che vogliono cambiare il sistema di
potere – diceva ieri il portavoce di Karoui, Hatem Mliki, vista
l’impossibilità per il candidato di esprimersi pubblicamente da dietro
le sbarre (è stato arrestato a fine agosto per riciclaggio di denaro) –
Dobbiamo rispettare il volere del popolo, Nabil Karoui andrà al secondo
turno. Abbiamo vinto”.
Festeggia anche l’indipendente Saied, conservatore ed esperto di
diritto costituzionale, che ha condotto la campagna elettorale porta a
porta: “La mia vittoria – ha detto ieri – porta con sé la grande
responsabilità di trasformare la frustrazione in speranza. È come una
rivoluzione”.
Frustrazione di certo, quella che accomuna da anni i tunisini nel post-Ben Ali:
se il paese è in qualche modo sopravvissuto alle primavere arabe
evitando il drammatico modello egiziano, i problemi strutturali portati
in piazza dalla rivolta di otto anni fa ci sono ancora tutti.
Disoccupazione, diseguaglianze sociali, gap centro-periferia. Drammi
imputati per lo più a chi ha guidato la nazione, il premier
Youssef Chahed – che si è presentato alla testa di un nuovo partito dopo
l’uscita da Nidaa Tounes – ed Ennahda che per la prima volta presentava
un suo candidato, Abdelfattah Mourou.
A ciò si aggiunga una campagna elettorale poverissima di contenuti e
incentrata su personalismi e interessi di parte che non ha acceso
l’interesse dei tunisini. I quali hanno di fatto boicottato il voto, con
meno di uno su due che ieri ha infilato la scheda nell’urna.
Così possono essere spiegati i primi dati in arrivo. Dietro Saied e
Karoui, si sarebbero piazzati Abdel Fatah Mourou, vicepresidente di
Ennahda (13,1%); Abdelkrim Zbidi, ex ministro della Difesa (9,6%);
il premier Youssef Chahed (7,4%); un altro indipendente Safi Saied
(6,6%); Mohamed Lofti Mraihi, capo dell’Unione popolare repubblicana
(6,5%); Seifeddine Makhlouf, leader del movimento Dignità (5%); l’ex
presidente Moncef Marzouki (4,1%); e una delle due donne in lista, l’ex
benaliana Abir Moussi (3,8%).
Fonte
Nessun commento:
Posta un commento